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Ecco RoboCasa, nato a Tokio con «genitori» pisani

di Andrea BernardiniNon sa ancora leggere, ma risponde perfettamente agli ordini, sa parlare, respira, odora, afferra oggetti, ha una discreta gestualità che esprime con le mani, il corpo ed il volto ed è persino capace di rossori giovanili: stiamo parlando di «RoboCasa», il robot umanoide presentato in questi giorni a Tokio e frutto della collaborazione tra l’Università Waseda della capitale nipponica e la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Il laboratorio pisano, ha realizzato, in particolare, le mani ed il sistema vestibolare, quello cioè che permette al robot di avere la percezione del movimento della testa.«La collaborazione tra i due istituti – commenta Maria Chiara Carrozza, professore associato di robotica biomedica e biomecatronica al Sant’Anna – prevede lo scambio di conoscenze nello studio della robotica. Ed anche lo scambio di ricercatori: una ricercatrice della scuola, Cecilia Laschi, è stata alla Waseda per un anno per creare i presupposti scientifici della collaborazione, e al momento ci sono due ingegneri della Scuola a Tokyo che stanno lavorando alla costruzione di robot umanoide in cui le mani e il sistema vestibolare».

Quali funzioni è in grado di espletare questo robot?

«Il robot è progettato per poter interagire e cooperare con gli umani: RoboCasa può afferrare oggetti e mostrare emozioni con espressioni facciali e gesti del corpo e soprattutto delle mani. Il presupposto di questi esperimenti è che le persone accettino più facilmente i robot che mostrano reazioni e comportamenti naturali…».

Un robot capace di emozionarsi… è una novità…

«Non è il primo esemplare che risponde a questi requisiti, anche se devo dire che solo tre o quattro laboratori nel mondo si occupano di robot capaci di emozionarsi…».

Perché?

«Perché i sistemi da progettare sono molto complessi. Il robot di RoboCasa ha un approccio originale alle emozioni, che esprime in più modi: in questo senso è originale».

Su quali elementi si fonda il vostro studio per dare emozioni ed espressività ai robot?

«Sul motto socratico “conosci te stesso”. È infatti necessario capire come noi esprimiamo le emozioni per poterle riprodurre successivamente nei robot. Un occhio particolare, però, va prestato alle profonde differenze culturali esistenti, per esempio fra un occidentale e un giapponese».

Ovvero?

«Beh, le emozioni fondamentali sono le stesse, ma la gestualità cambia. Convinti di questo, stiamo cercando di reclutare attori italiani e giapponesi per studiarne le differenze. Dal punto di vista tecnico progettuale infine la questione si traduce nell’aggiungere abilità motorie al robot, sia alle mani che al viso».

Il passo successivo, è dare anche un’etica al robot…

«Questo è un punto cruciale. Un’etica del comportamento deve essere infatti definita durante la progettazione e non a posteriori. Bisogna dare al robot delle regole affinché faccia delle cose e non ne faccia altre».

Insomma, un codice di comportamento.

«In questo caso valgono le cosiddette tre leggi di Asimov. La prima: un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. La seconda: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla prima legge. Infine, la terza: un robot deve proteggere la propria esistenza, purchè questa autodifesa non contrasti con la prima e la seconda legge».

E se si dovesse presentare la scelta di una religione?

«Non credo si possa arrivare a questo: bisogna sempre tener presente che l’intelligenza di un robot è veramente qualcosa di molto elementare, niente di paragonabile a quella umana. Si può parlare, come dicevo prima, di regole di comportamento che siamo noi stessi a stabilire, anche in relazione alle varie differenze culturali. Per esempio in Giappone è considerato molto scortese guardare dritto negli occhi o scrutare qualcuno e quindi un robot che deve interagire con persone di quella cultura dovrà comportarsi di conseguenza».

Arriveremo un giorno ad un robot capace di discernere e di usar fantasia come l’uomo?

«La robotica umanoide avanzata prevede che le macchine possano apprendere. Un robot potrà quindi imparare a conoscere l’ambiente e interagire con esso. Ma bisogna precisare che l’apprendimento per un robot è un processo estremamente elementare e molto distante dalla nostra concezione del termine. Un robot capace di apprendere saprà, ad esempio, manipolare meglio un oggetto o non cadere su un terreno accidentato. Mi spiego: quando il robot vede per la prima volta un oggetto potrà registrarne le proprietà geometriche o la forza che serve per afferrarlo cosicché la volta successiva saprà già cosa fare».

La scheda• Il progettoIl progetto è frutto della collaborazione tra l’Università Waseda di Tokio e la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Il laboratorio pisano, ha realizzato, in particolare, le mani ed il sistema vestibolare, quello cioè che permette al robot di avere la percezione del movimento della testa. • il robotIl robot è progettato per poter interagire e cooperare con gli umani: RoboCasa può afferrare oggetti e mostrare emozioni con espressioni facciali e gesti del corpo e soprattutto delle mani. • le regoleLa prima: un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. La seconda: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla prima legge. La terza: un robot deve proteggere la propria esistenza, purchè questa autodifesa non contrasti con la prima e la seconda legge