Dossier

La tv senza Dio

DI ETTORE BERNABEIIn questi ultimi anni si fa un gran parlare di televisione; ma senza andare al nocciolo della questione, rimanendo alla superficie, con critiche tecniche ad interpreti, pettegolezzi su operatori e presentatori di programmi, discettazioni giuridiche sulla proprietà o sui metodi di conduzione delle emittenti. Il vero problema della televisione è il contenuto dei programmi; perché la televisione presenta, comunque e sempre, modelli di comportamento. Pertanto il nocciolo della questione sta nelle conseguenze, personali e sociali, che quei modelli determinano sugli uomini e le donne che – nel mondo sviluppato – guardano la televisione per tre ore al giorno. Nei prossimi anni le nuove tecnologie aumenteranno l’offerta di programmi ed un qualsiasi teleutente potrà, oltre che ricevere, anche trasmettere da casa propria. Pertanto bisogna prepararsi a forme di vita individuale e associata, sempre più pervase dalla comunicazione televisiva.Negli ultimi venti anni la televisione è diventata etimologicamente atea; perché è stata intenzionalmente pensata e realizzata prescindendo da Dio. Tutti i programmi di informazione e di intrattenimento televisivo sono sequenze di innumerevoli forme di esistenzialismo immanentista, come se Dio non esistesse, come se non esistesse una verità rivelata e neppure un ordine naturale delle cose create.

Come è avvenuta questa inversione di tendenza, rispetto a tutti i tipi di comunicazione, che si sono succeduti nei millenni dei quali l’umanità ha memoria? Quale ne è stata la causa determinante?

I processi sono stati lunghi, e talvolta sotterranei: dall’empirismo inglese alla riforma protestante; dall’illuminismo alle aberrazioni delle ideologie fasciste e comuniste; dal consumismo alla finanziarizzazione della economia capitalistica. Ma il detonatore è stata la pubblicità che, piano piano, da semplice ed utile integrazione informativa sulla produzione e distribuzione di beni e servizi, quale era nella primitiva tv, è diventata padrona determinante di tutti i programmi di intrattenimento e di buona parte di quelli di approfondimento informativo.È interessante ripercorrere le fasi di questo processo.Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Europa occidentale giustamente scelse per la tv il sistema di un canone, pagato dagli utenti ad una società emittente, controllata dal Governo e garante dei diritti dei cittadini. Per trenta anni fu assicurato a tutti i telespettatori il rispetto delle loro idee. Stati Uniti cattivi maestriNegli Stati Uniti potenti gruppi di finanza laica fecero adottare il sistema privatistico – di far pagare le spese di trasmissione alla pubblicità. La motivazione ufficiale fu quella di garantire a tutti i cittadini la libertà di esprimersi attraverso la tv. Ma con il passar del tempo questa libertà non è stata garantita. Le emittenti generaliste, diffuse su tutto il territorio federale, si sono ridotte a tre (ABC, CBS, NBC) con una programmazione permissiva e diseducativa per i minori, al punto che il Congresso ha dovuto approvare leggi che proibiscono in tv scene di sesso e di violenza dalle otto di mattina alle dieci di sera. Ma, come già accade per l’abuso di alcol, le leggi proibizioniste non hanno risolto il problema. Nel frattempo quel tipo di programmazione è stata esportata in tutto il mondo.

Oggi – in tutti i paesi – il gran male della televisione è che i programmi non sono pensati e realizzati per i miliardi di uomini e di donne che li vedono. Sono finalizzati al profitto di pochi operatori della pubblicità. Questi operatori finiscono per essere i veri determinatori della televisione, o direttamente – come negli Stati Uniti – finanziando gli ideatori e realizzatori dei programmi; o indirettamente – come in Italia – attraverso la arbitraria e incontrollabile dittatura dell’Auditel, cioè del sistema di rilevazione degli indici di ascolto. Contemporaneamente i pubblicitari sono riusciti ad ottenere che i loro annunci venissero trasmessi in tutte le ore del giorno, con affollamenti ossessivi nelle ore di maggior ascolto; che interessassero qualsiasi tipo di programma; che fossero interpretati dallo stesso attore o presentatore del programma in corso. Da qualche tempo i pubblicitari sono riusciti a far inserire nei programmi (che fanno da sandwich ai loro annunci) determinati atteggiamenti e frasari, ritenuti di gradimento delle persone di età tra i 30 e i 45 anni, considerate consumatori più propensi a spendere denaro anche nel superfluo. Infine hanno concesso tariffe più alte, per gli annunci inseriti in programmi con un tasso di violenza e di erotismo più elevati.

Così in tutto il mondo, i pubblicitari sono diventati i veri padroni dei programmi della televisione, ben definita dalla signora Ciampi «deficiente»; perché sempre più scarsa di intelligenza e di rispetto per gli uomini e le donne che la guardano e la pagano sempre e comunque.

