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Benedetto XVI, il secondo libro su Gesù

7 LINGUE, TIRATURA 1,2 MILIONI COPIE E C’É ANCHE SU IPAD

(Fonte: Asca) – Sette edizioni iniziali per un totale di un milione e duecentomila copie solo di tirature iniziale, contratti firmati con ventidue case editrici di tutto il mondo: sono questi i primi “numeri” del libro di papa Benedetto XVI “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione”, presentato oggi pomeriggio in Vaticano. “Quasi un anno e mezzo fa, monsignor Georg Ganswein mi ha consegnato la pennetta e il cartaceo: il papa aveva concluso il testo a matita, con la sua inconfondibile grafia minuta, che poi, come sempre, Birgit Wansing ha trascritto al computer”, ha raccontato don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana (che ha pubblicato il volume), in un’intervista rilasciata all’Osservatore Romano in edicola oggi. Rispetto al primo volume, informa don Costa, “l’interesse è superiore, e di conseguenza il numero di editori è cresciuto. E siamo solo agli inizi”. “Il libro – spiega il sacerdote salesiano -, stampato dalla Tipografia vaticana, è distribuito dalla Rcs, che con la sua eccellente organizzazione ci ha garantito la distribuzione di trecentomila copie in tre giorni”. E’ previsto anche l’e-book, aggiunge il direttore della Lev, e per il futuro è già stata annunciata una terza parte dedicata ai Vangeli dell’infanzia, che successivamente verrà utilizzata insieme alle altre due per realizzare un’edizione unica dei tre volumi. “Il papa – spiega ancora – ha fatto crescere la Lev perché abbiamo dovuto adeguare strutture e organizzazione, dimostrando capacità che prima non avevamo”. Egli, conclude don Costa, “si fa leggere sempre, anche nei punti più complessi. Chi ha interesse per il racconto della fede, trova sempre le sue pagine molto comprensibili. E coinvolgenti”.

TRA LE CITAZIONI QUATTRO CARDINALI

Sono quattro i cardinali citati da papa Benedetto XVI nel suo ultimo libro, “Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione”, uscito oggi, due dei quali di lingua tedesca, l’area culturale da cui il pontefice trae la massima parte della sua bibliografia: il suo allievo e pupillo Christoph Schonborn, arcivescovo di Vienna, e l’ex-‘avversario’ Walter Kasper, fino a pochi mesi fa presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Il pontefice cita poi il gesuita francese Albert Vanhoye, da lui creato cardinale, e – nella bibliografia – il suo ex-numero 2 alla Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale italiano Angelo Amato, oggi prefetto della Congregazione per le cause dei santi. Accanto ai moltissimi Padri della Chiesa – come ci si aspetterebbe da un libro che vuole dare nuovo impulso alla lettura della Bibbia ‘alla luce della fedé, dopo decenni all’insegna dell’analisi storica e scientifica del testo biblico – e ai grandi nomi dell’esegesi e della teologia tedesca, anche protestanti (Dietrich Bonhoeffer, Rudolf Bultman, Juergen Moltmann, Ulrich Wilckens), il papa cita poi pochi italiani: poi il teologo italo-tedesco Romano Guardini, lo scrittore Vittorio Messori, co-autore con Ratzinger di «Rapporto sulla fede», lo storico cattolico della filosofia antica Giovanni Reale, la storica, il vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza Alberto Giglioli, morto nel 2005, il teologo salesiano Enrico Dal Covolo, nominato dal papa rettore della Università Lateranense. Nessuna citazione diretta invece per il biblista card. Carlo Maria Martini, che però viene citato come uno dei consulenti di una delle opere chiave di riferimento, «La Storia di Gesù» della Rizzoli. Una curiosità: tra gli studi citati dal papa ce n’é anche uno di Heinz-Josef Fabry, firmatario, insieme ad altri 308 teologi tedeschi e non solo, dell’appello per una radicale riforma della Chiesa “Una svolta necessaria”.

MI HA INCORAGGIATO APPREZZAMENTO ALTRI STUDIOSI BIBBIA

Nella Premessa al suo ultimo libro, papa Benedetto XVI confessa di aver ricevuto un “prezioso incoraggiamento” dal fatto che “grandi maestri dell’esegesi come Martin Hengel, nel frattempo purtroppo deceduto, come Peter Stuhlmacher e Franz MuBner mi abbiano esplicitamente confermato nel progetto di procedere nel mio lavoro e di portare a termine l’opera incominciata”. Questo soprattutto, aggiunge il pontefice, “considerata la molteplicità delle reazioni”, “certamente non sorprendente”, che hanno accolto la prima parte dell’opera.

