Dossier

I misteri del caso Moro

Il rapimento e l’uccisione

16 marzo 1978Poco dopo le 9, agguato in via a Roma: almeno 10 terroristi assalgono Aldo Moro e gli uomini della scorta (il caposcorta Leonardi e gli agenti Iozzino, Ricci, Rivera e Zizzi). Nella sparatoria, tutti gli uomini della scorta sono uccisi. L’uomo politico è portato via a bordo di un’auto. Alla notizia, il Parlamento in poche ore vota la fiducia al governo Andreotti – un monocolore Dc di «unità nazionale», sostenuto anche dai voti del Pci. Tutti i partiti proclamano la «linea della fermezza», rifiutando qualsiasi trattativa con i terroristi. Le Br rivendicano telefonicamente l’eccidio di via Fani ed il rapimento di Moro. 18 marzoComunicato n. 1, il primo di nove, delle Brigate Rosse con una foto del prigioniero. Annuncia che «Aldo Moro sarà processato da un tribunale del popolo». Lo stesso giorno agenti di polizia bussano alla porta di un appartamento di via Gradoli a Roma, senza avere risposta. Si scoprirà poi che si tratta di un covo delle Brigate rosse, al momento gli agenti non rilevano nulla di sospetto. 25 marzoComunicato Br n. 2 «Il processo è cominciato…». 29 marzoLe Br diffondono il comunicato n. 3, e tre lettere di Moro (alla moglie Eleonora, al collaboratore Rana, e al ministro dell’Interno, Cossiga). 4 aprileDibattito alla Camera sul sequestro Moro, e generale riaffermazione della «linea della fermezza». Comunicato n. 4, con una lettera di Moro indirizzata al segretario della Dc, Zaccagnini. 6 aprilePerlustrazione infruttuosa nel comune di Gradoli. L’operazione è originata da una segnalazione del professor Romano Prodi, che riferisce di essere stato colpito dalle indicazioni emerse durante una seduta spiritica. 10 aprileComunicato n. 5 delle Br, unito ad un brano del «memoriale» di Aldo Moro. 15 aprileComunicato Br n. 6: il «processo» è finito, l’«imputato» è stato condannato a morte. 18 aprileUna perdita d’acqua fa scoprire il covo terroristico di via Gradoli. Nelle stesse ore, un comunicato con il numero 7 dà notizia che Moro è stato ucciso, ed il suo cadavere gettato nelle acque del lago della Duchessa, in provincia di Rieti. Una perlustrazione della zona dà esito negativo ed è accertata la falsità del testo. Nel 1984 si accerterà che è stato redatto da un falsario di quadri ucciso il 28 settembre di quell’anno. 20 aprileLe Br emettono il vero comunicato n. 7, i terroristi propongono uno scambio: la libertà per Moro, in cambio di quella per i detenuti che essi chiamano prigionieri politici comunisti. Si tratta di un ultimatum, destinato a scadere dopo 48 ore. 21 aprileIl Psi si distacca ufficialmente dalla linea della fermezza – alla quale gli altri partiti continuano ad attenersi – e chiede un’iniziativa per salvare la vita di Moro. 22 aprileAppello di Paolo VI agli «uomini delle Brigate rosse», invitandoli a rilasciare Moro «senza condizioni». 24 aprileComunicato Br n. 8. Si pretende la liberazione di 13 brigatisti. «Se così non sarà eseguiremo la sentenza di morte». Rinnovato «no» dei partiti e del Cis, il comitato interministeriale per la sicurezza. Terza lettera di Moro a Zaccagnini: «Siamo quasi all’ora zero». 25 aprileAppello del segretario delle Nazioni Unite, Kurt Waldheim, per la liberazione di Moro. 30 aprileUn brigatista telefona alla famiglia Moro. Dice che solo un intervento «immediato e chiarificatore» del vertice della Dc potrebbe evitare l’imminente omicidio dell’ostaggio. 5 maggioComunicato Br n. 9, caratterizzato dalla frase: «Concludiamo la battaglia iniziata il 16 marzo eseguendo la sentenza». Sarà l’ultimo messaggio dei sequestratori. Ultima lettera di Moro alla moglie: «Cara Norina, ti bacio per l’ultima volta». 8 maggioIl presidente del Senato Fanfani è incaricato di fare un discorso «aperto alla trattativa» durante la direzione Dc del 9 maggio. 9 maggioIn via Caetani (a metà strada tra la sede della Dc e quella del Pci), nel portabagagli di una Renault R4 rosso, è fatto trovare il corpo senza vita di Moro. Il presidente democristiano è stato ucciso poco prima a colpi di pistola nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come «prigione del popolo».Si concludono così i 55 giorni più drammatici della prima Repubblica. La tragedia di Aldo Moro è costellata di molti misteri, e altrettante «disattenzioni», a partire dalla sottovalutazione del covo di via Gradoli. Pochi giorni dopo l’omicidio del leader Dc, è scoperta una tipografia che ha legami con le Br. Le indagini e i misteriIl 1° ottobre 1978 i Carabinieri scoprono il covo Br di via Montenevoso a Milano e altre basi terroristiche nella stessa città. Sono arrestati numerosi terroristi, tutti legati all’assassinio di Aldo Moro. In via Montenevoso sono trovate carte scritte da Moro durante la «prigionia» – il cosiddetto «memoriale» – e svariate lettere. Una commissione parlamentare d’inchiesta, la commissione stragi e cinque processi non sono riusciti a fare luce sull’intera vicenda. Ogni tanto emergono nuovi interrogativi. È avvenuto il 9 ottobre 1990 quando in occasione dei lavori di ristrutturazione dell’ex covo di via Montenevoso a Milano è stata trovata una parte del «memoriale» di Moro. Gli scritti, murati dietro un pannello, erano sfuggiti alla minuziosa perquisizione del 1978.

