Dossier

Inchiesta: come cambia la fede

di Riccardo BigiNel 1966, fece scalpore dedicando la copertina a una domanda piuttosto insolita per un settimanale d’attualità: «Dio è morto?». Trentasette anni dopo il «Time», prestigiosa ed autorevole rivista europea, torna ad occuparsi di tematiche religiose per dire che no, Dio non è morto, ma che per trovarlo bisogna cercare in direzioni diverse da quelle a cui siamo abituati. La domanda quindi stavolta è un’altra: «Dov’è andato Dio?». Quali sono i luoghi, gli ambienti in cui oggi si manifesta la fede? Franco Garelli, sociologo torinese e grande esperto del fenomeno religioso, ci aiuta a cercare la risposta.

Professore, secondo l’inchiesta del «Time» in Europa le parrocchie si svuotano, le cattedrali medievali, simbolo stesso della fede, sono invase dai turisti e solo nelle occasioni più solenni ritrovano la loro funzione. E il cristianesimo, elemento fondante dell’identità di questo continente, non trova spazio nella nuova Costituzione europea. Eppure, dice la rivista, la fede è ancora viva ma si è rifugiata nella sfera privata. È vera questa analisi?

«Oggi c’è senz’altro la ricerca di una via più individuale all’esperienza religiosa. Questo è un dato tipico della modernità avanzata. Nello stesso tempo però troviamo segnali di grande attenzione per la dimensione collettiva, la ricerca di esperienze comunitarie, di esperienze religiose forti. Le giornate mondiali della gioventù, ma anche il richiamo esercitato da alcuni monasteri, sono realtà in cui è forte l’aspetto collettivo, c’è un forte senso di appartenenza. La via individuale alla fede, direi, non significa che gli individui non possano essere attratti poi da momenti in cui non si è più protagonisti come individui ma come comunità. Quello che è venuto meno è il momento pubblico della fede che c’era in passato, che si manifestava nell’osservanza religiosa diffusa, nella partecipazione alla ritualità ordinaria come luogo di espressione religiosa sancita dalla comunità. Oggi l’aspetto religioso è lasciato alla libertà personale, a scelte e sperimentazioni da verificare di volta in volta. La vera sfida è mettere insieme l’individualismo con un’espressione religiosa che implica un’appartenenza».

Secondo il «Time», una delle questioni più delicate è l’accessibilità della fede: si rifiuta la «burocrazia» delle chiese istituzionali, ci si avvicina piuttosto a quei gruppi che offrono una religiosità «user friendly», di facile accesso, chiara e comprensibile.

«Questo è vero, e vale sia per le parrocchie che per altri gruppi e movimenti. Non credo che si possa generalizzare sul fatto dell’abbandono delle chiese: è una cosa che va vista caso per caso. Quando la chiesa ha un forte carisma, ha elementi di richiamo, la religiosità si esprime anche dentro la chiesa. Certo però oggi non è più un dato scontato, l’interesse dei credenti deve essere continuamente riconquistato. La parrocchia verrà frequentata se è un luogo significativo, se la singola persona riconosce che le iniziative che vengono proposte vanno incontro alle sue esigenze, se si sente coinvolta».

C’è anche la possibilità che esperienze di fede molto forti assumano un’identità così spiccata da allontanarsi dalla Chiesa. Cosa deve fare l’istituzione per evitare, da un lato, di soffocare queste realtà e dall’altro di annacquare la propria identità?

«Questi fenomeni di sottolineatura di particolari tipi di spiritualità, spesso anche controcorrente o alternativi, sono tipici di una società molto differenziata come la nostra. Oggi le appartenenze totalizzanti non funzionano più, emergono invece appartenenze selettive che rispondono alle esigenze di taluni soggetti piuttosto che di altri. Che ci sia un pluralismo di carismi e di espressioni religiose è un dato tipico della modernità, e va accettato come espressione di ricchezza. Ci sono molti modi di vivere e di interpretare l’istanza religiosa. Questo può creare un problema per la Chiesa come istituzione, ma va risolto trovando le giuste dinamiche, riuscendo ad accogliere le istanze diverse mantenendo intatto il cuore della propria proposta religiosa. Per riuscire in questo, l’autorità religiosa deve anche essere autorevole, cioè essere capace di fare proposte che davvero interpellino le varie realtà e le tengano unite. L’importante è evitare derive che possono mettere in discussione gli aspetti di fondo della fede cristiana».

Un altro punto è la scomparsa di Dio dalla sfera pubblica: dall’affermazione della laicità degli Stati si è arrivati al paradosso di cancellare le radici cristiane dalla Costituzione europea.

«Premetto che secondo me un richiamo alle radici cristiane dell’Europa poteva e doveva essere fatto. Al di là di questo, quello di cui dobbiamo preoccuparci è la sostanza delle cose: il fatto che la Costituzione prefiguri un’idea di società in cui certi valori di fondo portati dal cristianesimo siano recepiti e salvaguardati».

In questo senso, possiamo dire che il cristianesimo non accetta di essere relegato soltanto nella sfera privata?

