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ASSEMBLEA CEI: AFRICA, ANGLICANI, RITO ESEQUIE NELLA PROLUSIONE DEL CARD. BAGNASCO

“Una certa risonanza ha avuto nelle settimane scorse, ma assai di più ne avrebbe meritato, l’annuncio choccante che sette nostri fratelli cristiani sono stati orribilmente uccisi nel Sudan meridionale in una macabra parodia della crocifissione”: è stato questo il primo argomento affrontato dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, nella prolusione ai lavori della 60° assemblea generale dei Vescovi che si è aperta questa sera ad Assisi (testo integrale). I lavori del secondo Sinodo per l’Africa hanno evidenziato – secondo Bagnasco – sia l’“innegabile freschezza evangelica sia l’intraprendenza di strade nuove, in particolare su quella frontiera della riconciliazione che era uno dei poli tematici del sinodo. Per ragioni storiche come per i drammi politici recenti, l’Africa ha bisogno di ritrovarsi attorno al focolare del perdono e del rinnovamento, – ha poi affermato – come condizione indispensabile di ogni dinamismo aperto al futuro”. E “le migliori interpreti” di questo dinamismo – ha sottolineato – sono “le donne d’Africa, ‘spina dorsale’ del continente su cui maggiormente pesano i passi dell’esodo dai conflitti, come dalla miseria di cui i conflitti sono portatori”. Sempre dell’Africa, il cardinale ha poi riferito “il suo profondo senso di Dio”, definendolo con le parole del Papa un “tesoro inestimabile per il mondo intero”.“Il nostro Paese, con la sua esposizione geografica, quasi a ponte tra Nord e Sud del mondo, è chiamato a rinvigorire la propria tradizionale apertura ai popoli africani, aiutandoli anzitutto a promuovere il loro sviluppo interno, e trovando le formule più adeguate per un partenariato in grado di onorare la nostra e altrui dignità”: lo ha detto nella parte iniziale della sua prolusione ai lavori dell’assemblea generale dei Vescovi italiani il card. Angelo Bagnasco. Dopo aver notato che, riguardo a questo continente, “il fenomeno della fame non dipende tanto dalla scarsità materiale delle risorse quanto da fattori sociali e istituzionali, ai quali occorre volersi applicare senza esitazioni”, il presidente della Cei ha rivolto un invito ai credenti: “Dal punto di vista etico-culturale desideriamo che i nostri cristiani si sentano cittadini del mondo, corresponsabili della sorte degli altri. In questo senso, ai media che hanno vita dalle nostre comunità è chiesto di continuare a svolgere un importante ruolo di informazione e quando serve di contro-informazione. A livello ecclesiale, il dinamismo ad gentes resterà un dato qualificante l’intera nostra pastorale, una visione di Chiesa che si traguarda sempre con gli altri, e mai senza di loro. Quella che ci attende insomma è una missionarietà realmente più consapevole”.“La chiave missionaria mi pare la più indicata anche per comprendere l’iniziativa che nelle ultime settimane ha preso configurazione nei riguardi dei fratelli – chierici e fedeli – anglicani che da tempo chiedevano di entrare nella piena comunione con la Chiesa cattolica”: così il card. Bagnasco ha poi richiamato il tema del “reintegro” che Benedetto XVI ha annunciato recentemente. Ha quindi aggiunto che “per le modalità in cui è maturata ed è stata anche annunciata l’iniziativa oggi riguardante gli anglicani, e per la sapienza che complessivamente la ispira, non possiamo non vedervi riflessa l’impronta dell’attuale Pontefice, indomito e dolce, coraggioso e illuminato”. Tale argomento è stato affiancato a quello dell’ “Anno Sacerdotale”, sul quale Bagnasco ha voluto sottolineare che “nella società contemporanea, il sacerdote è chiamato ad essere, più di sempre, uomo dello spirito, ossia l’uomo che si affida anzitutto non alla ricerca di forme pastorali meglio adeguate, o a qualche raffinata scienza accademica, o ad un’organizzazione efficiente del tempo, ma ad uno scavo, ad un approfondimento inesausto, ad un’adesione interiore e amata all’essenziale della propria missione: se dovesse mancare, anche le metodiche più raffinate resterebbero inefficaci. Il sacerdote deve trovare la sorgente della santità nell’oggetto del suo sacerdozio, nella carità pastorale di cui la sua missione è come impregnata”.“Anche quando la maschera della morte scende sul volto dei propri cari, dunque si fa più prossima e meno facilmente evitabile, anche allora non di rado si tende a rimuovere l’evento, a scantonarlo, a scongiurare ogni coinvolgimento”, ha detto ancora il card. Bagnasco nella prolusione, affrontando l’argomento della nuova edizione italiana del “Rito delle Esequie”. “Il fenomeno determina la pratica sparizione dell’esperienza della morte – ha aggiunto – e di ogni suo simulacro dalla scena della vita. Va da sé che la comunità cristiana non possa avallare una tale cultura così irreale: nascondere la morte e dimenticare l’anima non rende più allegra la vita, in genere la rende solo più superficiale”. Continuando la riflessione sul “morire”, Bagnasco ha poi affermato che “contribuire, per la nostra parte, a mimetizzare la morte, affinché il suo pensiero non turbi, significa favorire anche pastoralmente un approccio scandito per lo più dalla fretta e dal formalismo. Invece, una perdita drammatica può essere l’occasione per lasciar emergere interrogativi, per costringere i protagonisti ad addentrarsi nei meandri scomodi del mistero, a sperimentare la crisi delle proprie certezze e delle proprie esuberanze, a meditare sulla possibilità di dare un’impronta diversa al resto della propria esistenza”.Il convegno internazionale su “Dio oggi”, previsto dal 10 al 12 dicembre e la “caduta del muro di Berlino” sono stati gli altri due argomenti toccati dal presidente dei Vescovi italiani nella prolusione. Sul primo ha detto che “non si parlerà di Dio in modo generico o convenzionale ma, storicizzando la riflessione maturata a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si tratterà del Dio personale che in Gesù Cristo è venuto incontro agli uomini”. Sul dopo “muro di Berlino” ha invece notato che “cambiamenti vorticosi si sono succeduti, e difficoltà inedite sono affiorate ad Ovest come ad Est, dove l’elemento della secolarizzazione ha finito con l’imporsi quale denominatore comune più rapidamente di quanto si sia radicato il costume democratico. Sappiamo che alla base del cammino europeo – ha sottolineato – non vi possono essere solo strategie politiche o strutture burocratiche, perché le une e le altre – pur necessarie – non sono sufficienti per scaldare i cuori dei singoli e dei popoli in ordine a quel senso di cordiale appartenenza che è indispensabile per sentirsi comunità”. Di qui – ha concluso circa l’Europa – la rinnovata decisione riguardo al ruolo insostituibile delle comunità di fede nella vita pubblica del Continente”.Sir