STUDIO STORICO BIBBIA HA RAGGIUNTO SCOPO, ORA SI APRA A FEDE

“In 200 anni di lavoro esegetico, l’interpretazione storico-critica” della Bibbia, e in particolare dei Vangeli, “ha ormai dato ciò che di essenziale aveva da dare” e deve ora aprirsi ad una “ermeneutica della fede” se “non vuole esaurirsi in sempre nuove ipotesi diventando teologicamente insignificante”. Lo afferma papa Benedetto XVI nella Premessa al suo nuovo libro “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione”, confessando la speranza di aver “già fatto un buon passo in tale direzione” con i suoi due libri sulla figura e il messaggio di Gesù. Per papa Ratzinger, la “esegesi biblica scientifica” deve oggi “fare un passo metodologicamente nuovo e riconoscersi nuovamente come disciplina teologica, senza rinunciare al suo carattere storico”. “Deve imparare – prosegue il pontefice – che l’ermeneutica positivistica da cui essa prende le mosse non è espressione della ragione esclusivamente valida che ha definitivamente trovato se stessa, ma costituisce una determinata specie di ragionevolezza storicamente condizionata, capace di correzione e integrazioni, e bisognosa di esse”. Per il papa, “tale esegesi deve riconoscere che un’ermeneutica della fede, sviluppata in modo giusto, è conforme al testo e può congiungersi con un’ermeneutica storica consapevole dei propri limiti per formare un’interezza metodologica”.

Benedetto XVI critica l’esegesi storica della Bibbia perché dà un’immagine del “Gesù storico” “troppo insignificante nel suo contenuto per aver potuto esercitare una grande efficacia storica” e per averlo “troppo ambientato nel passato per rendere possibile un rapporto personale con lui”. “Coniugando tra loro le due ermeneutiche – scrive il papa – ho cercare di sviluppare uno sguardo sul Gesù dei Vangeli e un ascolto di Lui che potesse diventare un incontro e tuttavia, nell’ascolto in comunione con i discepoli di Gesù di tutti i tempi, giungere anche alla certezza della figura veramente storica di Gesù”. In questo modo, le “grandi intuizioni dell’esegesi patristica potranno in un contesto nuovo tornare a portar frutto”, dando corpo ai principi enunciati dal Concilio Vaticano II. “Non pretendo di asserire – ammette però Ratzinger – che nel mio libro questa congiunzione delle due ermeneutiche sia ormai cosa compiuta fino in fondo. Spero però di aver già fatto un buon passo in tale direzione”.

SE AVRÒ FORZA SCRIVERÒ PICCOLO LIBRO SU INFANZIA GESÙ

Benedetto XVI vuole mantenere la promessa fatta nella prima parte del suo libro su Gesù di Nazaret e, nella Premessa al secondo tomo uscito oggi, ribadisce la sua volontà di scrivere un “piccolo fascicolo” sull’infanzia di Gesù, “se per questo mi sarà ancora data la forza”. “I racconti dell’infanzia – dice il pontefice del suo libro – non potevano rientrare direttamente nell’intenzione essenziale di quest’opera” che ha l’obiettivo di “illustrare” e “comprendere la figura di Gesù, la sua parola e il suo agire”.

ANCHE CHIESA CERCA IL SUCCESSO DIMENTICANDO LA CROCE

Come l’apostolo Pietro che rimase sordo quando Gesù annunciò la sua morte in croce e risurrezione, così anche i cristiani e la Chiesa stessa subiscono la “tentazione continua” di volere “il successo senza la croce”: lo scrive papa Benedetto XVI nella Premessa al suo nuovo libro “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione”. Il pontefice ricorda che Pietro “poiché è contrario alla croce, non può percepire la parola sulla resurrezione e vorrebbe il successo senza la croce. Egli confida nelle proprie forze”. “Chi potrebbe negare – si chiede papa Ratzinger – che il suo atteggiamento rispecchi la tentazione continua dei cristiani, anzi, anche della Chiesa: senza la croce arrivare al successo”. Nessuno, ricorda il pontefice, “da sé è abbastanza forte per percorrere la via della salvezza fino alla fine. Tutti hanno peccato, tutti hanno bisogno della misericordia del Signore, dell’amore del Crocifisso”.

