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CARCERI: DON ESPOSITO (CAPPELLANO POGGIOREALE), SITUAZIONE MOLTO DIFFICILE

“Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”: così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha definito la situazione delle carceri e in una nota di ieri del Quirinale ha sollecitato “un intervento del Parlamento in tempi ravvicinati”. “Credo che sia importante l’intervento di Napolitano – dice al SIR don Franco Esposito, direttore dell’Ufficio di pastorale carceraria dell’arcidiocesi di Napoli e cappellano nel carcere di Poggioreale – perché la situazione è veramente drammatica, non solo perché i detenuti vivono in situazioni in cui la dignità umana viene quotidianamente calpestata sia nei diritti fondamentali di una convivenza serena sia nei diritti alla salute, all’igiene, al vitto”. Le carceri sono sovraffollate: “A Poggioreale, ad esempio – ricorda il cappellano – dovrebbe esserci al massimo 1.100 detenuti e ce ne sono 2.200 e le conseguenze non si fanno attendere. Tutto ciò è a discapito della rieducazione. Quando ci sono tanti detenuti in sovraffollamento è impossibile qualsiasi tipo di iniziativa di socialità, tutto viene sacrificato alla sicurezza, per cui i detenuti restano chiusi nelle celle per 22 ore al giorno”. Altro problema sono i tagli nell’amministrazione carceraria, che “hanno provocato ulteriori disagi, come a Poggioreale dove ci sono voluti tre mesi per aggiustare la caldaia dell’acqua calda”. Sempre nel carcere napoletano, denuncia don Esposito, “c’è una cucina che serve 2.200 persone, mentre in teoria in qualsiasi istituto in Italia una cucina dovrebbe servire al massimo 400 persone. La conseguenza è che il vitto è immangiabile, per cui ogni giorno vengono buttate tonnellate di cibo”. “Mi sembra – sottolinea il cappellano – che non ci siano interventi seri da parte dei politici, perché temono di perdere il consenso popolare se parlano di benefici o misure alternative al carcere. La gente, infatti, erroneamente, pensa che il carcere dia sicurezza, mentre è proprio l’opposto”. Secondo il direttore della Pastorale carceraria napoletana, “da questo tipo di carcere i detenuti escono peggiori di quando sono entrati, contro le istituzioni perché sentono di aver subito una pena più grande del dovuto: si entra nel carcere colpevoli di un reato che si è commesso e si esce vittime di un reato che si è subito”. Questo tipo di carcere, dunque, “non crea sicurezza, perché gli ex detenuti che ritornano nella società escono incattiviti”. Inoltre, all’interno dell’istituto di pena si viene a creare “una situazione di camorra, in quanto in una cella di 15-20 persone ci sono quelli che non hanno niente e non fanno colloqui e che subiscono le angherie dei prepotenti”. Questo carcere “alimenta la criminalità e noi come Chiesa non possiamo non denunciare queste situazioni”. (Sir)