Italia

Cure palliative, Lorenzin: «Le reti regionali sono in crescita»

Sono ormai passati più di venticinque anni da quando i «pionieri» delle cure palliative in Italia hanno iniziato a sviluppare e applicare questa disciplina. Da allora molto si è fatto, ma il «diritto» alle cure palliative, riconosciuto ad ogni cittadino dalla legge 38/2010 che norma il settore, è ancora in larga parte disatteso. Si stima infatti che, ogni anno, venga assistito da una «rete locale di cure palliative formalmente definita» non più del 20% degli utenti potenziali. Perché? Cosa non funziona ancora? Abbiamo girato questi interrogativi al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.

Signor Ministro, secondo una stima della Federazione italiana cure palliative, ad oggi solo un quinto degli utenti potenziali (pazienti oncologici e non) viene assistito da una «rete locale di cure palliative formalmente definita». A 25 anni dal loro inizio, a che punto è in Italia l’applicazione delle cure palliative?

«Quando si è iniziato a parlare di cure palliative 25 anni fa l’attenzione era del tutto concentrata sull’inguaribilità oncologica. La stessa legge 39/99, che finanziava la costruzione di hospice mettendo a disposizione più di 200 milioni di euro, forniva l’indicazione di dedicare l’assistenza palliativa prevalentemente ai pazienti oncologici. Grazie alla legge 38/2010 è stato fatto un ulteriore passo in avanti definendo ‘paziente eleggibile in cure palliative’ colui che vive la fase terminale per qualsiasi patologia, ponendo finalmente l’attenzione anche sulla terminalità pediatrica. I documenti tecnici, attuativi della legge e sottoscritti in sede di conferenza Stato-Regioni, ribadiscono questo concetto stimolando le Regioni stesse a far crescere la percentuale dei pazienti non oncologici assistiti dalle reti di cure palliative allo stesso livello di quanto si registra per i pazienti oncologici. Anche il recente discorso del Papa relativamente alle cure palliative dedicate al paziente anziano rappresenta un ulteriore stimolo a far sì che questo possa accadere in tempi brevi. Dunque, posso garantire che le reti regionali di cure palliative sono in fase di crescita in tutto il territorio nazionale, così come annualmente viene rappresentato dal Rapporto al Parlamento previsto dall’art. 11 della legge».

La formazione specialistica del personale sanitario rimane ancora un punto «dolente». Quando potrà diventare realtà l’istituzione di una specializzazione universitaria in cure palliative?

«Sempre in attuazione della legge 38 sono stati istituiti, con specifici decreti, cinque master dedicati a medici, infermieri e psicologi impegnati nelle reti di cure palliative e terapia del dolore per il paziente adulto e pediatrico. Lo stesso art. 8 della legge prevedeva di modificare i corsi universitari e specialistici in modo che ogni professionista sanitario fosse formato su queste tematiche. In questo periodo è stato fatto un lavoro puntuale con le società scientifiche di riferimento per elaborare una proposta di modifica del corso universitario di medicina e delle scuole di specializzazione indicate dalla legge, da condividere con il Miur. La possibilità di istituire un corso di specializzazione in cure palliative non rappresenta al momento una priorità per due motivi: il primo scaturisce dallo scarso numero di corsi presenti nei Paesi europei, il secondo in quanto si ritiene che la cultura palliativa sia un patrimonio di tutta la classe medica e non solo di pochi ‘specialisti’».

La legge 38 prevede tra i suoi punti qualificanti l’impegno per l’informazione dei cittadini. Dopo la prima campagna nazionale del 2013, ci sono altre iniziative in cantiere?

«L’informazione dei cittadini rappresenta il vero tallone di Achille nel percorso attuativo della legge. La percentuale di cittadini che sono a conoscenza della legge è pari a circa il 20%. Questo nonostante la campagna del 2011 dedicata alla terapia del dolore, la campagna ‘Non più soli nel dolore’ del 2013, l’istituzione di un numero verde dedicato e l’aggiornamento delle pagine del portale del ministero dedicate alle cure palliative e alla terapia del dolore. Permane purtroppo un timore diffuso nei cittadini nell’affrontare temi quali la terminalità, ma allo stesso tempo si registra un impegno continuo delle associazioni e delle fondazioni, in sinergia con il ministero della Salute, nel portare avanti iniziative volte alla diffusione della conoscenza delle cure palliative in Italia. Comunque, per promuovere di più la conoscenza su questo tema, stiamo lavorando a una nuova campagna informativa».

La legge 38 è sicuramente un ottimo strumento normativo, che tanti altri Paesi europei c’invidiano. Ma la sua attuazione, in tanti aspetti cruciali, spetta alle Regioni, con risultati sul territorio «a macchia di leopardo». Come colmare queste differenze qualitative in un servizio cruciale nell’ambito del fine vita?

«Come rappresentato nel Rapporto al Parlamento 2014 sulla terapia del dolore e le cure palliative, esistono ancora profonde diversità tra le Regioni nel percorso attuativo della legge 38. Lo sviluppo delle cure palliative non è solamente un atto organizzativo ma prevede un profondo cambiamento culturale che, in quanto tale, richiede tempi più lunghi per la sua piena realizzazione. Lo sforzo operato in tal senso dal ministero della Salute si concretizza nel valutare ogni singola Regione all’interno del cosiddetto Comitato Lea (Livelli essenziali di assistenza), attraverso i risultati certificati mediante il sistema d’indicatori e relativi standard dedicati alle cure palliative. Sicuramente anche il citato Rapporto al Parlamento permette di far emergere quante e quali criticità esistono ancora a livello regionale e di proporre interventi correttivi o migliorativi».

Lei ha dichiarato, solo qualche giorno fa, che il fine vita è di esclusiva competenza del Parlamento e richiede un dibattito approfondito. Ma sarà possibile un dibattito non ideologico e pienamente rispettoso di tutti?

«Auspico proprio di sì».