C’è la convinzione che l’unica spesa che gli italiani fanno per vedere la televisione così detta generalista (le tre reti Rai e le tre Mediaset) sia quella del canone di abbonamento alle radioaudizioni. In realtà gli italiani (così come i francesi ed i tedeschi) oltre al canone di abbonamento pagano anche la così detta Tv commerciale o privata; perché, quando vanno a fare la spesa, versano – anche se non se ne accorgono – un sovrapprezzo, che produttori e distributori impongono su ogni bene o servizio propagandato in televisione. Con l’aggravante che il balzello è imposto anche a chi non guarda la televisione.Ma l’imposizione più iniqua che la pubblicità fa ai telespettatori è quella dello agnosticismo religioso e morale. I pubblicitari hanno imposto alla comunicazione televisiva di ignorare l’esistenza di Dio con lo specioso pretesto del rispetto dei non credenti, possibili acquirenti dei prodotti propagandati. Questa imposizione, con l’andar del tempo si è tramutata in una vera e propria discriminazione a danno dei credenti, che in televisione – anche nei nostri tempi di secolarizzazione – sono la schiacciante maggioranza. Poco tempo fa negli Stati Uniti una inchiesta demoscopica, sugli orientamenti degli spettatori e degli operatori della tv, ha posto la domanda: «Lei crede in Dio?». Hanno risposto sì il 95% dei telespettatori ed il 26% degli operatori televisivi. Alla domanda: «Lei frequenta una chiesa?» rispettivamente il 48% ed il 7%. Il che vuol dire che una ristretta minoranza di operatori televisivi non credenti, scelti dai vertici con il criterio dello agnosticismo e delle ubbidienze conseguenti, impongono ad una schiacciante maggioranza di spettatori credenti, una televisione etimologicamente atea. Contemporaneamente, produttori e distributori si cullano con le assicurazioni, fornite dai pubblicitari, che i loro prodotti saranno acquistati tranquillamente anche dai telespettatori non credenti.Anche in Italia i telespettatori sono in grande maggioranza credenti, come ha rilevato una recente statistica pubblicata dal supplemento femminile di «Repubblica» con questi dati: il 91% degli intervistati crede in Dio; il 60% nel Paradiso; il 46% nell’Inferno. Eliminati i codici moraliIn maniera ancora più subdola i pubblicitari hanno imposto alla televisione di eliminare, di fatto, ogni codice morale, in maniera che i telespettatori non si sentissero in alcun modo assillati da rimorsi e limitati nella sfrenata propensione a spendere denaro per acquistare le cose anche più inutili e superflue. Così è diventato tipico della televisione il sistema di mettere sullo stesso piano: il bene e il male, il vero ed il falso; finalizzando tutto al piacere individuale.In tutti i programmi l’erotismo è diffuso a vari livelli fino a quelli della pornografia; cancellando decenni di impegni femministi e di iniziative per dare alla donna pari dignità con l’uomo. Quando non c’è la violenza di invenzione dei film e telefilm, provvedono le informazioni terrorizzanti di atti di violenza collettiva, organizzati da fantomatiche ed imprevedibili «primule rosse», o di innumerevoli fatti di cronaca nera municipale, portati alle ribalte nazionali ed internazionali con il cattivo gusto dell’orrore.Con questi sistemi si sono imposti, anche a persone di vita normale i programmi della cosiddetta tv della realtà – come «Il grande fratello» – che raggiungono il massimo della degradazione umana, soprattutto perché presentano casi anomali ed estremi come la normalità della vita.

Per coloro che si ponessero ancora interrogativi sui «Novissimi», la televisione in tutto il mondo, a tutte le ore cerca di dare ad intendere che ogni problema sarà risolto dalla scienza e dalla tecnica.

Tutte queste cervellotiche aberrazioni – finalizzate esclusivamente al maggior utile dei gestori e all’ottundimento dei telespettatori – costituiscono lacerazioni e divisioni che risultano ormai inaccettabili, dopo che la televisione – per grazia di Dio – ha rivelato la sua capacità di unire e di amalgamare individui e gruppi di diversa estrazione, culturale, sociale ed etnica. A questo punto mi chiederete: Cosa si può fare per migliorare questa televisione? In particolare cosa si può fare per ritornare ad una programmazione che faccia riferimento ai valori orientativi del bene, del giusto, del vero, che sia finalizzata all’uomo, creatura di Dio? Una politica declassataInutile pensare – in qualunque paese – ad interventi decisivi delle forze politiche sui contenuti della programmazione. In tutto il mondo, da alcuni decenni, la politica è relegata al terzo posto nell’esercizio del potere; mentre la finanza è passata al primo e la comunicazione al secondo, sempre in stretta intercomunicazione tra loro per offrire ai telespettatori informazioni e spettacoli distraenti e narcotizzanti. Altrettanto vana sarebbe l’illusione di trovare, in Italia, un angelo benefattore, disposto a finanziare l’acquisto di una delle sei reti generaliste che raccolgono i grandi ascolti televisivi. Una di queste reti intermedie – escludendo le due maggiori – costerebbe dai 5 ai 6 miliardi di euro. E, se anche si trovasse un Paperon de’ Paperoni disposto a comprarla, quella rete dove troverebbe buoni programmi per famiglie, dove recluterebbe il personale capace di inventare e realizzare programmi per persone normali?

