Dossier

Mazzolari 50 anni dopo, Il paradossale destino dei «profeti»

di Giorgio Campanini

Il solenne elogio tributato alla figura di don Primo Mazzolari da Benedetto XVI nell’udienza del 1° aprile scorso (ma, ancor prima il cordiale abbraccio di Giovanni XXIII nell’udienza del 1959 e il postumo riconoscimento di Paolo VI all’indomani dei suoi funerali) sembra fare giustizia delle incomprensioni, ed anche delle censure, subite da Mazzolari nel corso della sua vita. Dal ritiro della circolazione de «La più bella avventura» (1934) sino al divieto di predicare fuori della propria diocesi, sanzioni e condanne si sono succedute per un venticinquennio, sino a formare un paradossale florilegio «giubilare».

A cinquant’anni dalla morte di Mazzolari, pressoché nulla rimane di quelle censure e la figura del parroco di Bozzolo si staglia, nella vicenda della Chiesa italiana, come una delle più importanti e rappresentative: né vi è ormai storia della Chiesa che in qualche modo non faccia a lui riferimento. Quella di Mazzolari è una presenza, sia pure un poco scomoda, della quale occorre tenere conto: una lezione apparentemente periferica e marginale (quella che prendeva le mosse da un’umile canonica della valle padana) è diventata una voce alta ed ascoltata.

Le ragioni di questo «ritorno» sono molte e complesse, ma sostanzialmente riconducibili ad una, e cioè alla capacità mostrata da Mazzolari (e scarsamente condivisa da non pochi dei suoi censori ecclesiastici di allora) di comprendere la necessità di aprire una nuova fase nella storia della Chiesa, una volta constatata la fine irreversibile della cristianità, caduta l’illusione nata dal Concordato del 1929 circa la «cristianizzazione» del fascismo, assunta coscienza del corso irreversibile di una modernità con la quale occorreva fare i conti. Ciò sarebbe avvenuto, per la maggior parte del corpo ecclesiale (ma, ancora oggi, non per tutto) soltanto con il Concilio Vaticano II, per uno strano gioco della storia annunziato proprio in quell’anno 1959 che fu quello della morte dello stesso Mazzolari.

Le grandi tematiche oggetto della predicazione, e della pubblicistica mazzolariana (oggi finalmente accessibile in degne edizioni critiche curate dalla Fondazione che porta il suo nome ed ospitate dalle Edizioni Dehoniane) sono quelle stesse che il Concilio avrebbe poi affrontato: la necessità di uscire dai chiusi recinti delle strutture ecclesiastiche per avviare il dialogo con i «lontani»; l’auspicio di una Chiesa dei poveri, distaccata dal potere e attenta agli umili e agli emarginati; la fine di ogni compromissione con il potere politico, anche se in apparenza «amico»; l’appassionato amore per la pace, sino alla teorizzazione della non-violenza sancito nella sua opera estrema «Tu non uccidere». Tutto ciò sullo sfondo di una quotidiana meditazione (quasi una «ruminazione») della Parola di Dio, soprattutto dei Vangeli, costante punto di riferimento dei suoi scritti più densi e profondi, da «La Via Crucis del povero» a «Rivoluzione cristiana».

Molte delle «profezie» di Mazzolari si sono dunque avverate, sia pure non nell’immediato. Ma proprio la constatazione dello iato storico che si è determinato tra il primitivo rifugio del «profeta» e la successiva accettazione delle «profezie» dovrebbe indurre la comunità cristiana ad un salutare esame di coscienza. È una sorta di legge della storia, a partire dallo stesso Cristo, quella secondo la quale i profeti non sono ascoltati nel loro tempo e da parte dei loro contemporanei. È proprio certo, tuttavia, che le comunità cristiane del passato, ed anche quelle di oggi, abbiano fatto tutto il possibile, se non per accogliere, almeno per misurarci seriamente e serenamente con la «profezia» ancora oggi, e sempre, presente nella Chiesa?

Da questo punto di vista la «celebrazione» del cinquantenario della morte di questo «profeta» può essere intesa anche come la sollecitazione ad un attento esame di coscienza: sul ruolo che la profezia ha oggi e sempre nella vita della Chiesa e sull’attenzione accordata ai piccoli o grandi «profeti» che, oggi e sempre, sono e saranno fra noi.