IN GESÙ NO SCHIZOFRENIA TRA UMANO E DIVINO MA SINERGIA

“La duplicità in Gesù di un volere umano e di un volere divino non deve portare alla schizofrenia di una doppia personalità”, afferma Benedetto XVI nella Premessa al suo nuovo libro, analizzando la formula del Concilio di Calcedonia secondo cui in Gesù coesistono in un’unica persona le due sostanze umana e divina. In questo contesto, papa Ratzinger, nel capitolo dedicato alla notte passata da Cristo sul Monte degli Ulivi, si sofferma sulla antica eresia del “monotelismo”, ovvero che in Gesù ci sia un’unica volontà: per il papa, però, sarebbe assurdo pensare alla natura umana di Gesù se a questa non corrispondesse anche una volontà umana. Di qui il problema della coesistenza di due volontà nella persona di Gesù: “Questa irrecusabile duplicità”, scrive Benedetto XVI, non significa però che in Gesù ci sia una “schizofrenia”. Papa Ratzinger, citando il filosofo bizantino Massimo il Confessore, afferma che “a partire dalla creazione, la volontà umana è orientata verso quella divina. Nell’aderire alla volontà divina la volontà umana trova il suo compimento e non la sua distruzione”. Tra le due volontà, quindi, c’é una naturale “sinergia” che “a causa del peccato si è trasformata in opposizione”. L’uomo nel peccato “vede nel ‘si” alla volontà di Dio non la possibilità di essere pienamente se stesso ma la minaccia per la sua libertà contro cui egli oppone resistenza”.

RESURREZIONE GESÙ VA OLTRE SCIENZA, NON CONTRO SCIENZA

La resurrezione di Gesù non contrasta con il dato scientifico della realtà ma è qualcosa che va oltre la scienza, qualcosa che ci dice che “esiste un’ulteriore dimensione rispetto a quelle che finora conosciamo”. Scrive ancora papa Benedetto XVI nella Premessa al suo nuovo libro, nell’ampio capitolo dedicato all’analisi del “paradosso” della resurrezione. Per papa Ratzinger, “naturalmente, non può esserci alcun contrasto con ciò che costituisce un chiaro dato scientifico”. Le testimonianze bibliche sulla resurrezione raccontano però di “qualcosa che non rientra nel mondo della nostra esperienza. Si parla di qualcosa di nuovo, di qualcosa fino a quel momento unico – si parla di una nuova dimensione della realtà che si manifesta”. Quindi, “non si contesta la realtà esistente” ma si apre “un’ulteriore dimensione rispetto a quelle che finora conosciamo”: “Ciò – si chiede il papa – sta forse in contrasto con la scienza”? Può veramente esserci solo ciò che è esistito da sempre”? Non può esserci la cosa inaspettata, inimmaginabile, la cosa nuova”? … Non è, in fondo, la creazione in attesa di questa ultima e più alta ‘mutazioné, di questo definitivo salto di qualità?”.

RESURREZIONE GESÙ NON RIANIMAZIONE CADAVERE MA VITA NUOVA

La resurrezione di Gesù non consiste soltanto nel “miracolo di un cadavere rianimato” perché se così fosse “essa ultimamente non ci interesserebbe” e “non sarebbe più importante della rianimazione, grazie all’abilità dei medici, di persone clinicamente morte”. Per papa Benedetto XVI, che nel suo ultimo libro dedica un ampio capitolo proprio alla risurrezione, il ritorno dalla morte di Gesù è qualcosa di totalmente diverso anche rispetto alle resurrezioni di cui si parla nella Bibbia, come ad esempio quella di Lazzaro. Essa è “l’evasione verso un genere di vita totalmente nuovo, verso una vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, ma posta al di là di ciò – una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini”. Senza la resurrezione, scrive papa Ratzinger, Gesù sarebbe stato soltanto “una personalità religiosa fallita”: “Se Gesù sia soltanto esistito nel passato o invece esista anche nel presente – ciò dipende dalla resurrezione”. Ma anche se la resurrezione fosse stata soltanto un eccezionale evento clinico, “per il mondo come tale e per la nostra esistenza non sarebbe cambiato nulla”. “La resurrezione di Gesù – afferma invece il papa – non è un avvenimento singolare, che noi potremmo trascurare e che appartiene soltanto al passato ma una sorta di ‘mutazione decisiva’ …, un salto di qualità. Nella resurrezione di Gesù è stata raggiunta una nuova possibilità di essere uomo, una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini”. Di qui si spiega, per il pontefice, “la peculiarità delle testimonianze” del Nuovo Testamento sulla resurrezione: “Parlano di una cosa paradossale, di qualcosa che supera ogni esperienza e che tuttavia è presente in modo assolutamente reale”. “Egli – scrive il papa – non è un uomo semplicemente ritornato come prima della morte”: “Egli è pienamente corporeo. E tuttavia non è legato alle leggi della corporeità, alle leggi di spazio e tempo … Egli è lo stesso – un Uomo in carne e ossa – ed Egli è anche il Nuovo, Colui che è entrato in un genere diverso di esistenza”. Questa contraddittorietà dei racconti su Gesù risorto è, per Benedetto XVI, una prova della loro stessa veridicità: “Se si fosse dovuta inventare la risurrezione, tutta l’insistenza si sarebbe concentrata sulla piena corporeità, sull’immediata riconoscibilità … Ma nella contraddittorietà dello sperimentato che caratterizza tutti i testi, nel misterioso insieme di alterità e identità si rispecchia un nuovo modo dell’incontro, che apologeticamente appare piuttosto sconcertante, ma che proprio per questo si rivela anche maggiormente come autentica descrizione dell’esperienza fatta”.

