Dossier

India, le camicie della solidarietà

di Renato BuriganaMadaplathuruth – Le suore Francescane di Santa Elisabetta non potevano festeggiare in modo migliore i loro primi dieci anni di presenza in India. Una settimana intensa quella che è stata vissuta dalle suore e dalla delegazione della Coop di Firenze in Kerala. L’inaugurazione della fabbrica di camicie, gli incontri ufficiali, la scoperta, guidati sempre dalle suore, di un Paese complesso, ma soprattutto la voglia di proseguire con maggiore energia ed entusiasmo i progetti già iniziati. La fabbrica delle camicie, costruita in meno di due anni, su un terreno di proprietà delle Suore Francescane di Santa Elisabetta, darà lavoro a una settantina di ragazze del villaggio.

È una risposta concreta alla disoccupazione di Madaplathuruth (circa 3.000 famiglie), ma soprattutto permetterà alle giovani di avere anche una dote, indispensabile in India per sposarsi. L’inaugurazione è stata un momento di festa per l’intero villaggio. Il presidente della Regione, Claudio Martini, le autorità locali e regionali del Kerala lo hanno sottolineato con forza nei loro interventi. Martini, che la sera prima aveva avuto un lungo incontro con i politici locali, ha ribadito l’impegno della Toscana per le donne. «Lo sviluppo o c’è in tutto il mondo – ha detto durante l’inaugurazione – o non ci sarà da nessuna parte. Anch’io, come il Papa, penso che la povertà è la nemica della pace; dobbiamo costruire la pace per battere la povertà».

Dopo i discorsi, e il taglio del nastro, le famiglie del villaggio avevano, cucinando tutta la notte, preparato il pranzo per le oltre 1000 persone intervenute. E la sera, nella grande tenda costruita di fronte alla fabbrica, i gruppi parrocchiali hanno dato vita a uno spettacolo musicale. È significativo che i giornali locali abbiano dato spazio a questa notizia, con articoli e foto. Nel Kerala, c’è una forte presenza cristiana, ma la quasi totalità è indù; ai missionari vengono imposte molte restrizioni a cominciare dai visti di ingresso. Monsignor Francis Kallarakall, vescovo della diocesi di Kottapuram (nella cui giurisdizione c’è la casa delle suore e la fabbrica) non ha potuto essere presente all’inaugurazione perché impegnato con la riunione di tutti i vescovi indiani «e non è bene assentarsi dall’assemblea, anche se per importanti motivi». Ha voluto ricevere in Arcivescovado la delegazione. «La chiesa non vuole convertire nessuno – ha detto monsignor Francis – ma solo arrivare al cuore di ogni uomo e donna. Presentare Cristo, così come faceva madre Teresa. Servire i poveri è il nostro unico e solo obiettivo».

È un vescovo giovane, nato in un villaggio vicino. Regge la diocesi di Kottapuram, 34 parrocchie, dalla sua costituzione nel 1987. Ha voluto dedicare tutta la mattinata all’incontro con le suore francescane e la delegazione, rispondendo alle domande, spiegando la pastorale della diocesi. «La fabbrica – ha detto ancora il vescovo – non risolve i problemi del villaggio, e non poteva che essere così, ma è un segno, un segno importantissimo di speranza per tutti, cristiani e indù».

Madre Daniela Capaccioli, superiora delle Francescane di Santa Elisabetta e suor Mariangela Schirru, che tutti chiamano la «mamma di Madaplathuruth», con le otto suore indiane presenti nella casa hanno guidato la delegazione nella visita alle famiglie, nei villaggi, alla scoperta del Kerala. La scelta di essere ospiti del convento è stata indovinata, perchè la convivenza continua ha permesso di scoprire e provare a capire molte cose. «Il convento è veramente un luogo di ascolto – ha detto Renata, presidente della sezione soci Coop di Signa – di confronto e di dialogo». Suor Francesca, indiana di 24 anni, proveniente da una famiglia cattolica che comunque aveva ostacolato la sua scelta, ha riassunto il motivo che l’ha spinta a diventare suora: «L’amore e il servizio quotidiano verso i più poveri».Nessuno si immaginava la povertà che è stata vista. In particolare nel villaggio dei pescatori, poco lontano da Madaplathuth. Dove tutti abitano in capanne fatte con le foglie dei cocchi intrecciate. È lì che la delegazione, in silenzio, camminando accanto ai bambini e distribuendo le caramelle portate dalle suore ha deciso di «adottare» la scuola del villaggio. Quaderni e libri, la merenda della mattina, le divise e quanto occorre ai giovani scolari verrà fornito da Claudio, Luciano, Daniela, Mauro, Renata, Enzo e Roberto. A Madaplathuruth ha vissuto una importante esperienza anche Silvia, impiegata della Coop di Pontassieve. Ha condiviso con le suore l’assistenza ai poveri e in particolare ai bambini.

