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Allarme morbillo: malattia pericolosa e sottovalutata

Un bimbo di sei mesi ricoverato in condizioni critiche in ospedale ad Ancona e il «ringraziamento» amareggiato e sarcastico di papà, mamma e pediatra ai genitori che non vaccinano i figli. Un focolaio epidemico in un asilo nido milanese, con dodici piccoli contagiati. Sono gli ultimi fatti di cronaca legati all’allarme morbillo scattato nel nostro Paese. Da gennaio 2017, segnala il ministero della Salute, è stato registrato un preoccupante aumento del numero di casi. A fronte degli 844 segnalati in tutto il 2016, dall’inizio dell’anno ne sono già stati registrati più di 700 – contro i 220 dello stesso periodo dello scorso anno –, la maggior parte in Piemonte, Lazio, Lombardia, Toscana, Marche e Abruzzo dove l’ospedale di Chieti è stato preso letteralmente d’assalto: 52 casi solo nelle ultime settimane. Notificati anche casi di trasmissione in ambito sanitario tra gli stessi operatori.

La diffusione del morbillo, spiega una nota del ministero, è legata al numero crescente di genitori che rifiutano la vaccinazione nonostante l’infondatezza scientifica della correlazione tra vaccino trivalente (contro morbillo, parotite e rosolia) e autismo. «Già due anni fa – rammenta Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) – avevamo segnalato che la soglia di protezione vaccinale dei bambini era scesa all’85%, molto al di sotto di quel 95% necessario per garantire la ‘immunità di gregge’ della popolazione».

E questo, malgrado si tratti di una vaccinazione gratuita e fortemente raccomandata dalle autorità sanitarie perché il morbillo può dar luogo a gravi complicanze come encefaliti, polmoniti, sepsi e in alcuni casi può essere letale.

Come intervenire? Anzitutto, replica Ricciardi, «attraverso un’opera d’informazione, responsabilizzazione e persuasione dell’opinione pubblica; in secondo luogo anche ricorrendo all’obbligatorietà della vaccinazione».

Linea condivisa dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che lo scorso 23 marzo, a margine del XXVI Congresso dell’Associazione medici cattolici (Amci) ad Ascoli Piceno, ha assicurato che il ministero attiverà ogni procedura per garantire la piena realizzazione degli obiettivi del Piano nazionale vaccini, ma si è anche detta «favorevole alla decisione di molte Regioni che stanno rendendo obbligatoria la vaccinazione per accedere alla scuola materno infantile»; scelta che «consente a tutti i bambini di accedere ai plessi scolastici in sicurezza». Pur con esiti diversi, si stanno attivando in questa direzione Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Puglia, Marche. In Friuli scende in campo l’Ordine dei medici di Udine liquidando come «fantasie deleterie» le teorie antivaccini.

«Vaccinare i propri figli – puntualizza Ricciardi – è un atto di responsabilità nei loro confronti e nei confronti di quei 1.500 bambini immunodepressi, con gravi patologie croniche o affetti da tumori che non possono essere vaccinati e che andando a scuola rischiano la vita», mentre opporvisi «in maniera ideologica e antiscientifica diventa un problema di sanità pubblica». Per questo, «imporre l’obbligo delle vaccinazioni inserite nel Piano nazionale come condizione per l’iscrizione al nido o alla scuola materna potrebbe essere una soluzione, almeno temporanea».

E se sono proprio gli operatori sanitari i primi a non vaccinarsi? «Asl e ospedali dovrebbero stimolare e monitorare le vaccinazioni di medici e infermieri. Altrimenti scattino sanzioni».

Alberto Villani, responsabile del reparto di Malattie infettive dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma e presidente della Società italiana di pediatria, ci spiega che «con l’immissione del calendario vaccinale nei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) entrati in vigore lo scorso 18 marzo, le Regioni sono tenute a far rispettare il calendario stesso. Ministero della Salute, Istituto superiore di sanità e società scientifiche devono vigilare affinché ciò avvenga». «Non vaccinare i propri figli – avverte – mette a repentaglio anche la salute dei bimbi sotto il primo anno di età, come è accaduto nell’asilo nido di Milano, troppo piccoli per la vaccinazione che non può essere somministrata prima degli 11-12 mesi». E al Bambino Gesù, tra i piccoli ricoverati a causa del morbillo, «ce n’è uno con una complicanza drammatica, la panencefalite sclerosante subacuta, malattia degenerativa del sistema nervoso centrale causata dal virus contratto a 11 mesi».

Per Villani, «non c’è sufficiente consapevolezza della gravità del morbillo» e ad essere possibile bersaglio dei germi è una popolazione «sempre più fragile», considerando il milione di bambini «con necessità assistenziali complesse, nati fortemente prematuri o con cardiopatie o patologie neuromuscolari per le quali un tempo non sarebbero sopravvissuti, più esposti alla possibilità di contagio». Ancora più necessario, quindi, attuare nelle Regioni i programmi vaccinali. «Nella sanità pubblica – conclude – non ci può essere spazio per decisioni individuali come quella di non vaccinare i figli: l’interesse personale deve essere subordinato al bene superiore della salute collettiva e alla protezione di tutta la comunità».