Dal n. 44 del 10 dicembre 2006
L'ultimo appello: «Ditegli di andare d'accordo...»
Un ricordo di Don Danilo Cubattoli.
DI MARIO BERTINI
Nel santino della sua ordinazione sacerdotale, che risale al luglio del 1948, c'è una frase, scritta da lui, alla quale è rimasto fedele per quasi sessant'anni come a un programma di vita: «Concedimi, o Padre, d'essere come l'Ostia che Ti offro, docile all'azione del Tuo Spirito
».
Quasi un voto di fedeltà per un'esistenza quotidianamente offerta, e consumata, accanto alle povertà più estreme da lui abbracciate nel doppio ruolo di sacerdote di Cristo e di maestro di elevata cultura - che dispensò attraverso il cinema -, facendo della sua vita un mirabile esempio di evangelizzazione e di promozione umana. A proposito di cinema, non potendo assistere alle letture dantesche di Benigni in piazza Santa Croce, l'estate scorsa, scrisse al suo amico Roberto per suggerirgli l'idea di recitare, insieme alla moglie Nicoletta, il Cantico dei Cantici. Chissà: se un giorno lo farà, sapremo da chi ha avuto l'idea.
Dalla primavera scorsa, quando fu aggredito da una malattia irreversibile, ha saputo offrire se stesso per fare, dei suoi ultimi mesi di vita, olocausto di accettazione con docile sottomissione alla volontà di Dio. «Dio mi ama e tutto quello che mi succede, succede per il mio bene». Fu un'altra sua frase, che amava pronunciare da sempre e che, specialmente negli ultimissimi mesi, non si stancava di ripetere a sacerdoti ed amici che si accostavano al suo capezzale. Lunghissimi mesi segnati da giornate interminabili, senza mai lasciarsi andare a un lamento o a un segno di disperazione.
«Come stai, Cuba?» - «Bene, anzi benissimo!» - erano le risposte alle premurose preoccupazioni di chi gli stava accanto. «Ti piace, Cuba, questa minestrina?» - «Buona, anzi buonissima!». Con esclamazioni esaltate dai segni delle mani e dal sorriso dei suoi occhi. Accettazione e docilità senza alcun lamento, nemmeno nei durissimi momenti della sofferenza. E se aveva una preoccupazione, da consegnare agli amici quasi come volontà testamentaria, era quella da dire a tutti: «Ditegli di andare d'accordo... Cercate di farli mettere d'accordo...» - «Ma chi? Cuba, a chi lo dobbiamo dire?» E lui, con la sua innata, fiorentissima ironia che non lo ha mai abbandonato: «A tutti quelli che non vanno d'accordo!».
Nell'ultimo mese, l'abbraccio silenzioso alla medesima sofferenza di Cristo: ferite nella membra, piaghe un po' dappertutto e, nella testa - dove albergava il suo male - forse le trafitte della corona di spine. In questa sua ascesa al Calvario non fu mai solo, né notte né giorno, seguito invece, con la sacralità dell'amore familiare, da un piccolo manipolo di parenti e amici e soprattutto da alcune fedelissime donne, che, senza far nome, vorrei accostare alle evangeliche figure del Golgota. Per dar sollievo, attraverso abluzioni e continui cambi di posizione, ad un corpo arrivato agli estremi, una delle sue ultime medicazioni ebbe la durata di oltre due ore; e, allora, come non accostare la presenza di queste fedelissime custodi alle pie donne della Deposizione dopo la morte di Cristo? Con la differenza che, per il corpo di don Cuba, le mani di quelle donne, più che offrirgli una deposizione dalla Croce, lo stavano devotamente componendo per poterlo consegnare all'abbraccio della morte attraverso la medesima, salvifica Croce di Cristo.
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