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Arturo Paoli: «Amorizzare il mondo»

Parole chiave: dottrina sociale (42), caritas in veritate (33), encicliche (42), benedetto xvi (2612), mondo (165)

Ho letto velocemente ma con tutta l'attenzione consentita nei 127 fogli che il computer ha messo nelle mie mani, l'enciclica del Papa Benedetto XVI Caritas in Veritate. Gli ultimi pontefici tra le loro esortazioni, le condanne, i discorsi che rivolgono ai pellegrini inviano al mondo una solenne lettera sociale, che si potrebbe definire il discorso della corona. A me sembra l'atto più chiaramente legato al progetto di Cristo di amorizzare il mondo. È evidente nei pontefici questa intenzione che l'umanità sia guidata da principi sani e responsabili che possano dare la coscienza degli errori commessi e avviare l'umanità nel cammino evolutivo verso il bene.
L'enciclica comincia con le due parole evangeliche verità e carità. Nell'introduzione il Papa si sofferma a chiarire il senso delle due parole che non abbandonano mai completamente l'uomo perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. E con questo pensiero ottimista il Papa si accinge ad analizzare il comportamento dell'umanità nel tempo. Credo che non siano molti i cattolici, anche se devoti della Chiesa, ad affrontare la fatica di leggere un documento così diverso e insolito, specialmente nel nostro tempo in cui l'immagine libera dalla fatica di letture che fissano la mente su concetti e spingono a riflessioni profonde. Mi sento soddisfatto di aver difeso nella mia lunga vita l'abitudine a letture che esigono una certa fatica e richiedono silenzio e riflessione. Con i giovani cerco di non essere arcaico; ma in segreto mi sento soddisfatto del mio «vizio». Credo che molti che si occupano della convivenza umana come una responsabilità indeclinabile ricorreranno a passaggi dell'enciclica per appoggiare concetti condivisi.

Mi hanno particolarmente colpito alcuni assiomi che suggellano le analisi delle strutture della società attuale, che sono contro il valore della persona. Il valore più intoccabile, come l'agire a cieca, senza il sapere, e il sapere è sterile senza l'amore. Credo che il Papa abbia presente l'espressione della lettera paolina agli Efesini che presenta una sintesi che mi si è presentata sempre luminosissima: facientes veritatem in caritate (Ef 4,15). L'enciclica evita condanne generali ma è stato osservato che talvolta può sembrare ingenua come quando manifesta la speranza che il mercato possa avere un'anima. E non è di poco conto perché il mercato è un'idolatria, e ho sempre sperato che la Chiesa se ne rendesse conto. È vero che non è lo strumento a dover essere richiamato in causa, ma l'uomo, la sua coscienza morale, la sua responsabilità morale e sociale; ma io penso che il mercato è un'idolatria da condannare con le stesse parole del Maestro così taglienti, assolute e irreformabili: o Dio o mammona.

Non credo che il Papa abbia evitato questa condanna che certo metterebbe sotto accusa anche certe strutture della Chiesa. Questa ingenuità la trovo nella valutazione del progetto globalizzato, a proposito del quale il Papa esprime una speranza: sarà ciò che le persone ne faranno (p. 68). Ma le persone ne hanno fatto uno strumento per sfruttare i paesi poveri, a esclusivo profitto dei paesi ricchi. È certo che la parola globalizzazione potrebbe servire ad altri scopi; ma certamente il progetto è stato concepito come strumento di controllo della ricchezza universale e certamente a vantaggio dei paesi ricchi: i processi di globalizzazione adeguatamente concepiti e gestiti offrono la possibilità di una grande ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto, se mal gestita possono invece far crescere povertà e disuguaglianza (pag. 68).

È facile notare che si è data la seconda ipotesi ma non è a caso, la globalizzazione è stata pensata e voluta avendo chiaro il suo risultato. La Fao, creata per combattere la fame, ci annunzia che gli affamati oggi statisticamente raggiungono il miliardo. Da notare e mettere in evidenza e gridarla sui tetti, l'osservazione del Papa: capita talvolta che chi è destinatario degli aiuti diventa funzionale a chi lo aiuta, che i poveri servono a mantenere in vita dispendiose organizzazioni burocratiche che riservano per la propria conservazione percentuali troppo elevate di quelle risorse che invece dovrebbero essere destinate allo sviluppo. Questo talvolta sembra attenuare la gravità e la vergogna di ciò che avviene in forma macroscopica. Vengono in mente in contrapposizione a tanta discrezione le parole del profeta Geremia: i tuoi occhi e il tuo cuore invece non badano che al tuo interesse… sarai sepolto come si seppellisce un asino, lo trascineranno e lo getteranno al di là della porta di Gerusalemme (Gr 22-30).

Altra accusa assolutamente vera che può apparire soavizzata: dobbiamo però avvertire come dovere gravissimo quello di consegnare la terra alle nuove generazioni in uno stato tale che anch'esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla (pag. 84). L'espressione sembra una clausola di un contratto di compra-vendita piuttosto che una accusa di uno scempio rivolta a quelli che da anni sfruttano la terra rendendola sterile, dimentichi assolutamente che esiste un domani: domani si arrangeranno.

Spesso mi fermo su un pensiero forse ingenuo che qualche volta diventa quasi ossessivo: se la Chiesa non fosse andata dietro a delle verità che chiamerei di poca conseguenza, ma avesse accolto il progetto di amorizzare il mondo che è la ragione unica dell'incarnazione, della morte sulla croce e della resurrezione del Figlio di Dio, l'umanità forse sarebbe stata più felice e questo è il mio sogno. Esprimo questo sogno anche sollecitato da queste parole dell'enciclica: la Chiesa ha una responsabilità per il creato. I doveri che abbiamo verso l'ambiente si collegano verso le persone considerate in se stesse, in relazione con gli altri (pag. 87). In questi ultimi tempi si è avuta l'impressione che alte gerarchie della Chiesa si impegnassero troppo nell'inseguire decisioni personali talvolta troppo frettolosamente condannate, lasciando da parte gli scempi di ogni genere che commette il progetto globalizzato.