STRUTTURA CHIESA MASCHILE MA DONNE APRONO PORTA A CRISTO

Per papa Benedetto XVI le testimonianze bibliche della risurrezione di Gesù mostrano che se la “struttura giuridica” della Chiesa è necessariamente maschile, “nella forma completa della vita ecclesiale sono sempre di nuovo le donne ad aprire la porta al Signore, ad accompagnarlo fin sotto la croce e a poterlo così incontrare anche quale Risorto”. Nel suo ultimo libro il pontefice si sofferma sul fatto che le testimonianze di Gesù dopo la sua risurrezione si dividono in due categorie: quelle sotto forma di “professione di fede” e quelle che sono invece la “narrazione” di un incontro. In quest’ultima categoria “le donne hanno un ruolo decisivo, anzi, hanno la preminenza a confronto degli uomini”. “Questo – ragiona papa Ratzinger – può dipendere dal fatto che nella tradizione giudaica soltanto gli uomini venivano accettati come testimoni in tribunale, la testimonianza delle donne era considerata non affidabile. La ‘tradizione ufficiale’, che sta per così dire davanti al tribunale di Israele e del mondo, deve quindi attenersi a queste norme per poter far fronte al processo su Gesù, che in certo modo continua”. I “racconti” delle donne non sono invece “legati a tale struttura giuridica ma comunicano la vastità dell’esperienza della risurrezione”. è per questo che “come già sotto la croce – a prescindere da Giovanni – si erano ritrovate soltanto donne, così era a loro destinato il primo incontro con il Risorto”.

CON FRATELLO PROTESTANTE TEOLOGIA DIVERSA MA STESSA FEDE

In cattolici e protestanti, “pur con approcci teologici differenti, è la stessa fede che agisce, avviene un incontro con lo stesso Signore Gesù”, scrive ancora il papa. Dalla uscita della prima parte della sua opera, nota papa Ratzinger, il suo libro ha trovato un “fratello ecumenico” nell’opera del 2008 “Jesus” del teologo protestante Joachim Ringleben. Malgrado la “grande differenza nel modo di pensare e nelle impostazioni teologiche determinanti”, nei due libri ” si manifesta la profonda unità nell’essenziale comprensione della persona di Gesù e del suo messaggio”. “Spero – chiosa il pontefice – che ambedue i libri, nella loro diversità e nella loro essenziale sintonia, possano costituire una testimonianza ecumenica che in questa ora, a modo suo, può servire alla comune missione fondamentale dei cristiani”.

CHIESA OGGI E’ BARCA IN TEMPESTA. MA GESÙ E’ SEMPRE VICINO

Come Gesù ha camminato sulle acque per venire in soccorso ai discepoli in difficoltà sul mare in tempesta, così “anche oggi la barca della Chiesa, col vento contrario della storia, naviga attraverso l’oceano agitato del tempo” e “spesso si ha l’impressione che debba affondare”, ma “il Signore è presente e viene nel momento opportuno”, scrive Benedetto XVI nel capitolo conclusivo, “Prospettive”, del suo ultimo libro. Quella di Gesù che dopo essersi ritirato in montagna a pregare, vede di lontano i suoi apostoli in difficoltà e, salendo sulla barca con loro, “rende possibile la traversata fino alla meta”, è “un’immagine per il tempo della Chiesa – destinata proprio anche a noi. Il Signore è ‘sul monte’ del Padre. Per questo Egli ci vede. Per questo può in ogni momento salire sulla barca della nostra vita. Per questo possiamo sempre invocarlo e sempre essere sicuri che Egli ci vede e ci sente”. Papa Ratzinger invita quindi a pregare Gesù “di rendersi efficacemente presente nella sua Chiesa”, donandole “testimoni nuovi della sua presenza” come sono stati San Francesco e San Domenico nel Medioevo.