Gli stessi brigatisti non contribuiscono, nonostante i pentimenti e le profferte di lealtà, non contribuiscono a chiarire alcuni punti controversi: quanti hanno sparato in via Fani? Secondo i brigatisti si è trattato di un’azione al limite del dilettantesco. Eppure, sotto l’aspetto militare, l’agguato di via Fani non ha precedenti e resterà l’unico del genere nella storia del terrorismo italiano. Nulla sarà paragonabile alla strage di via Fani: sia per l’alto numero di terroristi impegnati nell’attentato, sia per la qualità delle armi e dei mezzi utilizzati, sia per la ferocia dei cinque contemporanei omicidi degli uomini della scorta. Perché, nonostante l’intensa sparatoria (in qualche decina di secondi furono esplosi un’ottantina di colpi) Moro e gli assalitori restarono illesi?

Segreti mantenuti bene dai brigatisti tanto che solo nel 1993 è stato arrestato – l’ultimo? – dei carcerieri di Moro, poi morto in carcere di malattia.

Sono solo alcuni degli interrogativi – veri e propri «misteri» – che periodicamente si ripropongono. L’ha fatto l’allora presidente della Repubblica Scalfaro, nel 1978, che ha posto una serie di interrogativi sul coinvolgimento o meno di entità estranee alle Br e non ancora raggiunte dalla giustizia.Storici, politici, giornalisti e ora anche registi non vogliono considerare chiusa una delle vicende più misteriose del dopoguerra. E approfittano del 9 maggio per rilanciare domande senza risposta. Oppure, in occasione dell’uscita di un libro che riapre un inquietante interrogativo sull’identità di un ipotetico «grande vecchio». E ancora, quale ruolo rivestì nella vicenda la Toscana e Firenze in particolare? Controcorrente un recente saggio – «Odissea nel caso Moro» di Vladimiro Satta (Edup, Edizioni università popolare) – costruito sui documenti della Commissione stragi, secondo il quale dalla vastissima documentazione (1 milione e mezzo di pagine, 130 volumi) «prende forma un quadro coerente a conferma che le Brigate rosse hanno agito autonomamente, senza un manovratore alle spalle, né italiano, né straniero. E che le indagini seguite alla strage sono state certo carenti, ma senza che si siano ravvisate volontà di depistaggio». Tuttavia, esistono tuttora dei punti oscuri che non consentono di considerare l’assassinio di Aldo Moro un caso chiuso.Ennio Cicali

Rumi, il suo? Un progetto audace

Il film «Piazza delle Cinque Lune»