Pertanto bisogna prepararsi seriamente ad agire sui telespettatori e sugli operatori della televisione, partendo dal dato di fatto, confortante, che la gente che guarda la tv (con tutte le sue deficienze e involuzioni) è molto migliore di chi fa i programmi. Che sia migliore lo dicono non soltanto le statistiche sopra riportate, ma in maniera significativa recenti dati di ascolto di certi programmi di dichiarato contenuto religioso e con evidenti riferimenti al sacro: I 21 film della Bibbia – prodotti dalla Lux Vide – in tutti e 143 paesi dei 5 continenti nei quali sono stati trasmessi, hanno registrato ascolti superiori alla media di quelle emittenti. Particolarmente significativo il fatto che la CBS, quando ha trasmesso il film «Jesus» negli Stati Uniti, ha raddoppiato i suoi ascolti, passando da 20 a 40 milioni di ascoltatori. Il film su Giovanni XXIII trasmesso, in due puntate, dalla Rai nel 2003 detiene il primato degli ascolti della fiction televisiva in Italia degli ultimi 20 anni. L’anno scorso, nelle serate del giovedì, Canale 5 trasmetteva «Il grande fratello» raggiungendo il 36% di ascolto e relegando Rai Uno al 12-13%. Quando, il 19 febbraio di questo anno, si è deciso di rischiare il confronto, trasmettendo anche «Don Matteo» al giovedì, Rai Uno ha raggiunto il 28% dell’ascolto di quella sera, mentre «Il grande fratello» è sceso al 29%.

Ma il risultato più significativo l’ha raggiunto Benigni, che, quando ha letto e spiegato il XXIII canto del Paradiso di Dante, ha avuto su Rai Uno 12 milioni di spettatori, dalle 22,30 alle 23,30, in un ora cioè in cui la maggior parte della gente va a dormire.

Questo vuol dire, non soltanto che la maggior parte dei telespettatori credono in Dio, ma che sono anche disposti a dimostrare le proprie convinzioni, a patto che le occasioni televisive siano di alto livello e di buona qualità.Questo pubblico va incoraggiato, sostenuto, arricchito con iniziative di incontri di dibattiti, di conferenze con esperti; abbandonando le politiche dello struzzo che per tanto tempo hanno consigliato di non guardare la televisione: Gli assenti hanno sempre torto. Un bambino che non guardasse la televisione crescerebbe handicappato, rispetto ai coetanei, che ricevono dai teleschermi nozioni e informazioni. Gli adulti devono difendere quel bambino e tutti i minori dalla cattiva televisione, innanzitutto stando insieme a loro davanti ai televisori, insegnando loro quando e come la televisione sbaglia.

Mi direte: quanti genitori, quanti insegnanti hanno il tempo e soprattutto la capacità culturale e morale di dare questa assistenza?

Penso che per il momento siano pochi. Bisogna aumentarne il numero e migliorarne le capacità.

L’esempio del volontariatoCome da anni con il volontariato si organizzano mense e alloggi per i più diseredati, penso che si possano organizzare corsi di base per genitori su come guardare la tv, su come scegliere i programmi migliori, su come protestare per quelli diseducativi, immorali ed antisociali. Questi corsi di base – sul modello di quelli di preparazione al matrimonio – devono essere molto pratici, niente affatto accademici, rifiutando ogni pretesa intellettualistica od estetizzante. Possono essere affidati a persone di sicura formazione religiosa e morale, che abbiano fatto televisione. (Vi sono ancora pensionati Rai di buona affidabilità). Potrebbero essere coordinati da sacerdoti e laici con buona esperienza catechistica, perché la televisione – anche quando è sbagliata – può essere un buono spunto per parlare della Fede e della morale. Potrebbero essere un seminario per offrire a molti fedeli, timidi e riservati, gli argomenti ed il coraggio per far sentire in pubblico le convinzioni e le esigenze dei cattolici italiani, che guardano la televisione e non vogliono essere colonizzati da nessuno.