ANCHE OGGI GESÙ NON E’ LONTANO, SUA BENEDIZIONE ANCORA SU DI NOI

Perché i discepoli di Gesù sono felici quando lo vedono salire in cielo, sapendo che è la sua ultima apparizione dopo la risurrezione”? E’ la domanda portante del capitolo finale, intitolato “Prospettive”, dell’ultimo libro di papa Benedetto. “Ci aspetteremmo – scrive il pontefice – che essi fossero rimasti sconcertati e tristi. Il mondo non era cambiato” almeno all’apparenza, “Gesù si era definitivamente allontanato da loro”, e inoltre “avevano ricevuto un compito apparentemente irrealizzabile, un compito che andava al di là delle loro forze”, quello di predicare nel suo nome. Malgrado tutto ciò, nota papa Ratzinger, “i discepoli non si sentono abbandonati” né il loro sguardo è puntato sul momento imprevedibile del futuro in cui Gesù tornerà definitivamente. Il compito dei discepoli, nota il pontefice, non è “guardare il cielo o conoscere i tempi e i momenti nascosti nel segreto di Dio. Il loro compito è ora di portare la testimonianza di Cristo fino ai confini della terra”, e il loro atteggiamento “non deve essere né di speculare sulla storia né di proiettare lo sguardo verso l’avvenire ignoto. Il cristianesimo è presenza: dono e compito”.

Per questo, ragiona papa Ratzinger, l’ascensione in cielo di Gesù che conclude il Vangelo di Luca non significa che egli “si congeda” e “va da qualche parte su un astro lontano. Egli entra nella comunione di vita e di potere con il Dio vivente, nella situazione di superiorità di Dio su ogni spazialità. Per questo non è ‘andato vià, ma, in virtù dello stesso potere di Dio, è ora e sempre presente accanto a noi e per noi”. “Siccome Gesù è presso il Padre – chiosa ancora il pontefice – Egli non è lontano, ma è vicino a noi… Egli è presente accanto a tutti ed invocabile da parte di tutti – attraverso tutta la storia – e in tutti i luoghi”.

Nel capitolo finale del suo libro su Gesù, Benedetto XVI pone quindi l’accento su quello che San Bernardo di Chiaravalle chiama “adventus medius”, la presenza nell’oggi di Cristo, piuttosto che sull’attesa “escatologica” del suo ritorno alla fine dei tempi. Il “tempo intermedio” che viviamo, scrive il papa, richiede “vigilanza”, ovvero che l’uomo “non si richiuda nel momento presente dandosi alle cose tangibili, ma alzi lo sguardo al di là del momentaneo e della sua urgenza”, che “cerchi con tutte le forze e con grande sobrietà di fare la cosa giusta, non vivendo secondo i propri desideri, ma secondo l’orientamento della fede”. In conclusione, il papa si concentra sul gesto di Gesù mentre viene assunto in cielo, quella della benedizione: “Per questo – scrive nell’ultimo paragrafo del suo libro – i discepoli poterono gioire… nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. è questa la ragione permanente della gioia cristiana”.

SOLA POTENZA MILITARE NON PUÒ MAI STABILIRE PACE

“Con la potenza militare, da sola, non si può stabilire nessuna pace”, afferma papa Benedetto XVI, in un brano già anticipato alla stampa la scorsa settimana, al termine di un’ampia analisi del processo e della condanna di Gesù. Quando Gesù, nell’interrogatorio subito da Ponzio Pilato di cui riferisce il Vangelo di Giovanni afferma di essere ‘re’, egli rivendica una “regalità e un regno” totalmente diversi da quelli a cui erano abituati i governanti dell’epoca, “con l’annotazione concreta che per il giudice romano deve essere decisiva: nessuno combatte per questa regalità. Se il potere, e precisamente il potere militare, è caratteristico per la regalità e il regno – niente di ciò si trova in Gesù. Per questo non esiste neanche una minaccia per gli ordinamenti romani. Questo regno è non violento. Non dispone di alcuna legione”. Il regno di Gesù è fondato sulla “verità”. Ma in che modo la verità può essere fondamento di un “potere””?, si chiede papa Ratzinger. “Verità ed opinione errata, verità e menzogna – scrive il pontefice – nel mondo sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabile. La verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare. Il mondo è ‘vero’ nella misura in cui rispecchia Dio, il senso della creazione, la Ragione eterna da cui è scaturito… In questo senso, la verità è il vero ‘re’ che a tutte le cose dà la loro luce e la loro grandezza… Diciamolo pure: la non-redenzione del mondo consiste, appunto, nella non-decifrabilità della creazione, nella non-riconoscibilità della verità, una situazione che poi conduce inevitabilmente al dominio del pragmatismo, e in questo modo fa sì che il potere dei forti diventi il dio di questo mondo”.

