Dossier

Irpet: rapporto sul benessere e condizioni di vita in Toscana

Riflettere in termini di benessere della collettività può apparire controcorrente, nell’era della globalizzazione in cui si esalta “la società degli individui” e il benessere individuale. In ogni caso la Regione Toscana, per delineare il sistema toscano di welfare society, ha come obiettivo principale quello di capire le esigenze della popolazione locale e conoscerne le capacità per soddisfarle. Per questo ha promosso, attraverso l’Istituto di ricerche economico-sociali (Irpet) della Regione stessa, un’analisi del concetto di benessere sociale e dei processi che hanno condotto alla formazione dell’attuale livello di sviluppo. L’Irpet ha così pubblicato un Rapporto dal titolo “Benessere e condizioni di vita in Toscana”, fornendo non solo un contributo alla conoscenza delle condizioni di vita in Toscana, ma anche uno strumento operativo capace di evidenziare limiti e potenzialità del modello toscano, in funzione dell’esigenza di migliorare il livello di benessere raggiunto. In una società evoluta e ricca, la nozione di benessere è complessa e diviene oggetto di analisi multidisciplinare: sia l’economia politica che la filosofia ne sono direttamente coinvolte, senza dimenticare gli apporti fondamentali della sociologia e della scienza della politica. Infatti, il benessere o qualità della vita o felicità pubblica – come viene definito dal Prof. Stefano Zamagni dell’Università degli studi di Bologna – è determinato dalla possibilità di disporre di beni materiali e anche da altri fattori: vivere in un ambiente pulito, godere di buona salute, usufruire di buoni servizi pubblici, circolare con tranquillità fuori dalla propria abitazione, avere buone opportunità di impiegare il proprio tempo libero.Dal rapporto si deduce, come primo aspetto, che la crescita economica, misurata in base al PIL, è condizione necessaria ma non sufficiente per godere di un’elevata qualità della vita. Non c’è, quindi, una relazione meccanica fra crescita economica e miglior qualità della vita. Non sempre infatti i territori a più elevato reddito presentano maggiore longevità, minori tassi di mortalità, più alti tassi di istruzione, più bassi livelli di criminalità o più elevata coesione sociale. Toscana, un benessere qualitativoGrazie ad una notevole ricchezza di dati e informazioni (su una molteplicità di fenomeni sociali, economici, ambientali, demografici), di valutazioni oggettive (indicatori) e soggettive (preferenze espresse) in grado di descrivere la società toscana in tutti i suoi principali connotati, il rapporto afferma come in Toscana si viva meglio di quanto non risulti dalla semplice osservazione del PIL pro-capite: la regione si colloca infatti al secondo posto nella graduatoria del benessere nelle regioni italiane, mentre occupa solo il nono nella più ristretta graduatoria in termini di PIL.

L’analisi afferma che il giudizio sullo stato del benessere varia significativamente quando le statistiche sul PIL sono integrate con i diversi aspetti sociali, culturali e ambientali che influenzano la vita dei cittadini. Il rispetto per gli equilibri ecologici, l’attenzione alle classi meno agiate della popolazione, un’elevata coesione sociale sono aspetti caratteristici di un’esperienza che ha saputo unire alla crescita economica la sostenibilità ambientale e sociale.

In Toscana si vive bene: la percezione soggettivaAnaloghe conclusioni derivano dalla percezione soggettiva che i toscani hanno per la qualità della loro vita. Nella scala di valori espressa, i toscani pongono in secondo piano gli aspetti strettamente reddituali enfatizzando l’importanza di altri elementi che incidono sul livello di benessere, in ordine decrescente:1. vivere in ambiente di vita e di lavoro sano e non inquinato;2. vivere in una società che aiuta le persone in difficoltà;3. vivere in un ambiente con bassi livelli di criminalità;4. avere un reddito sicuro nel tempo;5. disporre di elevati servizi sociali.Ciò non significa che il reddito non conti, ma piuttosto che, quando è alquanto elevato, esso perde di importanza rispetto agli altri aspetti tipici di una società più evoluta e sul cui soddisfacimento prevale una percezione soggettiva ampiamente positiva. Infatti la maggioranza dei toscani si dichiara molto o abbastanza soddisfatta delle diverse sfere in cui si articola la vita di tutti i giorni: ambiente, sicurezza pubblica, servizi ricreativi e culturali, trasporti pubblici, servizi socio-sanitari, salute, livello di istruzione, lavoro svolto, tempo libero a disposizione. La disuguaglianza dei redditi familiari Nel 1998 il 50% delle famiglie toscane dichiarava meno di 39 milioni di lire nette annue; il 20% delle famiglie più povere non superava i 22 milioni netti, mentre il 20% delle famiglie più ricche superava i 60 milioni netti. In termini di quote distributive, alla metà delle famiglie spettava il 28% del reddito disponibile complessivo; il 10% delle famiglie più povere disponeva del 2% del reddito globale, mentre il 10% delle famiglie più ricche il 22%.Il quadro che si ricava rivela l’esistenza di significative differenze fra le famiglie toscane. A incidere di più sulle disparità familiari sono il livello di scolarità e la qualifica professionale, rispetto alla dimensione della famiglia, del genere e dell’età del capofamiglia. Infatti, i risultati dell’indagine consentono di fornire un quadro di sintesi dei fattori che influenzano lo sviluppo della condizione di povertà di una famiglia; la povertà colpisce con maggiore probabilità:

