Dossier

Il Concilio dietro le quinte

di Andrea FagioliLeggere del Vaticano II e riscoprire tante vicende successive e tutte toscane. È quello che succede con il Diario del Concilio (Edizioni Dehoniane, pp. 288, euro 25,00) del francescano padre Umberto Betti, che contiene anche il carteggio tra l’autore e il cardinale Ermenegildo Florit.

Finito il Concilio, i due si occupano infatti di altre questioni spinose come le vicende fiorentine dell’Isolotto con le dure contestazioni all’allora arcivescovo di Firenze: «Riparto per Roma come se tornassi dal fronte – scrive Betti lasciando il capoluogo toscano il 9 gennaio 1968 –. Lascio il cardinale disfatto, con le occhiaie quasi moste».

Florit, a giudizio di Betti, era stato «selvaggiamente attaccato su tutto» da un gruppo di sacerdoti durante un incontro con il clero, la mattina, nella chiesa di San Frediano e poi, la sera, in un incontro con i laici allo Stensen. L’arcivescovo chiese anche aiuto (oltre che al teologo francescano a don Barsotti) per alcuni interventi in materia. Ma Betti, il 23 marzo 1969, si lamenta del nostro «antenato» a proposito di un suo articolo: «È pubblicato nel settimanale L’Osservatore Toscano l’articolo su Testimonianze, con lo pseudonimo Luigi Benvenuti. Ma è stato tagliato qua e là senza accorgimenti. Non è più una stroncatura. È una cosa slavata, invertebrata».Ma al di là delle vicende nostrane, il Diario del Concilio è interessante per capire soprattutto quale sia stata la fatica per arrivare alla stesura di documenti così innovativi nella storia della Chiesa. Dei lavori in aula e nelle sottocommissioni, infatti, si ignora spesso la grande vitalità delle discussioni, delle estenuanti messe a punto e del ragionare e scrivere in un latino lingua comune ma fino ad un certo punto. Quanti dibattiti, ad esempio, perché la «tradizione» trovasse riscontro nella «scrittura» e viceversa? È per questo che le fonti ufficiali non bastano per scrivere la storia di un Concilio: molti aspetti importanti, a volte decisivi, si ricostruiscono solo con la testimonianza diretta o gli appunti personali dei protagonisti, davanti e dietro le quinte.

Al primo gruppo appartiene Florit (friulano di Fagagna, in provincia di Udine, nato nel 1901 e morto nel 1985). Al secondo gruppo padre Betti (originario di Pieve Santo Stefano), che partecipò all’elaborazione di due testi fondamentali del Vaticano II (Dei verbum e Lumen gentium) in qualità di teologo personale dell’arcivescovo di Firenze. Una collaborazione e un’amicizia intensa e costante, durante e dopo il Concilio. «Ella gentilmente rievoca le tappe della nostra lunga collaborazione e suscita nel mio animo – scrive Florit a Betti il 18 ottobre 1977 – tanti bei ricordi, accompagnati da sincera riconoscenza».

Tutto era nato quasi per caso, almeno da parte del francescano: «Con mia sorpresa sono convocato da monsignor Florit nella sua residenza romana presso le Suore di Santa Marta. Non lo conosco, né so chi gli abbia fatto il mio nome – racconta padre Betti –. Senza tanti preamboli, mi chiede di accettare di essere suo teologo personale e mi invita a prestare il giuramento de secreto servando».Per quanto riguarda il Concilio, Florit è soprattutto preoccupato perché lo schema di alcuni documenti sia «più pastorale e positivo». Padre Betti si occupa in particolare del magistero dei vescovi. Riferisce anche di alcuni screzi tra specialisti sulla questione dell’infallibilità. In qualche caso parla di adunanze trasformate «in mischia». Ma il Concilio resta per lui «una scuola, che vale più di ogni altra finora frequentata o tenuta – scrive il 13 gennaio 1964 a proposito degli scrupoli di Florit in materia di tradizione –. Pensare di non aver più niente da imparare sarebbe come congelare la propria intelligenza, metterla in pensione per invecchiamento precoce».

Non mancano nel Diario anche episodi personali, come quando Florit viene ricoverato per uno strappo alla retina e si raccomanda al padre di non dirlo a nessuno, ma di andare a trovarlo portandogli un confessore: «Vado a visitare monsignor Florit alla clinica Sanatrix in via Trasone – annota il francescano alla data 19 maggio 1964 –. Poiché mi aveva chiesto di trovargli un confessore, porto con me il padre Bruno Korosak».

Altro argomento ricorrente è il tentativo di Florit, purtroppo senza esito, di far ordinare vescovo in Toscana il padre Betti: un modo per riconoscere il suo valore e per tenerselo vicino.

L’intervistaUna figura, quella di padre Umberto Betti, che ha realizzato un’attività culturale per tutta la vita al servizio della teologia e della Chiesa. Francescano dei Frati minori, nato a Pieve Santo Stefano (Arezzo) il 7 marzo 1922, dopo aver conseguito il dottorato in Teologia dogmatica ed essersi perfezionato all’Università Cattolica di Lovanio, nel luglio del 1964 fu nominato professore del Pontificio ateneo antoniano di Roma dove ha insegnato fino al 27 settembre 1991. Sarebbe lungo riportare l’elenco completo degli incarichi e delle attività di questo confratello che ha fatto onore alla Provincia toscana dei Frati minori.Consultore della Commissione teologica preparatoria al Vaticano II, di cui fu poi Perito e contribuì a realizzare la Costituzioni dogmatiche «Dei verbum» e «Lumen gentium». Molti e importanti gli incarichi nella Curia Romana. Dal ’91 al ’95 fu nominato da Giovanni Paolo II Rettore Magnifico della Pontificia Università lateranense. Lasciando da parte i titoli onorifici attribuitigli, vorremmo ricordare il ringraziamento autografo rilasciatogli da Giovanni Paolo II il 12 dicembre 2002 dove il Papa fa un ampio elogio dell’attività e della dottrina di padre Umberto. Da ricordarsi il conferimento del diploma di Accademico emerito da parte della Pontificia accademia di teologia, nonché il Fiorino d’oro consegnatogli nel Salone de’Dugento a Firenze come teologo personale dell’arcivescovo Ermenegildo Florit. Attualmente padre Betti vive nella casa di riposo San Francesco sulla collina fiesolana.

Padre Betti, perché fin da giovane si dedicò allo studio della teologia?

«Veramente fui mandato a Roma per studiare Sacra scrittura e quindi per prendere la Cattedra di padre Donato Baldi, già anziano. Però tra i frati in Toscana c’era bisogno di un insegnante di Teologia dogmatica e io seguii i desideri dei miei superiori scegliendo questa facoltà che mi era sempre piaciuta».

Il Magistero ecclesiastico di oggi è al passo con i tempi?

«Non è al passo con le decisioni del Concilio, purtroppo».

Come vede la Chiesa del Duemila?

«Se essa vuol essere sulla strada giusta deve tener conto dell’insegnamento ricevuto dal Vaticano II. Non può mettere dietro le spalle un Concilio così importante».

Pensa di essersi realizzato come sacerdote e insegnante?

«Quanta Fatica! Ma anche tante soddisfazioni! Comunque spero di aver raggiunto l’ideale della mia vita: il lavoro per la Chiesa, per la cultura e per l’umanità. Perciò posso dichiararmi contento». (Ugolino Vagnuzzi)

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