E se oggi la scienza sembra aver reso il mondo intellegibile e quindi aver rivelato la ‘verità’ su di esso, Benedetto XVI ribatte che è solo la “verità funzionale sull’uomo” a essere “diventata visibile. Ma la verità su lui stesso – su chi egli sia, di dove venga, per quale scopo esista, che cosa sia il bene o il male – quella, purtroppo, non si può leggere in tal modo. Con la crescente conoscenza della verità funzionale sembra piuttosto andare di pari passo una crescente cecità per ‘la verità’ stessa – per la domanda su ciò che è la nostra vera realtà e ciò che è il nostro vero scopo”. “Anche oggi – nota papa Ratzinger -, nella disputa politica come nella discussione circa la formazione del diritto, per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità l’uomo non coglie il senso della sua vita, lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti. ‘Redenzione’ nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto che la verità diventi riconoscibile. Ed essa diventa riconoscibile, se Dio diventa riconoscibile”. Di qui, la riflessione del pontefice su Pilato: “la grande verità, di cui aveva parlato Gesù, gli è rimasta inaccessibile; la verità concreta di questo caso, però, Pilato la conosceva bene. Sapeva che questo Gesù non era un delinquente politico e che la regalità rivendicata da Lui non costituiva alcun pericolo politico – sapeva quindi che era da prosciogliere. Come prefetto egli rappresentava il diritto romano su cui si basava la pax romana – la pace dell’impero che abbracciava il mondo. Questa pace, da una parte, era assicurata mediante la potenza militare di Roma. Ma con la potenza militare, da sola, non si può stabilire nessuna pace”. Infatti, scrive il papa, “la pace si fonda sulla giustizia. La forza di Roma era il suo sistema giuridico, l’ordine giuridico, sul quale gli uomini potevano contare. Pilato – lo ripetiamo – conosceva la verità di cui si trattava in questo caso e sapeva quindi che cosa la giustizia richiedeva da lui”.

TRAGEDIA DI GIUDA E’ NON CREDERE A PERDONO DOPO TRADIMENTO

La tragedia di Giuda Iscariota non consiste solo nel suo aver tradito Gesù ma anche nel fatto che, pur essendosi pentito del suo gesto, “non riesce più a credere ad un perdono”, scrive papa Benedetto XVI in un brano anticipato già la scorsa settimana alla stampa. “La seconda sua tragedia, dopo il tradimento, è che non riesce più a credere ad un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione – scrive il pontefice -. Egli vede ormai solo se stesso e le sue tenebre, non vede più la luce di Gesù – quella luce che può illuminare e superare anche le tenebre. Ci fa così vedere il modo errato del pentimento: un pentimento che non riesce più a sperare, ma vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento. Fa parte del giusto pentimento la certezza della speranza – una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della Luce fattasi carne in Gesù”. Papa Ratzinger sottolinea anche che, con il tradimento di Giuda, “la rottura dell’amicizia giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono ‘il suo pané e lo tradiscono”. “La sofferenza di Gesù – nota il pontefice -, la sua agonia, perdura sino alla fine del mondo, ha scritto Pascal in base a tali considerazioni (cfr Pensées, VII 553). Possiamo esprimerlo anche dal punto di vista opposto: Gesù in quell’ora si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenza che viene in ogni tempo dall’essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie della storia”. Benedetto XVI mette anche il risalto che il Vangelo di Giovanni non cerchi di dare “alcuna interpretazione psicologica dell’agire di Giuda”. Questo significa che “ciò che a Giuda è accaduto per Giovanni non è più psicologicamente spiegabile. è finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo ‘dolce giogò, non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze – o piuttosto: il fatto che egli tradisce questa amicizia deriva ormai dall’intervento di un altro potere, al quale si è aperto”.  