«Anzi, oggi c’è un ritorno di tutte le grandi religioni all’attenzione per il sociale. Viviamo una fase in cui la società si sta ridefinendo e le Chiese, così come altre forze sociali, sono interessate a contribuire a questa definizione, senza aspirare a essere forze egemoniche ma ritenendo di avere qualcosa da dire su questioni decisive per la costruzione di una casa comune come la tutela della vita, i rapporti sociali ed economici, la salvaguardia ambientale. È chiaro che oggi tutto questo deve comporsi in un quadro pluralistico. Da questo punto di vista molto spetta anche ai laici credenti e alla loro capacità di pensare il messaggio religioso sulla lunghezza d’onda delle attese dell’uomo contemporaneo. In questo modo, la proposta religiosa può essere calibrata sui temi forti, centrali per il nostro tempo e può riuscire a interpellare le coscienze. Il distacco di tante persone, anche tra quelle che si dichiarano credenti, dal dettato di fondo della Chiesa è dovuto in parte anche al fatto che non trovano più, in questo dettato, qualcosa che si rivolga direttamente a loro, che li metta in gioco come persona. Se manca questo, resta soltanto un’appartenenza formale che un tempo era comunque significativa ma che oggi non viene più accettata».

Dai dati emerge che in Italia, rispetto ad altri paesi europei, c’è ancora una frequenza ai sacramenti piuttosto alta: ci si rivolge alle parrocchie per i battesimi, matrimoni, funerali. Come fare per utilizzare bene queste occasioni?

«La domanda di senso che emerge oggi richiede esperienze forti, autentiche, esperienze che parlino non solo alla ragione ma anche al cuore. C’è la ricerca delle proprie radici, della propria identità di fronte al pluralismo che ci troviamo davanti. C’è una ricerca di senso per la vita quotidiana, ma anche la ricerca di risposte alle grandi domande. Ci si chiede che senso ha il nostro benessere di fronte a tanti popoli nella miseria, quale sia il futuro per i nostri figli, quale mondo abiteranno. Il problema è quanto le chiese sono in grado di intercettare questa domanda, di conciliare l’uomo con le sue ragioni ultime. Mentre in passato la fede era una base consolidata, oggi deve essere proposta come elemento di novità. È un momento fecondo e favorevole per la missione della Chiesa, che però richiede strumenti diversi da quelli usati in passato».

Allora, per rispondere alla domanda del «Time» («Dov’è andato Dio») possiamo dire che Dio è ancora nella Chiesa, nelle parrocchie, nelle comunità cristiane: si tratta forse di renderlo più visibile a chi lo cerca…

«Esatto, si tratta di far capire che quella cristiana è una strada possibile per avere una migliore comprensione di sé, del mondo, della vita».

Ma la religione continua a far notiziaL’inchiesta del «Time» su «Dov’è andato Dio?» ha forse offerto uno spunto di riflessione anche ai giornali italiani, tanto che «Repubblica», da parte sua, ha commissionato un’indagine all’Eurisko pubblicando i risultati con grande rilievo sul numero di domenica 22 giugno parlando di «Cattolicesimo fai da te» e del «Dio relativo degli italiani».

Dal punto di vista metodologico, la ricerca è stata effettuata nei giorni 17-19 giugno con interviste su un campione di mille persone, rappresentative della popolazione italiana di età superiore ai 18 anni.

Le interviste (di cui qui sopra pubblichiamo alcuni risultati) hanno messo in rilievo che sono ancora in molti in Italia a dichiararsi cattolici (l’87%), ma che solo il 29% va alla Messa tutte le domeniche e poco più del 50% prega almeno una volta al giorno. A giudizio del sociologo e politologo Ilvo Diamanti, che per «Repubblica» a curato la ricerca e commento i risultati, gli italiani «attribuiscono alla religione uno spazio crescente, nella loro vita, nella definizione del mondo. Ma, al tempo stesso, la piegano alle loro domande, ai loro problemi» e ai loro «interessi». Gli italiani credono, ma «in un Dio relativo». Insomma, a giudizio di Diamanti, «non possiamo non dirci cattolici», ma «figli di un Dio relativo».

I dati sulla presenza dei cattolici nel mondo sono invece ripresi dall’«Osservatore Romano» che mercoledì 18 giugno ha diffuso i numeri dell’«Annuarium Statisticum Ecclesiae 2001», preparato dall’équipe dell’Ufficio centrale di statistica della Chiesa e stampato a cura della Libreria Editrice Vaticana.

Rispetto al più conosciuto «Annuario Pontificio», dove vengono privilegiati nomi e biografie, l’«Annuario Statistico» offre agli studiosi un panorama pressoché completo di dati comparati che favoriscono una approfondita lettura delle forze della Chiesa cattolica nel mondo in tutte le rispettive componenti numeriche.

Dalla comparazione, stando anche ai titoli dell’«Osservatore Romano» stesso, la Chiesa cattolica è «una realtà in lenta, ma costante crescita». Ad esempio, il numero totale dei cattolici nel mondo è passato dagli oltre 756 milioni del 1978 ai quasi 900 milioni del 1988 al miliardo e 60 milioni del 2001. Persino i sacerdoti, dopo il calo a picco dal 1978 al 1988 (da 420 mila a 404 mila) sono ora risaliti a 405 mila. In calo, invece, le religiose e soprattutto i religiosi (da 75.802 nel ’78 a 54.970 nel 2001). In aumento i diaconi: da 5.562 nel 1978 a 29.204 nel 2001.

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