Di recente le maggiori emittenti italiane hanno sottoscritto un codice di autoregolamentazione a difesa dei minori in tv. Ma, dopo aver constatato che il codice non veniva rispettato dai sottoscrittori, il Ministero delle Comunicazioni ha istituito un Comitato di sorveglianza (presieduto dal dottor Emilio Rossi, presidente del Centro Televisivo Vaticano) con il potere di infliggere sanzioni ai trasgressori, fino a proporre al Governo – per i casi più gravi – la sospensione della licenza a trasmettere. Ogni cittadino può segnalare programmi trasgressivi al numero telefonico del Comitato: 06/54447525.

Tutte queste sono operazioni di pronto soccorso, di tamponamento, fino a quando la televisione sarà «deficiente».La vera azione costruttiva e risolutiva deve essere quella di formare buoni operatori della tv, credenti in Dio e forniti di intelligenza, di cultura e di professionalità, in misura superiore a quelle degli attuali operatori. L’obiettivo finale deve essere quello di mettere sul mercato una grande quantità di programmi coerenti con le idee e le abitudini di vita dei telespettatori credenti in Dio.È possibile? Per la mia esperienza devo dire sì. L’intelligenza è un dono gratuito di Dio ed ogni pastore, sollecito del suo gregge, la può individuare tra i suoi giovani fedeli. La cultura e la professionalità si possono acquisire, studiando nelle varie facoltà di scienze delle comunicazioni e, se possibile, all’Università Cattolica di Milano o alla Lumsa di Roma. La formazione religiosa e morale dei giovani dotati deve essere a tal fine generosamente curata, così come i pastori d’anime fecero in Italia negli anni Venti e, Trenta (attraverso l’Azione cattolica, la Fuci) riuscendo a preparare una classe dirigente politica che, dopo il ’45, fu capace di sostituire, in meglio, quella fascista.Oggi, per i motivi che abbiamo sopra detto, è urgente preparare una classe dirigente di comunicatori, mobilitando parrocchie, circoli culturali, ordini religiosi, movimenti.Le proposteIn sei punti la conclusione della riflessione di Ettore Bernabei con alcune indicazioni realistiche di iniziative possibili e a suo giudizio opportune:

• Sensibilizzare ed addestrare le persone, più sollecite del bene comune, ad esigere dalle emittenti che i programmi della televisione siano fatti per chi li guarda, cioè per arricchire la loro capacità di migliorare la società in cui vivono.

• Predisporre iniziative che inducano Governi e Parlamenti, locali e nazionali, a garantire a tutti i telespettatori il rispetto delle loro convinzioni e delle loro consuetudini di vita. Chiedere a tutti i parlamentari eletti nella Diocesi che la Commissione parlamentare di vigilanza sulla tv eserciti le sue funzioni (a cominciare da quella di tutela dei minori) su tutte le emittenti e non soltanto sulla Rai.

• Preparare gli adulti ad assistere i minori nella visione dei programmi televisivi, per aiutarli nella loro equilibrata crescita intellettuale e morale, così come da millenni si fanno carico della igiene fisica e della alfabetizzazione di figli e discepoli.

• Chiedere attraverso conferenze, assemblee, campagne di stampa che sia un organismo pubblico di rilevazione statistica (magari una branca dell’Istat) a raccogliere e pubblicare gli indici di ascolto e di gradimento dei programmi televisivi trasmessi.

• Far sì che i giovani più dotati si dedichino agli studi umanistici (liceo classico) per prepararsi adeguatamente agli studi universitari in scienze della comunicazione e poi alle specializzazioni professionali di sceneggiatore, regista, produttore, presentatore, di programmi televisivi, di intrattenimento e di informazione. La buona televisione ha bisogno di buoni professionisti, che abbiano fatto buoni studi, abbiano una fede salda, siano di condotta morale irreprensibile.

• Promuovere il diffondersi di emittenti nazionali a pagamento, sicché i cittadini, con il loro denaro, possano scegliere i programmi che ritengono più adatti alle proprie famiglie; contemporaneamente i gestori possano trovare vantaggioso predisporre una buona programmazione per uomini e donne normali.La scheda: chi è Ettore BernabeiEttore Bernabei è nato a Firenze il 16 maggio 1921. È giornalista.Nel 1951 viene nominato direttore del «Giornale del Mattino» di Firenze.Dal 1956 al 1960 è direttore del quotidiano «Il Popolo».Dal 1960 al 1974 è direttore generale della Rai.Dal 1974 al 1991 è amministratore delegato e presidente della finanziaria Italstat.Attualmente è presidente della società di produzione di fiction televisive Lux Vide, operativa dal 1993. Fra le numerose produzioni ricordiamo il progetto kolossal della «Bibbia», la prima completa trasposizione dell’Antico e del Nuovo Testamento, con la quale la Lux Vide si è imposta sul mercato mondiale.

I Media in Famiglia. Un rischio e una ricchezza. Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali 2004

Informazione e politica: spot e slogan al posto delle idee