L’ultima sera, prima della partenza prevista alle 4 della mattina, nessuno aveva voglia di andare a letto. Le suore indiane avevano organizzato, dopo cena, un piccolo spettacolo con danze e canti. Poi ciascuno ha voluto esprimere il suo grazie per l’ospitalità, per l’aiuto dato a capire. E Roberto, che aveva cucinato la cena italiana quando era venuto il vescovo, ha detto con la voce rotta dall’emozione «stare con voi mi è sembrato come essere a casa mia, con le mie figlie. Mi avete aiutato in tutto, anche a superare la lontananza dalla famiglia». L’appuntamento è per la prossima estate, quando a fine agosto, le otto suore indiane verranno in Italia, e a Casalino faranno la professione solenne.

Da Pratovecchio a Madaplathuruth«Innamorate» dei poveri: è la missione delle suore terziarie francescane di Santa Elisabetta che hanno promosso, nel villaggio di Madaplathurut, in India, la costruzione della fabbrica di camicie inaugurata nei giorni scorsi dal presidente della Regione Toscana, Claudio Martini.La congregazione, che ha 115 anni di vita, privilegia l’assistenza ai più poveri sia nelle 12 diocesi italiane in cui è presente che nelle missioni in India, in Bolivia e nelle Filippine. La casa madre è a Pratovecchio (Arezzo), in diocesi di Fiesole, e quella generalizia è a Firenze. «Ovunque operiamo – spiega la superiora generale madre Daniela Capaccioli – non cambiamo il sogno dei nostri fondatori, “farsi carico dei poveri ovunque essi siano”, ma lo adeguiamo alle esigenze dei luoghi e dei tempi». Un compito tutt’altro che facile visti gli scenari internazionali in cui operano queste sorelle, una task-force di 93 persone assai preparate: sono in maggioranza laureate e laureande; il 60% ha un età variabile dai 20 ai 30 anni e più della metà sono boliviane, indiane, filippine.«La selezione – spiega suor Daniela – è severa e la formazione delle giovani dura 10 anni; devono parlare sei lingue (oltre ad italiano, inglese e spagnolo anche malayalam, tagalog, chavacano) e studiare un ampio ventaglio di materie: teologia, scienza dell’educazione, servizio sociale, scienze sanitarie e infermieristiche, lingue straniere, informatica. Dedicarsi ai poveri, oggi – sottolinea la religiosa – esige non solo amore e passione, ma anche competenza secondo l’intuizione dei fondatori. Nel 1888 Elisabetta Casci, un’umile ragazza del Casentino, all’età di 18 anni ebbe l’intuizione, assieme a don Giuseppe Marchi, parroco di Casalino, una frazione di Pratovecchio, sul limitare della foresta di Camaldoli, di creare l’Istituto Santa Elisabetta per il servizio dei poveri, degli orfani e dei malati, specialmente dell’Appenino Toscano, all’epoca senza strutture pubbliche di assistenza e lontano dai centri».

«L’Istituto stesso – spiega ancora la madre – doveva essere piccolo e povero e tutte le nostre case sono improntate ad una grande sobrietà e sono abitate da piccoli nuclei di cinque-sei sorelle. In India siamo presenti dal 21 febbraio 1994 con questa casa nel villaggio di Madaplathuruth. Su 300 famiglie moltissime vivono sotto la soglia di povertà: non hanno casa, né assistenza medica né lavoro e le famiglie praticano la coltivazione di noci di cocco e la pesca. Così, fin dal nostro arrivo, abbiamo finalizzato gli interventi nell’ area abitativa, in campo sanitario ed educativo e nella promozione del ruolo della donna».

Sempre in India, ma a Bangalore, le suore francescane hanno aperto, lo scorso agosto, una casa di noviziato e contano di realizzare un villaggio per la gioventù rivolto ai bambini di strada e alle donne abbandonate. Giovani e bambini sono al centro delle cure delle sorelle che operano in Bolivia, dove sono stati fondati anche due piccoli ospedali, e nelle Filippine dove è stato aperto un «pronto intervento sanitario» per i bambini di strada.Riccardo Galli

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