Dossier

Sinodo Caldei, cristiani in prima linea

Un “fervido incoraggiamento alle vostre comunità e a tutti i cittadini dell’Iraq” insieme alla preghiera, “affinché il vostro amato Paese, pur nell’attuale difficile situazione, sappia non perdersi d’animo e proseguire nella strada verso la riconciliazione e la pace” è stato indirizzato, lo scorso 12 novembre, da Benedetto XVI nell’udienza ai vescovi della Chiesa caldea irachena, guidati dal patriarca Emmanuel III Delly, riuniti nel Sinodo speciale che si è chiuso lo scorso 12 novembre a Roma. “Due gli argomenti all’ordine del giorno”, spiega al Sir mons. Issaq Jacques, segretario generale del Sinodo, “la presentazione da parte dell’apposito comitato liturgico dello schema per un rito riformato della Chiesa caldea e quella del Diritto canonico speciale per la stessa chiesa”. A tracciare al Sir un bilancio del Sinodo è padre Philip Najim, procuratore della Chiesa caldea presso la Santa Sede.

Può tracciare un bilancio dei lavori del Sinodo appena chiuso?

“I lavori sono stati caratterizzati, come il Papa ci ha ricordato nell’udienza, da una intensa comunione che ha permesso ai padri sinodali di portare a termine tutti i temi in agenda, ovvero il progetto di revisione dei testi della liturgia in rito siro-orientale e l’analisi della bozza del Diritto particolare che dovrebbe regolare la vita interna della comunità caldea”.

Che significato assumono queste decisioni per la Chiesa caldea?

“La riforma liturgica dovrebbe permettere un rinnovato slancio di devozione all’interno delle comunità caldee irachene e della diaspora. È un ritornare alle origini, alle fonti della nostra liturgia. Rafforza, quindi, la nostra identità e la nostra fede. Il Diritto particolare servirà a dare ordine alla nostra missione e a rilanciare il nostro impegno pastorale e di speranza all’interno dell’Iraq”.

Quali sono le sfide più urgenti che deve fronteggiare la Chiesa in Iraq?

“Innanzitutto l’emigrazione dei nostri fedeli e la diffusione delle sètte. La mancanza di sicurezza, i problemi economici e sociali in cui si dimena il Paese non aiutano le nostre popolazioni cristiane che scelgono, così, di abbandonare il Paese in cerca di una vita migliore. E poi la diffusione delle sètte con i loro “missionari” che provengono dall’estero che fanno proselitismo arrecando danno alla Chiesa. Una minaccia che arriva da gruppi evangelici, dai Testimoni di Geova… Dalle informazioni in mio possesso sono più di 14 le sètte operanti al momento in Iraq. Vengono, in particolare, dagli Usa e dalla Gran Bretagna ed hanno gente che parla arabo per avvicinare più gente possibile. Lo stato di debolezza in cui versa il Paese favorisce la diffusione di queste forme di religiosità”.

I padri sinodali hanno discusso della situazione interna irachena?

“Certamente, e si sono soffermati in particolare sul contributo che i cristiani possono dare al processo di ricostruzione democratica del Paese. I cristiani sono sempre stati in prima linea nel contribuire alla vita dell’Iraq, mettendo a frutto la loro istruzione e preparazione a vantaggio del bene comune. I cristiani, da cittadini iracheni, sono impegnati in prima persona anche adesso per migliorare le condizioni sociali, politiche ed economiche”.

Tuttavia, resta la paura dell’introduzione della sharia, la legge islamica, nel sistema giudiziario iracheno…

“Anche se l’Islam è la religione maggioritaria in Iraq la Costituzione da poco approvata deve garantire a tutti la libertà religiosa. Non basta la libertà di culto, serve garantire, e non solo ai cristiani, la libertà religiosa, come in tutti i Paesi democratici. Per questo chiediamo che l’art.2 del Testo costituzionale venga modificato”.

A Falluja gli americani avrebbero usato bombe al fosforo, armi chimiche…

“I vescovi hanno fortemente criticato l’uso di armi proibite. Portare la democrazia sopra un carro armato non so che significato possa avere. Sofferenza aggiunta a sofferenza. Il popolo iracheno soffre ormai da anni. Ci danno sollievo le parole del Papa rivolte “all’amato Paese” dell’Iraq, ci incoraggiano nel portare avanti la nostra missione di speranza e di riconciliazione e ci confermano all’interno della Chiesa universale”.