ULTIMA CENA NON E’ PASQUA EBRAICA MA PASQUA DI GESÙ

In un brano anticipato già la scorsa settimana alla stampa, papa Benedetto XVI affronta anche il tema della discrepanza tra la cronologia delle ultime ore della vita di Gesù offerta dal Vangelo di Giovanni e quella dei Vangeli di Marco, Luca e Matteo, e propende per dare ragione al primo. La questione può essere riassunta in questi termini: l’ultima cena è una celebrazione della Pasqua ebraica, portando il processo e la crocifissione di Gesù proprio nel giorno di Pasqua, come sembra essere nei Vangeli sinottici, o precede quella festività, portando la morte di Gesù in croce a corrispondere significativamente con l’immolamento degli agnelli nel Tempio prima della Pasqua, come suggersice Giovanni”?

Per papa Ratzinger, oggi “si vede sempre più chiaramente che la cronologia giovannea è storicamente più probabile di quella sinottica” perché “processo ed esecuzione capitale nel giorno di festa sembrano poco immaginabili”. Questa risposta lascia però aperta una questione: “L’ultima cena di Gesù appare così strettamente legata alla tradizione della Pasqua che la negazione del suo carattere pasquale risulta problematica”. Il pontefice risolve la questione richiamandosi allo studio di John P. Meier. Scrive papa Ratzinger: “Gesù era consapevole della sua morte imminente. Egli sapeva che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua. In questa chiara consapevolezza invitò i suoi ad un’ultima cena di carattere molto particolare, una cena che non apparteneva a nessun determinato rito giudaico, ma era il suo congedo, in cui Egli dava qualcosa di nuovo, donava se stesso come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua”.

“Una cosa è evidente nell’intera tradizione – prosegue il papa -: l’essenziale di questa cena di congedo non è stata l’antica Pasqua, ma la novità che Gesù ha realizzato in questo contesto. Anche se questo convivio di Gesù con i Dodici non è stata una cena pasquale secondo le prescrizioni rituali del giudaismo, in retrospettiva si è resa evidente la connessione interiore dell’insieme con la morte e risurrezione di Gesù: era la Pasqua di Gesù”. “In questo senso – aggiunge – Egli ha celebrato la Pasqua e non l’ha celebrata… l’antico non era stato negato, ma solo così portato al suo senso pieno”. “In base a ciò – conclude papa Ratzinger – si può capire come l’ultima cena di Gesù, che non era solo un preannuncio, ma nei Doni eucaristici comprendeva anche un’anticipazione di croce e risurrezione, ben presto venisse considerata come Pasqua – come la sua Pasqua. E lo era veramente”.

NON TUTTI EBREI CONDANNARONO GESÙ, SOLO ARISTOCRAZIA TEMPIO

Quando i Vangeli dicono che furono i “Giudei” ad accusare Gesù e a chiederne la condanna a morte, questo non significa che si tratti di tutto il “popolo di Israele”, afferma ancora il  papa in un brano anticipato già la scorsa settimana alla stampa. “Domandiamoci anzitutto – si chiede il papa -: chi erano precisamente gli accusatori”? Chi ha insistito per la condanna di Gesù a morte”? Nelle risposte dei Vangeli vi sono differenze su cui dobbiamo riflettere. Secondo Giovanni, essi sono semplicemente i ‘Giudei’. Ma questa espressione – sottolinea papa Ratzinger -, in Giovanni, non indica affatto – come il lettore moderno forse tende ad interpretare – il popolo d’Israele come tale, ancor meno essa ha un carattere ‘razzista'”. Nel Vangelo di Marco, invece, si parla di “una quantità di gente, la ‘massa’, da identificare con i sostenitori di Barabba. “In ogni caso – precisa il papa – con ciò non è indicato ‘il popolo’ degli Ebrei come tale”. Quando Matteo fa riferimento a “tutto il popolo”, per il pontefice, “sicuramente non esprime un fatto storico” mentre “il vero gruppo degli accusatori sono i circoli contemporanei del tempio e, nel contesto dell’amnistia pasquale, si associa ad essi la ‘massa’ dei sostenitori di Barabba”.

PILATO MISE PACE DAVANTI A GIUSTIZIA PER CONDANNARE GESÙ

-Per papa Benedetto XVI, Ponzio Pilato era convinto della innocenza di Gesù ma decise di mettere la “pace”, assicurata dalla stabilità delle istituzioni e della forza militare dell’impero romano, alla “giustizia”. Analizzando il processo e la condanna di Gesù nel suo ultimo libro, in un brano anticipato già la scorsa settimana alla stampa, il pontefice afferma: “Alla fine vinse in lui (Pilato, ndr) l’interpretazione pragmatica del diritto: più importante della verità del caso è la forza pacificante del diritto… Un’assoluzione dell’innocente poteva recare danno non solo a lui personalmente – il timore per questo fu certamente un motivo determinante per il suo agire -, ma poteva anche provocare ulteriori dispiaceri e disordini che, proprio nei giorni della Pasqua, erano da evitare. La pace fu in questo caso per lui più importante della giustizia. Doveva passare in seconda linea non soltanto la grande ed inaccessibile verità, ma anche quella concreta del caso: credette di adempiere in questo modo il vero senso del diritto – la sua funzione pacificatrice. Così forse calmò la sua coscienza. Per il momento tutto sembrò andar bene. Gerusalemme rimase tranquilla. Il fatto, però, che la pace, in ultima analisi, non può essere stabilita contro la verità, doveva manifestarsi più tardi”.

