Dossier

La tragedia della «Concordia»

Ci vorrà tempo perché l’inchiesta, condotta dal pm Francesco Verusio, della procura di Grosseto, arrivi a conclusioni certe. L’apertura della scatola nera, ad esempio, potrà esser fatta solo con un incidente probatorio per il quale devono essere avvisate tutte le persone coinvolte, dai dirigenti della Costa ai 4 mila passeggeri, provenienti da tutto il mondo. Una cosa però è certa. La «Costa Concordia» alle 21,45 di venerdì 13 gennaio è andata a sbattere contro gli scogli delle Scole, che si trovano a 150 metri dalla costa, alla velocità di 15 nodi, durante una manovra di avvicinamento all’Isola del Giglio per un «inchino», cioè un passaggio ravvicinato effettuato manualmente dal comandante Francesco Schettino, 52 anni. Ancora da chiarire per chi fosse quel «saluto» e se la compagnia ne fosse a conoscenza. A bordo della nave, proveniente dal porto di Civitavecchia e destinata ad approdare a Savona, vi erano 4.229 persone, di cui oltre mille di equipaggio. Dopo l’impatto, che causa uno squarcio di circa 70 metri, la nave frena bruscamente con i locali motori subito invasi dalle acque e con un blackout. Le pompe non funzionano. Successivamente la nave va in «testacoda», incagliandosi poi nei pressi di Punta Gabbianara. Il comandante Schettino rivendica di avercela portata con una manovra, per salvare i passeggeri, ma su questo la Procura ha molti dubbi.

Alle 22,06 i carabinieri di Prato telefonano alla Capitaneria di Livorno dopo che una pratese, Lucia Calapai ha ricevuto una telefonata allarmata dalla madre che si trova a bordo della nave. Alle 22,14 la Capitaneria, dopo averla cercata con il sistema Ais (e rimane da chiarire perché non se ne fosse accorta prima), rintraccia la «Concordia» e chiama a bordo: dalla plancia rispondono che è solo un black-out, in corso da circa 20 minuti. Aggiungono che ritengono di poter risolvere il problema. Dalla sala operativa insistono spiegando di sapere che i passeggeri hanno i giubbotti salvagente e che in sala da pranzo si è verificato il cedimento del ponte. Tuttavia la plancia ribadisce che si tratta solo di un blackout. Solo alle 22,26: dalla «Concordia» ammettono che c’è «una via d’acqua», ovvero una falla. «Ci sono feriti o deceduti?» chiedono dalla Capitaneria. Dalla nave rispondono che è tutto a posto. La guardia costiera domanda se hanno bisogno di assistenza, ma dalla Concordia dicono che è sufficiente l’assistenza di un rimorchiatore. La Capitaneria invece avvia la macchina dei soccorsi. Alle 22,34, dietro insistenza della capitaneria, dalla «Concordia» accettano di lanciare il «distress», cioé in gergo la necessità di soccorso. Sul posto iniziano a portarsi motovedette e navi in zona che possono portare assistenza.

Alle 22,58 la nave è già ferma dov’è ora. La Capitaneria chiede di nuovo al comando della Concordia se vogliono dichiarare l’abbandono nave. Da bordo rispondono «ok: abbandono nave». Alle 23,10 si ha notizia che i primi passeggeri sono scesi, a bordo di scialuppe. La nave si inclina su un lato creando grandi problemi per gli spostamenti interni e per l’utilizzo delle scialuppe. Verso mezzanotte  e mezzo il comandante viene visto da testimoni attendibili su uno scoglio a destra della nave. Il capitano di fregata Gregorio De Falco, 46 anni, a capo della sala operativa della capitaneria di Porto di Livorno, chiama più volte Schettino, avvisandolo che sta registrando le telefonate, e gli intima invano di tornare a bordo per coordinare l’evacuazione. Alle 4,46 la Guardia di finanza comunica che la nave è evacuata e che a bordo ci sono solo soccorritori.

I primi ad accogliere i naufraghi sono stati gli abitanti del Giglio. Fra loro il parroco di San Lorenzo e Massimiliano, don Lorenzo Pasquotti (vedi intervista in queste pagine), che ha aperto le porte della sua chiesa. Panche e navate in poco tempo si sono riempite di persone infreddolite, seminude, spaventate. Il prete ha usato le tonache dei chierichetti per coprirle, le tovaglie dell’altare e persino i paramenti. Grande la mobilitazione anche del volontariato. A Porto Santo Stefano, dove i naufraghi vengono trasferiti, è la Misericordia a prendersi carico delle prime necessità e di allestire punti di ristoro.

Si ha subito notizia che nell’incidente ci sono stati dei morti. Ad oggi (mercoledì 25 gennaio) sono stati recuperati 16 corpi, in gran parte identificati. Ma ci sarebbero ancora 22 dispersi (di cui alcuni probabilmente tra i sei cadaveri non ancora identificati).

I processi sommari sulla pubblica piazza telematica (di Andrea Fagioli)

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Il parroco del Giglio: In chiesa ancora i «segni» del disastro

Il vescovo Borghetti tra i superstiti e i familiari di vittime e dispersi