Italia

Card. Montenegro: a Lampedusa ho avuto una crisi di fede e ho scritto al Papa

«Trovarsi davanti a 366 bare ti fa sentire schiacciato e impaurito – ha raccontato -. Stare sul molo di Lampedusa e vedere quei volti mi ha provocato una crisi di fede; non solo ho sentito Dio lontano ma non l’ho proprio sentito. Poi ho visto un poliziotto piangere come un bambino. Quella sera stessa ho scritto al Papa, dicendogli la mia difficoltà, come vescovo che avrebbe dovuto aiutare gli altri e che invece si è ritrovato con il cuore spento». Quanto sta accadendo oggi in Europa, ha proseguito, è «una storia pesante che non possiamo mettere sotto la voce ‘carità’ ma dobbiamo mettere sotto la voce ‘giustizia’. Il problema non è la migrazione ma l’ingiustizia nel mondo e il mondo si regge su questa ingiustizia. Se non cominciamo a combattere l’ingiustizia le soluzioni non si trovano». «Noi ci siamo lavati le mani ma continuiamo a stare sugli spalti come al Colosseo – ha affermato -, e con il pollice in alto o in basso decidiamo la sorte di chi può vivere o morire». Al contrario, ha concluso, «dobbiamo cominciare a vivere la cultura dell’accoglienza, che è la capacità di guardare l’altro negli occhi, e l’altro è contento perché vede riconosciuta la sua dignità di uomo».

«È una pura ipocrisia fare una distinzione tra migranti per motivi umanitari e migranti economici. Come se, di fronte alle masse che si spostano, i motivi economici non fossero umanitari», ha affermato Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale, durante il colloquio sulle migrazioni organizzato dal Centro Astalli.

«Prima di parlare come giurista – ha precisato Zagrebelsky – dobbiamo parlare della comune umanità. Il diritto pubblico lo abbiamo costruito nel corso degli ultimi secoli sulla base delle nazionalità, i confini degli Stati e l’appartenenza agli Stati, su una idea violenta che ci sia una casa mia che non è degli altri». Anche il diritto d’asilo, ha puntualizzato, era stato pensato (con la Convenzione di Ginevra del 1951) in una «logica totalmente diversa, come diritto individuale: una persona perseguitata per ragioni politiche, etniche, fugge dal suo governo e cerca protezione in un altro luogo». Oggi, invece, «siamo di fronte a fenomeno completamente diverso: si parla di migranti forzati, categoria che comprende tutte le cause della forzatura, politiche, sociali, economiche, ecologiche». Perciò «le migrazioni di massa travolgono l’idea stessa di confine se ci si sposta per tanti motivi costringenti». «Non c’è alcuna ragione di rifiutare l’asilo a quelli che si spostano per ragioni economiche – ha affermato il giurista -. È una ipocrisia un discorso del genere di fronte alle migliaia di persone che arrivano in Europa. Ed è pura ipocrisia pensare di fare verifiche attendibili. Le verifiche sono solo ostacoli burocratici per tenere le persone nei centri di accoglienza».

«L’accoglienza – ha detto ancora Gustavo Zagrebelsky  – è un diritto che spetta ai migranti forzati e un dovere per le istituzioni, non è una beneficenza. Quello che sta avvenendo in Europa è uno scandalo del diritto. C’è uno scollamento tra i nobili principi e la realtà, che dimostra il fallimento del diritto».

«Perché in Europa – ha precisato il presidente emerito della Corte costituzionale – la Carta dei diritti in teoria vale per tutti, ma l’Europa è ancora una sommatoria di governi. E i governi, è triste dirlo, dimostrano i limiti della democrazia: il tema dell’accoglienza non porta voti ma li toglie. Questo spiega tante chiusure. Ma una democrazia senza una crescita culturale rischia di alimentare questa contraddizione». «La modernità è stato il tempo in cui il mondo si è diviso in Stati separati da confini. Ma oggi siamo nella post modernità, che mette in discussione proprio questo mondo – ha osservato -. In un mondo saturo, in cui le occasioni di vita si cercano altrove, dobbiamo superare l’idea che il mondo si divida così. C’è bisogno di un mutamento della cultura, e spetta a ciascuno di noi». Zagrebelsky ha accennato a una sua proposta fatta al sindaco di Torino, che però non è stata presa in considerazione: «Un censimento di tutte le famiglie che hanno la possibilità di ospitare a casa propria qualcuno che viene da fuori, ma senza improvvisare l’accoglienza, con l’accompagnamento delle istituzioni». «Potremmo chiedere alle amministrazioni locali – ha proposto di nuovo – di fare un censimento delle energie spontanee sul territorio, per diffondere l’idea dell’accoglienza e farne una cultura».