• relativamente alle tipologie familiari, le famiglie composte da una sola persona ultra 65enne, poi le coppie con il capofamiglia ultra 65enne, infine i nuclei monogenitoriali;

• relativamente alla tipologia di godimento dell’abitazione, le famiglie che vivono in locazione rischiano una probabilità di cadere in una situazione di indigenza relativa del 13% superiore a quella delle famiglie proprietarie dell’abitazione in cui risiedono;

• relativamente alla condizione di genere, le famiglie con capofamiglia di sesso femminile hanno una probabilità di essere povere pari al 28%, contro il 17% per le famiglie con capofamiglia di sesso maschile;

• relativamente al numero di figli, le famiglie con tre o più figli, la cui probabilità di essere povere supera del 10% quella delle coppie senza figli;

• relativamente alla condizione professionale e al titolo di studio del capofamiglia, le persone con basso titolo di studio, gli operai agricoli, le casalinghe e ovviamente i disoccupati.

In Toscana le famiglie mononucleari sono minori che altrove e le case in proprietà sono maggiori rispetto ad altre regioni italiane in quanto è anche diffuso il trasferimento intergenerazionale (dai nonni o dai genitori a favore delle giovani coppie) della proprietà di una abitazione; inoltre, la quota di anziani soli (una delle cause prevalenti del disagio economico) è molto contenuta.

Di fronte a questi fattori di rischio di povertà e alla relativa analisi, si può spiegare il perché nella regione l’incidenza (percentuale di famiglie povere) e l’intensità di povertà (quanto in media la spesa delle famiglie è percentualmente inferiore alla soglia di povertà) siano molto contenute rispetto al resto dell’Italia. (vedi tabella 1)

Questa situazione di relativo benessere familiare non è tanto legato alle politiche sociali attivate a vantaggio della famiglia, quanto alla tipologia di famiglia che si ha in Toscana, alla percezione forte della famiglia come valore. L’analisi valuta ancora oggi rilevante il ruolo della famiglia nella società toscana. La permanenza dei figli al suo interno protratta nel tempo, il ruolo dei nonni, la bassa presenza di famiglie monoparentali sono tutti elementi che tendono ad attenuare molti dei problemi legati alla distribuzione del reddito, alla ricerca del lavoro, alla stessa assistenza: la famiglia si trova oggi a garantire parte di quel welfare che lo il sistema pubblico non fornisce. La famiglia garantisce, infatti, un impegno non indifferente nell’offerta di solidarietà ai rispettivi componenti e anche alla “famiglia allargata” (aiuto economico fornito ai figli, che escono di casa sempre più tardi; carico assistenziale pesante nell’avere in casa un anziano malato o un disabile; impegno attivo dei nonni verso i nipoti finché sono piccoli), in un contesto socio-politico in cui la spesa assistenziale per le famiglie è in Italia – e quindi anche in Toscana – modesta e addirittura declinante. I due principali istituti sono gli assegni familiari (però rivolti ai soli lavoratori dipendenti) e i sostegni al reddito per la maternità (assegno di maternità e assegno per i nuclei familiari con almeno tre figli minori); anche considerando le detrazioni fiscali per familiari a carico, le risorse investite per la famiglia restano comunque limitate.

