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DROGA; MARIO POLLO: SOTTOVALUTAZIONE DEL PERICOLO E MANCA UN INTERVENTO EDUCATIVO

“L’allarme sociale nei confronti dell’utilizzo delle droghe sta calando notevolmente. Sembra che con cannabis e cocaina si possa convivere, a patto di non superare certi limiti”. Mario Pollo, pedagogista sociale, docente alla Lumsa di Roma, valuta con preoccupazione i dati che emergono dal rapporto Onu 2006 sulle tossicodipendenze, nonché le dichiarazioni del ministro della Salute Livia Turco. “Non punire chi detiene cannabis, fino a un certo quantitativo, tende ad aumentare questa sottovalutazione del pericolo. Certo, il provvedimento può avere un lato positivo se alla non punizione corrispondesse un intervento educativo. Ma così non è”. Il docente, fautore dello slogan “Educare, non punire”, lamenta come per ora si cerchi di realizzarne solo la seconda parte, senza “investire su chi potrebbe offrire ai giovani percorsi che facciano scoprire differenti visioni della vita”. “Oggi – spiega Pollo – diverse persone ritengono necessario ricorrere a sostanze esterne per sostenere certi stili di vita, sia a livello professionale, sia nello svago. “In questo contesto – conclude – molti giovani tendono ad equiparare la tossicodipendenza solo con il buco in vena, ma così non è. È un dato acquisito, ad esempio, che i cannabinoidi fanno esplodere psicosi latenti e, alla lunga, hanno effetti negativi sulle prestazioni. Ad esempio, proprio tra i giovani molte storie di dispersione scolastica nascono dall’uso di cannabis e simili”.

“Alcuni anni fa a Torino conobbi un ragazzo che ‘sballava’ spesso in discoteca, facendo abbondante uso di droghe sintetiche – prosegue Pollo –. Poi cominciò a fare volontariato con bambini provenienti da Chernobyl, e smise di drogarsi, avendo trovato un altro modo per vivere ‘pienamente’. Questo caso dimostra che bisogna offrire ai giovani un’opportunità per far loro scoprire come si possa vivere bene senza fare ricorso alle sostanze stupefacenti, trovando al proprio interno gli stimoli per avere una vita sociale piacevole”. Dunque, no alle manette, ma neanche a “camere del buco” e a una libertà incondizionata: “Nessuna società può esistere senza darsi dei limiti. Serve un confine tra una vita centrata sulla coscienza, l’autonomia della persona e relazioni vere e una in cui la coscienza viene messa da parte dalle sostanze, e sono queste a dettare il ritmo alla vita sociale. Lo Stato non può essere indifferente di fronte a uno o all’altro modo di vivere”.

Il pedagogista concorda con chi chiede che la sanzione non sia il carcere, “ma devono esserci forme alternative, come attività di utilità sociale, che facciano maturare l’individuo. Le ‘camere del buco’, al contrario –conclude – significano incorporare e legittimare un modello di vita in cui la coscienza e la libertà della persona non sono al centro”. Sir