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CEI, MONS. BETORI: SU WELBY TROPPA IDEOLOGIZZAZIONE

Nel “caso welby” si è trattato di eutanasia? “Il tema non è emerso”, ha dichiarato oggi il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Betori, durante la conferenza stampa di presentazione del comunicato finale del Consiglio permanente dei vescovi italiani. Betori ha definito il caso Welby “molto problematico”, perché “in un contesto di ideologizzazione talmente forte diventa difficile sapere cos’è successo realmente”. Betori ha citato comunque “un testimone non sospetto”: l’oncologo Umberto Veronesi, secondo il quale nel caso Welby “eticamente si è trattato di un suicidio”.

Riguardo ai funerali “la Chiesa di Roma – ha affermato – difficilmente poteva trovare un atteggiamento diverso”. Quanto all’intervista del card. Martini, Betori ha precisato che durante il Consiglio permanente “non è stata oggetto di nessun intervento”. La posizione dei vescovi “è chiara”, ha aggiunto poi Betori citando il comunicato finale, in cui si ribadisce il “rifiuto” dei vescovi “dell’eutanasia come anche dell’accanimento terapeutico che però, ovviamente, non può giungere a legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e in particolare quell’abbandono terapeutico che priva il paziente del necessario sostegno vitale attraverso l’alimentazione e l’idratazione”.

Il rapporto tra medico e paziente è già tutelato dalla deontologia medica, e “non ha bisogno di leggi che lo ingabbiano e che lo rendono più debole”. Rispondendo ai giornalisti durante la conferenza stampa a chiusura dei lavori del Consiglio permanente dei vescovi italiani mons. Giuseppe Betori, ha inquadrato in questi termini la questione del testamento biologico, attualmente all’esame del Parlamento. “Il legiferare troppo – ha detto interpellato sulla posizione della Chiesa italiana in merito ad un eventuale legge – va a scapito del rapporto tra il malato e il medico. La deontologia medica prevede già il dialogo tra il medico e il malato in ordine alla cura”. Sì, dunque, al “dialogo”, ma non in un contesto ”dove una legge ingabbia e pretende di predeterminare una situazione in cui già il dialogo consentirebbe di rispettare la volontà del malato, ma anche il ruolo del medico. Altrimenti il medico non fa più il medico, se esegue soltanto gli ordini del malato: non ha più una scienza da apportare e una coscienza da esercitare”.Sir