Un modesto ricambio demograficoLe stesse politiche di welfare sono orientate prevalentemente a favore delle classi di età più avanzata, in quanto, per la maggiore longevità e soprattutto per il minore tasso di natalità, la struttura della popolazione è proiettata sull’età adulta e anziana. E’ evidente il modesto ricambio demografico ed emergono in modo particolare i riflessi dell’invecchiamento della popolazione nelle scelte di investimento economico nel privato e nel pubblico. Ad un’alta propensione al risparmio non fa riscontro un’altrettanto alta propensione all’investimento, e ciò rischia di non offrire significative alternative rispetto alle produzioni e di rendere ancora più difficoltoso l’impiego dell’offerta di lavoro.L’invecchiamento della popolazione impedisce così il collegamento tra le condizioni richieste per il mantenimento di un elevato livello di benessere e quelle offerte per realizzarlo: le capacità produttive si ridurranno, a fronte di crescenti bisogni della popolazione, che richiederanno maggiore spesa pubblica (pensioni, sanità e assistenza). Le pressioni migratorieL’accentuata difficoltà di ricambio della popolazione, per il momento è controbilanciata dai movimenti migratori. Gli stranieri risultano una risorsa per il riequilibrio demografico e possono anche contribuire a migliorare lo sviluppo e il funzionamento del mercato del lavoro, soprattutto negli ambiti disertati dai toscani. I dati a disposizione (permessi di soggiorno di fonte Caritas e residenti stranieri di fonte ISTAT) lo evidenziano.La Toscana è diventata infatti negli ultimi anni la quinta regione italiana per presenza di immigrati con il 3,2%, contro una media nazionale del 2,5%. (vedi tabella 2). Il raffronto con i dati nazionali evidenzia una particolare attrazione di: 1. cinesi, legati ad attività tessile (Prato e interland), ristorazione e commercio di prodotti cinesi (Livorno e zone limitrofe di Pisa e Firenze)2. albanesi3. senegalesi4. rumeni (soprattutto donne)

Come in gran parte del territorio italiano, fra gli immigrati residenti le donne sono ormai poco meno numerose degli uomini. Questo nuovo modello di immigrazione che caratterizza la Toscana è determinato dall’elevato numero dei ricongiungimenti familiari e dall’attrazione esercitata dalla domanda di lavoro femminile nei servizi domestici e di cura. In Toscana la proporzione delle immigrate residenti è mediamente più elevata che in Italia. Sono invece sottorappresentate, relativamente alla componente femminile, le etnie dell’Africa sahariana (Marocco, Tunisia).

Quel che resta da fareLa Regione Toscana si è basata su queste osservazioni ed analisi della realtà socio-economica regionale per elaborare il Piano integrato sociale 2002-2004 teso a delineare gli obiettivi e modelli da seguire per affermare un sistema toscano di welfare.

Molto è stato fatto, ma molto resta da fare per migliorare le caratteristiche del modello di sviluppo economico, demografico e sociale della regione: aiutare le piccole e medie imprese nell’opera coraggiosa di investimento economico per accrescere un’efficiente allocazione delle risorse; favorire lo sviluppo delle infrastrutture finalizzate alla mobilità per fornire un accesso più comodo e facile al lavoro e al consumo; promuovere politiche a sostegno della famiglia per alimentarne il ruolo redistributivo (trai percettori e i non percettori di reddito), riallocando in modo equo le risorse disponibili a livello familiare; considerare l’immigrazione come una componente della popolazione da inserire adeguatamente nel sistema di protezione sociale così da valorizzarla pienamente come risorsa di un possibile riequilibrio demografico e socio-economico, evitando alle donne immigrate la difficile conciliazione fra lavoro e maternità, che farebbe loro assumere nel tempo gli stessi comportamenti a bassa fecondità delle donne italiane.

La schedaIl reddito è elevato…Il reddito a disposizione per il consumo è sufficientemente elevato: la Toscana infatti non è solo tra le Regioni più ricche d’Italia, ma anche d’Europa. Il reddito medio annuo per abitante è di quasi 16 mila euro, contro i circa 14 mila che rappresentano la media nazionale ed i 14,5 mila euro della media europea. …e distribuito in modo articolato e differenziato I redditi variano significativamente rispetto al genere, all’età, al titolo di studio, alla professione, alla dimensione e alla tipologia della famiglia: sono, ad esempio più alti quei redditi percepiti dal sesso maschile, sono positivamente correlati al titolo di studio e all’ampiezza della famiglia, riflettono l’importanza sociale delle singole professioni, sono inferiori nelle famiglie monoparentali. Altrettanto significativamente i redditi variano entro ciascuna delle precedenti categorie: la disuguaglianza è maggiore fra le donne piuttosto che fra gli uomini, crescente al crescere dell’età del capofamiglia, più alta nelle famiglie numerose e superiore nel lavoro autonomo piuttosto che in quello dipendente.