Dossier
Il maremoto in Asia
Il maremoto del giorno di Santo Stefano è stato un’apocalisse che è caduta spesso su un dramma. I paesi colpiti dalla catastrofe sono poveri anche se non poverissimi e con forti differenze fra loro dentro un reddito pur sempre da Terzo Mondo.
Lo stato più fortunato o meno sfortunato è, da questo punto di vista, la Thailandia con un reddito pro capite di quasi settemila dollari. Quello che una volta si chiamava il Siam è oggi il paese del Sudest asiatico che più profitta dal turismo con dodici milioni di presenze all’anno e con un reddito ricavato da questo settore pari al 6% del prodotto nazionale. Fra i luoghi più gettonati soprattutto dai turisti europei, c’è l’isola di Pukket, la «perla del Sud» duramente colpita dal cataclisma e ricercata per i suoi prezzi bassi oltre che in parte purtroppo anche per la pratica del turismo sessuale più o meno tollerato se non incoraggiato. Per la Thailandia il problema, dopo il lutto di massa e l’emergenza di questi giorni, è la ricostruzione nella prospettiva di una rapida ripresa.
Nello Sri Lanka il maremoto ha colpito una zona in cui ha imperversato una delle guerriglie più interminabili del mondo. Le Tigri Tamil che dicono di rappresentare la minoranza indu della popolazione dell’isola conducono da oltre vent’anni una campagna terroristica contro la maggioranza della popolazione di etnia cingalese e di religione buddista. Sono state in fondo le Tigri Tamil a inaugurare per prime la tecnica dell’attentato suicida con un crescendo di azioni e di reazioni durissime che dal 1983 hanno provocato 65 mila morti. Ora anche gli interventi umanitari e l’organizzazione dei soccorsi, come sempre accade nelle zone di guerra, si stanno scontrando con il freno delle autorità governative che tendono a controllare e a ridurre gli aiuti alle zone ribelli e, dal lato opposto, con la tendenza dei rivoltosi a gestire direttamente gli aiuti nelle zone dove è più forte la loro influenza per aumentare il consenso fra la popolazione.
Una situazione analoga si presenta anche nel nord-est dell’Indonesia dove il maremoto ha investito la provincia di Aceh in cui è in atto da quasi trenta anni una guerriglia che mira alla secessione del resto del paese. Il separatismo di Aceh preoccupa tanto più il governo di un paese formato da tredicimila isole e popolato da 200 milioni di persone quanto più tendenze indipendentistiche sono all’opera in diverse altre parti, mentre nelle Molucche continuano gli scontri fra musulmani e cristiani. Nella provincia di Aceh è in vigore dall’anno scorso la legge marziale con la presenza di 40 mila soldati governativi. Anche in questo caso la guerriglia che rimane latente nonostante il disastro naturale, renderà più difficile la distribuzione degli aiuti e l’opera di ricostruzione.
Per le Maldive in prospettiva il problema centrale è quello della ricostruzione e della lubrificazione di una macchina turistica che coincide con il paese. L’arcipelago, che fino a quaranta anni fa ha ospitato l’ultimo sultanato del mondo, ha un reddito turistico che corrisponde di fatto al reddito nazionale, con un’occupazione nel settore che interessa l’80 per cento della popolazione e con la larghezza nell’uso della manodopera che è tipica di paesi in cui un dipendente può essere pagato con l’equivalente di cento euro al mese.
Myanmar (la Birmania fino al 1998) è governata da una delle più dure dittature esistenti oggi al mondo. È nota soprattutto per il suo premio Nobel per la pace Aung San Sun Kyi, che era il segretario del partito della Lega nazionale democratica che vinse le elezioni nel 1990, ma che fu subito arrestata dopo la vittoria dai generali che ancora oggi detengono il potere. Il governo di Rangoon è oggi messo sotto accusa per le migliaia di detenuti politici e per il sospetto dell’uso del lavoro forzato.
Queste violazioni dei diritti umani hanno provocato le sanzioni delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione mondiale del commercio. Il regime giunge fino a proibire l’uso dei fax e di internet e, in un paese che è a stragrande maggioranza buddista, conduce un’aspra campagna persecutoria contro i cristiani a cui è proibito il culto e perfino il possesso di Bibbie e crocifissi. Secondo questo regime, che non vuole ammettere il disastro per ragioni di assurdo prestigio e soprattutto per non subire ingerenze anche al solo scopo di salvare vite umane e di aiutare i sopravvissuti, vale ancora la spudorata menzogna secondo cui le vittime sono solo 58, mentre tutte le testimonianze seppure a denti stretti provenienti dalla zona ammettono l’esistenza di migliaia di vittime.
Il grafico dei paesi colpiti
Le testimonianze
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