Italia

Caso Englaro, la vita è un bene indisponibile

di Andrea Bernardini

La discussione sulle dichiarazioni anticipate di trattamento è iniziata mercoledì in commissione sanità al Senato. Sabato scorso, intanto, il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, intervenendo a Viareggio al Festival della salute, in un dibattito con Mina Welby (nella foto il marito) e Beppino Englaro ha pronosticato che alla fine il Parlamento una legge in materia riuscirà a partorirla. Una legge che dovrà servire – secondo la Roccella – a evitare in futuro altre sentenze come quella della Cassazione sul caso Englaro, e a fissare alcuni princìpi. Il primo: che la dichiarazione anticipata di trattamento sia scritta e autenticata, perché le volontà del paziente «non si possono ricostruire sulla base di testimonianze o addirittura sugli stili di vita, come dice quella sentenza». E poi: l’idratazione e la nutrizione «non devono essere considerati trattamenti sanitari» perché «se si considera il mangiare ed il bere come un trattamento sanitario si aprono vere e proprie voragini». Infine va garantita comunque l’autonomia del medico, anche rispetto alle dichiarazioni anticipate di trattamento sottoscritte dal paziente: perché – è bene ricordarlo – il medico non è, né potrà mai essere un semplice esecutore e il paziente un semplice consumatore. Se il camice bianco «non vorrà tener conto delle volontà del paziente si può prevedere che motivi la sua decisione per iscritto».

Libertà di cura diritto costituzionaleLa libertà di curarsi o non curarsi è stabilita dall’articolo 32 della Costituzione italiana che recita così: «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Il pensiero corre, ad esempio, al caso della donna siciliana che, negando il consenso all’amputazione del suo piede destro divorato da una cancrena, morì pochi dopo aver lasciato l’ospedale: fallito ogni tentativo di convincerla ad operarsi, nessuno poté costringerla con la forza. Quando, però, il malato non è più cosciente, o, come nel caso di Eluana Englaro, definita dai medici in stato vegetativo, chi decide se continuare o meno la cura? Del resto – ha ricordato Ignazio Marino, primo firmatario di un disegno di legge sul testamento biologico – i nostri padri costituenti quando firmarono la Carta costituzionale non conoscevano le tecniche e gli strumenti che la scienza avrebbe inventato per mantenere in vita e, in alcuni casi, per ridar vita a pazienti: primo tra tutti, il respiratore artificiale. La proposta – Marino, sottoscritta nella scorsa legislatura da 101 colleghi del Parlamento – è una delle tante: attualmente sono sei le proposte di legge in materia su cui si sta discutendo, quattro vengono dall’opposizione e due dalla maggioranza. La sentenza della CassazioneSul dibattito è piombato il macigno del caso di Eluana Englaro arrivato in Cassazione dopo quindici anni e nove mesi e ben otto sentenze. «Noi – ha spiegato suo padre Beppino alla conferenza di Viareggio – avevamo sollevato il problema da subito», perché Eluana, dopo aver visitato un suo amico in rianimazione «aveva detto che nel caso fosse accaduto a lei dovevamo intervenire e far sospendere i protocolli rianimativi». La Corte di Cassazione, nell’ottobre dello scorso anno, ha spiegato come «senza il consenso informato l’intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario obbligatorio per legge o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente». Ora il consenso informato – evidenzia la Corte – «ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma, altresì, eventualmente, di rifiutare la terapia e di incidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche quella terminale». Nel caso in cui il malato non possa decidere, interviene il tutore, che «dovrà agire nell’esclusivo interesse dell’incapace». E nella ricerca del «best interest» dovrà decidere non «al posto dell’incapace, né per l’incapace, ma al posto dell’incapace». Questa sentenza – per molti – rischia di avere effetti devastanti. Il Parlamento ha sollevato il conflitto di attribuzione di competenze con la Cassazione, avocandosi il diritto di legiferare in questa materia. Una posizione votata a  maggioranza e su cui il Pd si è astenuto. Le posizioniDelicata la posizione dei medici, che devono rispondere al loro codice deontologico, pensiamo in particolare agli articoli 17 («il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte»)e 23 («il medico non può abbandonare il malato ritenuto inguaribile, ma deve continuare ad assisterlo anche al solo fine di lenirne la sofferenza fisica e psichica»). La posizione della Chiesa è stata riassunta dal segretario della Cei Giuseppe Betori al termine della riunione del Consiglio permanente dei vescovi. In sostanza: la vita è un bene indisponibile. Dunque: no ad una legge sul testamento biologico, sì, semmai, ad una legge che faccia chiarezza sul fine vita (dopo la già citata sentenza di Cassazione), orientata, però, al «favor vitae». «Ogni volta che passiamo un confine – ha detto il sottosegretario Roccella – bisogna avere in mente quale modello di società vogliamo costruire».