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Economia, Becchetti: “La cittadinanza attiva è la vera rivoluzione”

Un saggio che, partendo dalle patologie del sistema economico globalizzato e dalle riflessioni su quale possa essere l’orizzonte di cura e di benvivere verso cui tendere, arriva ai suggerimenti per un reale cambiamento verso la sostenibilità sociale, economica e ambientale.

Professore, nel sottotitolo parla di come riuscire a sopravvivere alle guerre. Quando e se si concluderà l’invasione russa dell’Ucraina, noi come ne usciremo?

«Intanto non possiamo prevedere quando finirà purtroppo. E finché dura l’inflazione che ha rialzato la testa non ci abbandonerà. Questo vuol dire erosione del potere d’acquisto delle famiglie e difficoltà sui mercati finanziari per la Bce nel gestire simultaneamente i debiti pubblici e la lotta all’inflazione. Si è visto qualche giorno fa quando una dichiarazione della Lagarde ha fatto aumentare gli spread. La Lagarde poi è corsa ai ripari dicendo che la Bce interverrà con nuove versioni dello scudo. Dunque ne usciremo tanto meno bene quanto più la guerra durerà soprattutto per la questione inflazione che nasce solo e soltanto dall’impennata dei prezzi dell’energia. L’inflazione è arrivata oltre il 6 per cento ma senza l’energia è a livelli fisiologici».

Quello che non è riuscita a fare la pandemia di Covid-19 riuscirà a farlo la guerra in Ucraina?

«Hanno avuto due effetti completamente diversi. La pandemia ha fatto crollare la crescita economica per via del lockdown. Non dimentichiamo che nell’anno più duro quando eravamo tutti fermi a casa è stato grazie all’intervento del governo coi ristori e gli aiuti che siamo stati tenuti in piedi. La fine della pandemia (almeno nelle forme più perniciose) ha prodotto una ripartenza economica formidabile che neppure la guerra è riuscita completamente a fermare. Se si guarda intorno scoprirà che le nostre stazioni e aeroporti sono affollatissimi e così le città d’arte. È qualcosa tipo legge di Archimede che avevamo previsto già nei mesi più duri. Quando una nostra libertà viene compressa da un limite, appena il limite viene meno c’è una vera e propria esplosione verso l’alto, dettata in questo caso dalla voglia di tornare a vivere e di recuperare il tempo perduto. Anche quest’anno infatti si prevede nonostante la guerra una crescita sostenuta. Il problema come dicevo per l’economia del paese è soprattutto il costo dell’energia e dell’inflazione».

Paradossalmente crisi economica e guerra non sembrano abbandonarci. Tutto ciò ha effetti anche devastanti sull’ambiente. Serve un’economia di pace?

«Dobbiamo imparare le lezioni della pandemia e della guerra se vogliamo dare forza e continuità alla democrazia e alla pace. È la difficoltà di fermare Putin in patria, la mancanza di pesi e contrappesi che possano bloccare la sua follia ci fa capire chiaramente quanto è importante la democrazia. La pandemia ci ha insegnato che il lavoro a distanza può essere una grandissima risorsa per conciliare vita di lavoro e vita di relazioni, sostenibilità ambientale e anche per aumentare la produttività risparmiando tempo e denaro negli spostamenti. Le aziende private si stanno riorganizzando offrendo l’ibrido, ovvero la possibilità ai loro dipendenti di un mix tra lavoro in presenza e lavoro a distanza. La pandemia ci ha anche insegnato che è possibile in Europa superare la contrapposizione tra cicale e formiche, tra falchi e colombe per sfruttare la forza delle sinergie e fare qualcosa di impensabile prima come il Pnrr, un piano Marshall ancora più grande che paradossalmente ci ha messo a disposizione una quantità enorme di risorse proprio nel momento più difficile della storia del nostro secondo dopoguerra. La guerra ci sta insegnando quanto è importante l’indipendenza energetica, vero e proprio tallone d’Achille dell’Unione europea e dell’Italia. Se oggi non avessimo bisogno per circa il 19% del nostro approvvigionamento energetico del gas russo (e se non avessimo bisogno di fonti fossili) ci saremmo salvati dall’impennata dei prezzi. Questo ci deve spingere ad accelerare il percorso della transizione ecologica verso le rinnovabili che non è più solo importante per questioni di salute, clima e prezzo ma anche per questioni di volatilità di prezzo e geostrategiche».

Come farlo?

