Italia

Allarme di Confcommercio, a rischio 50 mila imprese

Più dura l’emergenza più i problemi si aggraveranno per alcuni settori. E se è vero che alcune attività, come gli alimentari, i fornai, le edicole e pochi altri, hanno comunque avuto la possibilità di restare aperte, in alcuni casi aumentando anche i propri incassi giornalieri, è chiaro che molti piccoli negozi si trovano e si troveranno in gravi difficoltà. La crisi economica, che ha colpito tutti, grandi e piccoli, rischia di «uccidere» la maggioranza dei secondi. Su questo, dopo aver affrontato la settimana scorsa i problemi delle grandi aziende e dei lavoratori dipendenti con la segretaria nazionale della Csil Annamaria Furlan, abbiamo voluto sentire Carlo Sangalli, presidente nazionale di Confcommercio, una delle associazioni che da sempre rappresenta una realtà per certi versi unica dell’Italia rispetto ad altri Paesi europei, e ancora più radicata in Toscana.Bar, ristoranti, negozi di abbigliamento sono ancora chiusi e quando potranno riaprire, alcuni già nella Fase 2 ma molti saranno tra gli ultimi ad avere il via libera, potrebbero non avere le risorse necessarie a rifornire gli scaffali ma soprattutto a rispondere alle prescrizioni sanitarie che giustamente dovremo tutti continuare a osservare. Un problema che non riguarderà, però, solo i «piccoli» perché a rischio c’è davvero l’economia di un Paese che ha sempre fatto proprio il detto «piccolo è bello», dove il negozio di continuità rappresentava, e rappresenta, una sicurezza anche per i tanti anziani che hanno difficoltà a muoversi, per le famiglie dove entrambi i genitori lavorano e solo una volta alla settimana possono spendere quelle due ore di tempo necessarie ad andare in un centro commerciale. Tutto questo senza considerare il problema, legato alla riapertura dei negozi, dei proprietari dei fondi che potrebbero trovarsi a fine mese con gli affitti non pagati ma con le tasse che lo Stato, prima o poi, e sicuramente sarà «prima», comunque chiederà.

Presidente a quasi 2 mesi dall’inizio della crisi se la sente di tracciare un bilancio di quanto può aver perso il settore del commercio, in particolare quello dei vostri associati?

«È un bilancio di una gravità senza pari. Ci sono intere filiere – a partire da quella del turismo fino a quelle dell’edilizia, dell’abbigliamento e dell’automotive – che in questi due mesi di blocco totale hanno cancellato i propri fatturati. Un vero e proprio dramma anche per tantissime attività del commercio, dei servizi, dei trasporti e delle professioni che hanno dovuto fermarsi e che corrono il rischio, più che concreto, di non riaprire più. Il settore della ristorazione e dei pubblici esercizi, ad esempio, registra finora 30 miliardi di perdite e rischia di veder morire 50 mila imprese del comparto con la perdita di 300 mila posti di lavoro. In Toscana, secondo le nostre stime, nel 2020 andranno persi 3,6 miliardi di consumi. Ecco perché bisogna costruire, da subito, un percorso di sostegno finanziario straordinario che permetta a queste imprese di ripartire e tornare a essere un valore insostituibile per le nostre città e per il nostro Paese».

A questo proposito, il decreto liquidità appena varato è una risposta valida alle necessità delle imprese?

«È un provvedimento che tenta di aiutare le imprese cercando di costruire una “rete delle garanzie” per agevolare l’accesso al credito. Prolunga le sospensioni fiscali ma nel complesso rappresenta una risposta ancora troppo debole di fronte a una crisi di proporzioni mai viste. Oltre ai prestiti, quello di cui hanno bisogno subito le imprese danneggiate dal lockdown, sono indennizzi, contributi a fondo perduto e liquidità a zero burocrazia. In maniera rapida e accessibile. Solo così potremo salvare le aziende in difficoltà e consentire a quelle che hanno chiuso di riaprire conservando i livelli operativi e occupazionali».

Si dice che l’Italia dei piccoli soffrirà molto più dei centri commerciali e visto che in regioni come la Toscana l’economia è sorretta da i «piccoli» quali possono essere le strade per ripartire? Per i negozi tenere la cosiddetta distanza sociale certo non sarà facile…

«Proprio per questo, fin da adesso, la ripartenza dovrà essere attentamente pianificata. Bisogna riavviare le imprese appena possibile, con la massima sicurezza e secondo le indicazioni delle autorità scientifiche. Questo significa mettere in campo una complessa preparazione sanitaria, organizzativa e tecnologica per rendere possibile, anche per le piccole attività commerciali, il distanziamento sociale, l’adozione di strumenti di protezione e prevenzione e la sanificazione degli ambienti. C’è molto lavoro da fare, ma deve essere chiaro che non può partire nessuna “Fase 2” senza prima avere avviato concretamente il sostegno finanziario straordinario e gli indennizzi alle imprese danneggiate dal lockdown».

Le misure del Governo non vi soddisfano del tutto. Cosa chiedete in più a Conte?

«Bisogna fare molto di più e subito prima che sia troppo tardi. La capacità d’intervento tanto del Fondo centrale di garanzia, quanto della SACE va accompagnata da dotazioni robuste e coerenti con l’obiettivo di attivare garanzie fino a circa 400 miliardi di euro. E non dimentichiamo poi che occorre rivedere decisamente al rialzo la soglia dei 25 mila euro attualmente prevista per i prestiti garantiti al 100 per cento, cercando di valorizzare al massimo la possibilità, prevista nell’ambito del nuovo regime temporaneo europeo in materia di aiuti di Stato, di prestiti garantiti fino ad 800 mila euro. Magari anche valorizzando l’esperienza sul campo dei consorzi fidi. In questo modo, si può effettivamente velocizzare l’istruttoria bancaria».