GESÙ HA SEPARATO DEFINITIVAMENTE RELIGIONE DA POLITICA

“Con il suo annuncio Gesù ha realizzato un distacco della dimensione religiosa da quella politica, un distacco che ha cambiato il mondo e che veramente appartiene all’essenza della sua nuova via”: lo sottolinea papa Benedetto XVI nel suo ultimo libro “Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione”. Il pontefice ricorda che ai tempi di Gesù “le due dimensioni – quella politica e quella religiosa – erano, appunto, assolutamente inseparabili l’una dall’altra”. Per questo, nella decisione di condannarlo da parte dei sommi sacerdoti non fu motivata dalla “legittima preoccupazione di tutelare il tempio e il popolo”, ma anche dalla “egoistica smania di potere da parte del gruppo dominante”. “Gesù – scrive papa Ratzinger – nel suo annuncio e con tutto il suo operare, aveva inaugurato un regno non politico del Messia e aveva cominciato a staccare l’una dall’altra le due realtà, fino ad allora inscindibili. Ma questa separazione di politica e fede, di popolo di Dio e politica appartenente all’essenza del suo messaggio, era possibile, in definitiva, solo attraverso la croce”.

VIOLENZA STRUMENTO DELL’ANTICRISTO, NON CREA REGNO DI DIO

“La violenza non instaura il regno di Dio, il regno dell’umanesimo. è, al contrario, uno strumento preferito dell’anticristo – per quanto possa essere motivata in chiave religioso-idealistica. Non serve all’umanesimo, bensì alla disumanità”, scrive papa Benedetto. Analizzando l’episodio evangelico della cacciata dei mercanti dal tempio, il pontefice critica “l’onda delle teologie della rivoluzione” che, “in base ad un Gesù interpretato come zelota, avevano cercato di legittimare la violenza come mezzo per instaurare un mondo migliore – il ‘Regnò”. “I risultati terribili di una violenza motivata religiosamente stanno in modo troppo drastico davanti agli occhi di tutti noi”, ricorda il pontefice. “Gesù non si fonda sulla violenza – ricorda il papa -; non avvia un’insurrezione militare contro Roma. Il suo potere è di carattere diverso: è nella povertà di Dio, nella pace di Dio, che Egli individua l’unico potere salvifico”. “Egli – conclude – è un re che spezza gli archi da guerra, un re della pace e un re della semplicità, un re dei poveri”.

GESÙ NON ERA UN VEGGENTE, NO A FANTASIE APOCALITTICHE

“Le parole apocalittiche di Gesù non hanno nulla a che fare con la chiaroveggenza. Esse vogliono proprio distoglierci dalla curiosità superficiale per le cose visibili e condurci all’essenziale: alla vita sul fondamento della parole di Dio che Gesù ci dona; all’incontro con Lui, la Parola vivente; alla responsabilità davanti al Giudice dei vivi e dei morti”, scrive Benedetto XVI, ricordando che un “elemento essenziale del discorso escatologico di Gesù è l’avvertimento contro gli pseudo-messia e contro le fantasticherie apocalittiche”.

DEVOZIONE OTTOCENTESCA HA CREATO SOSPETTO VERSO IL CORPO

“L’esegesi liberale ha detto che Gesù avrebbe sostituito la concezione rituale della purità con quella morale: al posto del culto e del suo mondo subentrerebbe la morale. Allora il cristianesimo sarebbe essenzialmente una morale, una specie di ‘riarmò etico. Ma con ciò non si rende giustizia alla novità del Nuovo Testamento”. Per il pontefice, “al posto della purezza rituale non è semplicemente subentrata la morale, ma il dono dell’incontro con Dio in Gesù Cristo”, criticando “la devozione dell’Ottocento” che ha “di nuovo reso unilaterale il concetto di purezza, l’ha ridotto sempre più alla questione dell’ordine nell’ambito sessuale, inquinandolo così anche nuovamente col sospetto nei confronti della sfera materiale, del corpo”.