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DEBITO ESTERO: MORO, «AFRICA SUBSAHARIANA ANCORA SCHIAVA»

A livello internazionale le varie iniziative per la cancellazione del debito non sono state sufficienti per realizzare una efficace lotta alla povertà, soprattutto nei Paesi più poveri dell’Africa sub-sahariana. È quanto emerge dal Rapporto sul debito 2006-2008, presentato oggi a Roma da Riccardo Moro, direttore della Fondazione Giustizia e solidarietà della Cei, a conclusione del convegno – in corso da tre giorni a Roma – su “Debito, giustizia e solidarietà”, che chiude anche il percorso avviato nel 2000 dalla Campagna ecclesiale per la remissione del debito estero in Guinea Conakry e Zambia. Dal Rapporto risulta che tutti i Paesi in via di sviluppo avevano nel 1996, 2.023 miliardi di dollari di esposizione debitoria, che nel 2007 sono diventati 3.357 miliardi di dollari. “Ma l’aumento non è per di per sé negativo – ha spiegato Moro – perché i dati comprendono anche Paesi come Cina, India e Russia e il fatto che il debito aumenti potrebbe anche significare che questi Paesi sono diventati più credibili sul piano internazionale. Quindi possono usufruire di nuovi indebitamenti a condizioni sostenibili, per finanziare investimenti positivi per il miglioramento dei Paesi”. Ma il dato che invece preoccupa Moro è quello relativo all’Africa sub-sahariana: nel 1996 il debito estero totale era pari a 230 miliardi di dollari, con 15 miliardi di servizio del debito pagato (tasse più interessi). Nel 2007, pur essendo diminuito il debito a 193 miliardi di dollari, il servizio del debito è salito a 17 miliardi. Moro ha anche ricordato che il numero dei Paesi altamente indebitati coinvolti nell’iniziativa Hipc (33) è stato “troppo basso”: di questi 23 hanno terminato il percorso di cancellazione e 10 hanno raggiunto il “decision point”, ossia la promessa che i creditori cancelleranno il debito se seguono determinate condizioni. “Sebbene l’iniziativa internazionale sia esistita e sia iniziato un dialogo reale tra società civile e decisori pubblici – ha commentato Moro -, per quanto si è fatto è sempre troppo poco in termini di lotta alla povertà”. Un appello particolare Moro l’ha rivolto all’Italia: “Vorremmo che il nostro Paese sia più autorevole ed esigente nelle sedi internazionali – ha auspicato -, purtroppo questo contraddice con la riduzione degli aiuti allo sviluppo allo 0,15% del Pil, che è il minimo storico, ben lontano dall’1% che il governo aveva promesso durante l’ultimo vertice della Fao. Comprendiamo le esigenze di bilancio ma questo nega credibilità ai percorsi politici ed è per noi estremamente preoccupante”. Moro ha invitato inoltre a mettere in piedi iniziative di monitoraggio delle operazioni di cancellazione del debito per “avere la certezza che i soldi vengano usati per finanziare lo sviluppo e non finiscano invece nelle mani di governanti corrotti”. L’auspicio è che ogni Paese giunga ad avere “una capacità di autofinanziamento”. Al termine dell’esperienza di sette anni di lavoro con la Fondazione, Moro ha messo in evidenza i frutti positivi dell’esperienza, nata dall’idea di “giustizia come costruzione di relazioni”. Non ne ha nascosto le fatiche, tra cui la difficoltà di “trovare un equilibrio giusto tra laicato e gerarchie, equilibrio che va costruito giorno dopo giorno”.Sir