Nella scelta unica e unificante di amorizzare il mondo entra il rilievo del Papa che la verità e l'amore che essa dischiude non si possono produrre, si possono solo accogliere. La loro fonte ultima non è né può essere l'uomo, ma Dio, ossia Colui che è la verità e l'amore (pag. 88). Non è certamente quello che noi chiamiamo amore quel sentimento che è una sintesi di quelle pulsioni raccolte nel cuore umano descritto in una risposta che Gesù dà sul tema delle leggi esteriori dettate dal tempio, risposta raccolta nel capitolo 15 di Matteo: l'amorizzazione del mondo non può nascere che nel concorso di persone liberate da un assoggettamento a forze negative che portano la persona a un comportamento guidato dall'io egoista e prepotente.

Nella parte finale il pontefice tocca argomenti scottanti quale l'immigrazione degli stranieri, episodio drammatico del nostro tempo. Non so perché mi viene in mente la relazione che vide Pio XII di fronte al nazismo. La protezione di questi emigranti che sfuggono alla fame esigerebbe la condanna esplicita di leggi che rifiutano l'accoglienza. In futuro la posizione del Papa potrebbe apparire troppo vacillante e insicura. Vi sono tante strutture della Chiesa vuote in questo momento, a che valgono le condanne di leggi ingiuste senza la testimonianza del martirio? Cioè voglio alludere all'accettazione virile delle sanzioni contro quelli che con scelte concrete vanno contro le stesse leggi. Bisogna stimolare l'idea-forza del vangelo che prevede quasi inevitabili le persecuzioni. Siamo convinti che il cristianesimo ha ricevuto delle rinascite improvvise, luminosissime, dai testimoni che si sono opposti ai poteri quando si dimostravano lesivi dei diritti sacrosanti dell'uomo fra cui primeggia il diritto alla vita. Questi stranieri non sono turisti ma sono spinti dalla fame a cercare un'altra patria dove sia possibile vivere più dignitosamente e liberamente. Non è l'ospitalità uno dei doveri fra i più insistentemente reclamati nella Bibbia?

Le varie esperienze che rendono vivo e attento questo epilogo della mia vita concorrono ad accogliere le conclusioni della lettera di Benedetto XVI che le nevrosi che caratterizzano le società opulente rimandano anche a cause di ordine spirituale. Ed è molto vero che in ogni verità c'è più di quanto noi stessi ci saremmo aspettati, nell'amore che riceviamo c'è sempre qualcosa che ci sorprende. E questo rinnova continuamente l'esistenza anche quando l'uomo esteriore cammina verso il tramonto. Il tramonto può essere livido come quello che chiude una tediosa giornata invernale o radioso e pieno di promesse di vita come quelli estivi, che sono come un congedo da un incontro di amore. Gli incontri di amore terminano nella malinconia della separazione ma portano con sé la promessa e il ricordo che allietano la lontananza.

Fratello Arturo Paoli


LA SCHEDA: Sempre dalla parte dei poveri
Arturo Paoli è un sacerdote lucchese di 97 anni (è nato il 30 novembre 1912), protagonista della resistenza al fascismo (nel 1995 ha ricevuto dal sindaco di Lucca il diploma di «partigiano») e autore di una cinquantina tra libri e libretti. Nel1999 è stato riconosciuto da Israele «Giusto tra le nazioni», per aver salvato nel 1944 a Lucca Zvi Yacov Gerstel, oggi tra i più noti studiosi del Talmud, e sua moglie. Ma la sua lunga vita è stata dedicata in particolare all'America Latina.

Sacerdote dal 1940, nel '49 è vice-assistente nazionale della Gioventù di Ac. Ma nel 1954, per contrasti con Gedda, riceve l'ordine di imbarcarsi come cappellano sulla nave argentina «Corrientes», in mezzo agli emigranti. Qui incontra un «piccolo fratello» e decide di entrare nella congregazione di Charles de Focauld, svolgendo il noviziato in Algeria. Dopo aver fondato nel 1957 una comunità in Sardegna, si trasferisce in Argentina, dove lavora tra i boscaioli a Fortin Olmos. Sarà questo uno dei periodi più duri dell'esperienza latino-americana. Dal 1969 guida i «Piccoli fratelli» del Sudamerica e si trasferisce vicino a Buenos Aires.

Nel 1971 nasce un nuovo noviziato a Suriyaco, nella diocesi di La Rioja, una zona poverissima, dove Arturo si trasferisce e incontra un vescovo a cui sarà legato da una forte amicizia, Enrique Angelelli. Negli anni del golpe in Cile di Pinochet è in testa agli elenchi delle persone da «eliminare». Allora si trasferisce in Venezuela e da lì inizia le sue «missioni» in Brasile. Nel 1987 va a vivere nel barrio di Boa Esperança, a Foz do Iguaçu (Brasile). A sostegno dei più poveri fonda l'Afa (Associazione Fraternità e Alleanza).

Il 9 febbraio 2000, nel corso di una cerimonia a Firenze, organizzata dalla Regione per il suo 60° di sacerdozio il cardinale Silvano Piovanelli, ebbe a dire: «Siamo sempre rimasti colpiti dalle sue parole, dai suoi libri, ma soprattutto abbiamo ammirato il coraggio di una vita compromessa per stare dalla parte dei più deboli».

Arturo Paoli: «Amorizzare il mondo»
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