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Cattolici e Resistenza: il 25 aprile di don Mazzolari. Domani card. Ravasi a Bozzolo

«Il 25 aprile del ’45 don Primo poté finalmente festeggiare di persona a Bozzolo» la liberazione dal nazifascismo, «ma si ritrovò, lui notoriamente antifascista e resistente, a operare per salvare la vita dei fascisti. Sosteneva: ‘Noi siamo ancora e sempre degli avvocati di misericordia’». Giorgio Vecchio, docente di Storia contemporanea all’università di Parma, è presidente del Comitato scientifico della Fondazione Don Primo Mazzolari: oggi, a Bozzolo – paese in provincia di Mantova ma della diocesi di Cremona dove Mazzolari fu parroco dal 1932 alla morte (1959) – ha aperto i lavori del convegno intitolato «A settant’anni dalla Liberazione, 1945-2015. La memoria della Resistenza».

Quattro le relazioni succedutesi: «I cattolici italiani e la memoria della Resistenza» (Marta Margotti, Università di Torino); «Don Primo Mazzolari, ‘Adesso’ e la rilettura della Resistenza» (Paolo Trionfini, Università di Parma); «Don Luisito Bianchi e la recente letteratura sulla Resistenza» (Isotta Piazza, Università di Parma); «La Resistenza e la memoria della Resistenza a Bozzolo» (Ludovico Bettoni, studioso della storia di Bozzolo). Vecchio ha ricostruito alcune tappe dell’impegno dell’arciprete, scrittore e oratore molto conosciuto in Italia sin dalla fine degli anni ’30, che appoggio le attività di sostegno alla lotta partigiana, contribuì a salvare la vita di diversi ebrei, fu più volte fermato e anche arrestato per la sua esplicita attività antifascista.

Mazzolari «ad esempio aiutò i militari italiani di passaggio a Bozzolo, o perché sbandati e fuggitivi»; «collaborò con la signora Margherita Beduschi in Zanchi, una donna di Rivarolo Mantovano alla quale si era rivolta disperata una sua conoscente ebrea, Susanna Benyacar. Don Primo si attivò per aggiungere l’intera famiglia Benyacar (due coniugi con due bambini e un terzo in arrivo, che nacque proprio a Bozzolo) a un gruppo di sfollati provenienti dal Lazio, dotandoli di documenti falsi. Tutti i Benyacar riuscirono a salvarsi». «Pochi giorni dopo l’annuncio dell’armistizio don Primo dovette allontanarsi da Bozzolo. Aveva infatti appreso che il suo nome era compreso in un elenco di persone da eliminare e già militi tedeschi e fascisti avevano iniziato a perquisire le abitazioni di persone a lui vicine». Quindi tra l’autunno e l’inverno 1943-1944 si diede da fare per contribuire all’organizzazione a Bozzolo di un distaccamento delle Fiamme Verdi. «In prima linea vicino a lui furono i giovani Pompeo Accorsi e Sergio Arini, che avrebbero pagato con la vita la loro scelta, venendo arrestati e fucilati nell’estate del 1944».

Fermato dai fascisti ancora nel febbraio del 1944, don Mazzolari proseguì l’attività clandestina, fino all’arresto del 30 luglio 1944 e alla fuga, un mese dopo, dalla stessa Bozzolo. «Don Primo – spiega Vecchio – visse clandestinamente circa quattro mesi a Gambara, località della bassa bresciana, chiuso nella canonica a studiare e stendere le prime versioni di diversi suoi libri». Tornato nottetempo a fine anno a Bozzolo, rimase chiuso in una stanza della canonica fino alla fine della guerra, spendendosi poi per la pacificazione in paese e per la ricostruzione morale e politica del dopoguerra.

Dopo il convegno odierno, nella giornata di domani giungerà a Bozzolo il card. Gianfranco Ravasi, che celebrerà la Messa nella chiesa parrocchiale di San Pietro, per il 56° della scomparsa del sacerdote lombardo.