«Siamo l’Arabia Saudita del sole e del vento e dipendiamo da altri paesi per l’energia. Ovviamente questo è il risultato anche dei vincoli tecnologici che abbiamo avuto sino a ora e che ci hanno tolto gradi di libertà. Ora questi vincoli tecnologici stanno però man mano venendo meno. Per questo dobbiamo accelerare la transizione come propone di fare anche l’Unione europea con RePowerEU alzando il target di energia prodotta da rinnovabili dopo lo scoppio della guerra».

I pilastri della nuova economia secondo lei dovrebbero essere quattro: a Stato e mercato si aggiungono imprese responsabili e cittadinanza attiva. Possono coesistere? E soprattutto come?

«Le dirò di più. Se restiamo a un’idea di passività dove i problemi devono risolverli solo il mercato e Draghi non ce la possiamo fare. Perché la linfa vitale della democrazia è la cittadinanza attiva ed è quello che fa sì che i cittadini si sentano protagonisti e partecipi ed evita che si trasformino in rancorosi leoni da tastiera. La cittadinanza attiva è l’unica speranza che abbiamo per fermare il populismo. Se non vogliamo finire tutti populisti dobbiamo essere popolari. E dare gambe a percorsi di cittadinanza attiva come il voto col portafoglio del consumo e risparmio responsabile, lo sviluppo delle comunità energetiche che sono il voto col portafoglio nel settore dell’energia, le piste di co-programmazione e co-progettazione dove amministrazioni ed enti del terzo settore si mettono assieme per progettare i nuovi servizi di welfare».

A proposito del «voto con il portafoglio»: lei indica anche gli ostacoli da superare. Tra questi, elemento non di poco conto è il differenziale di prezzo tra prodotti sostenibili e prodotti convenzionali. Come fare a superarlo?

«Se i cittadini fossero attenti alle novità scoprirebbero che il problema è in parte superato. Con la rivoluzione della Marca del consumatore dove i cittadini si costituiscono in associazione e diventano prosumer superando lo steccato che separa i consumatori e i produttori, i prodotti si progettano assieme e i prezzi sono in linea con quelli dei corrispondenti prodotti tradizionali. In epoca di dinamiche inflazionistiche la filiera della Marca del consumatore dove le scelte sono concordate è meno sensibile a dinamiche inflazionistiche e può addirittura superare i prodotti tradizionali in materia di convenienza di prezzo. Con l’uso di piattaforme digitali di consumo responsabile come quella di Gioosto il voto col portafoglio diventa più conveniente anche in termini di costi e tempi di spostamenti. Si ordina da casa e arriva tutto. Infine il voto col portafoglio nell’energia delle comunità energetiche consente ai cittadini di risparmiare qualcosa in bolletta. Non è più sempre vero che votare col portafoglio costa di più, in alcuni casi inizia anche a costare meno».

Tra le sue proposte per curare la nostra economia che è malata c’è quella di quella di tassare i mali e non i beni. È una strada percorribile?

«È quello che ci chiede di fare l’Ocse esortandoci a spostare la tassazione dal lavoro all’inquinamento. È la tendenza in atto dove ci proponiamo di ridurre il cuneo fiscale ma di estendere il sistema del pagamento dei diritti a inquinare i settori sinora esenti. Manca però un tassello fondamentale di cui parlo nel libro per fare la quadra. Bisogna evitare che l’Europa prima della classe su ambiente e diritti soffra la concorrenza sottocosto di merci di paesi che non rispettano le nostre regole. Per questo i meccanismi di aggiustamento alla frontiera (in primis il Carbon Border Adjustment di cui si parla in questi giorni) sono fondamentali per orientare la gara del commercio internazionale nella direzione giusta. Se sei un produttore da paesi terzi e vuoi vendere in Europa non puoi farlo se non ti poni sullo stesso piano delle nostre imprese e paghi in modo decente il lavoro e i diritti ad inquinare».

Nel libro scrive: «La vita è uno sport di squadra e possiamo essere Messi o Cristiano Ronaldo, ma se scendiamo in campo da soli abbiamo già perso la partita». Saremo capaci di non essere esclusivamente solisti ma a giocare di squadra facendo ognuno la propria parte?

«Peggio per chi non capisce questa fondamentale legge della vita. Purtroppo la società di oggi non ci aiuta perché centra tutta la formazione sul know how, sull’apprendimento pur importante delle metodologie e sull’arricchimento della cassetta degli attrezzi ma non insegna nulla di “know how with” o di arte delle relazioni. Nel libro proviamo a raccontare alcuni aspetti fondamentali di quest’arte emersi dagli studi di economia comportamentale per aiutare il lettore ad imparare la quinta operazione, quella che non ci hanno insegnato alle elementari pur essendo l’operazione più importante. Si tratta della cooperazione, l’operazione che dà il risultato più alto perché 1 con 1 quando si è capaci di cooperare fa sempre più di due».