Italia

Elezioni, consultazioni e nuovo governo. Dieci parole chiare per capire cosa sta accadendo

Affari correnti. Sono quelli al cui «disbrigo» deve provvedere il governo dimissionario dopo l’elezione del nuovo Parlamento. Il governo, infatti, resta comunque in carica fino alla nascita del nuovo, per garantire la continuità amministrativa, provvedere agli atti strettamente necessari e tutelare gli interessi nazionali in ogni contesto interno ed esterno. Non esiste una definizione univoca dei limiti del governo dimissionario, anche perché la prassi non può non tener conto delle situazioni concrete che si possono verificare, per esempio a livello internazionale. Si può ben dire, tuttavia, che esso debba attenersi a criteri di correttezza istituzionale nei confronti delle nuove Camere che dovranno esprimere la fiducia al nuovo esecutivo.

Commissioni speciali. Sono gli organismi parlamentari che a inizio legislatura, in attesa della formazione delle commissioni permanenti dopo la nascita del nuovo governo, provvedono a esaminare gli atti urgenti del governo in carica. La loro composizione è proporzionale alle rappresentanze dei gruppi nei due rami del Parlamento. Alla Camera la Commissione è composta da 40 membri, al Senato da 27.

Consultazioni. Sono gli incontri che il Presidente della Repubblica effettua in vista della formazione del nuovo governo. Si tratta di una prassi ampiamente consolidata che trova fondamento negli articoli 92 e 94 della Costituzione. Solitamente il Capo dello Stato consulta i presidenti dei due rami del Parlamento, i suoi predecessori al Quirinale e le delegazioni dei gruppi parlamentari presenti in Parlamento. Non esistendo una norma scritta, non c’è neanche un elenco tassativo di questo tipo di incontri, la cui complessità e durata è funzionale alla formazione del nuovo governo.

Fiducia. L’articolo 94 della Costituzione stabilisce che «il governo deve avere la fiducia delle due Camere» e che «ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale». Il governo deve presentarsi in Parlamento «entro dieci giorni dalla sua formazione» e, come si ricava molto chiaramente da queste norme, la sua natura è sempre parlamentare, quali che siano i termini usati nel dibattito pubblico.

Governo del Presidente. Secondo l’articolo 92 della Costituzione, «il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri». In questo senso, e fermo restando il fondamentale principio riportato nel punto precedente, si può dire in modo discorsivo che ogni governo è anche un governo del Presidente. Ma nelle cronache politiche con questo termine ci si riferisce a quei governi che sono nati in virtù di un impulso particolarmente intenso e diretto del Capo dello Stato e sul suo sostegno fondamentalmente si reggono.

Governo di minoranza. È una formula con cui si definisce un governo che nasce e sta in piedi pur non potendo contare su una stabile maggioranza assoluta in Parlamento, ma beneficiando dell’astensione o dell’appoggio su atti specifici di altre forze politiche. La storia della Repubblica annota sei precedenti in questo senso, tra cui il terzo governo Andreotti (1976-1978) per il quale lo stesso presidente del consiglio di allora coniò l’espressione «non sfiducia».

Governo tecnico. Il termine viene utilizzato per indicare un esecutivo costituito da personalità di riconosciuta competenza e non immediatamente o principalmente riconducibili ai partiti politici, che tuttavia devono sostenere il governo in Parlamento.

Incarico esplorativo. Nel corso delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, in caso di impasse il Capo dello Stato può incaricare una personalità autorevole, come il presidente di uno dei due rami del Parlamento, di aiutarlo a «esplorare» e favorire le condizioni per la creazione di una maggioranza. Chi riceve l’incarico esplorativo non è però il candidato a guidare il futuro governo, ma è fondamentalmente una sorta di ausiliare del Presidente.

Incarico pieno. È semplicemente l’incarico di formare il nuovo governo, a cui viene aggiunto l’aggettivo «pieno» per distinguerlo dalle altre forme di incarico parziale. Il presidente del Consiglio incaricato – individuato dal Capo dello Stato come colui che, in base alle consultazioni, risulta in grado di aggregare una maggioranza in Parlamento – solitamente accetta con riserva. Se l’incaricato, fatte le sue verifiche, scioglie la riserva in positivo, torna al Quirinale e si provvede alla firma di tre tipi di decreti del presidente della Repubblica: quello di nomina del presidente del Consiglio (controfirmato dallo stesso presidente del Consiglio nominato, per attestarne l’accettazione); quello di nomina dei singoli ministri (controfirmato dal presidente del Consiglio); quello di accettazione delle dimissioni del governo precedente (controfirmato anch’esso dal presidente del Consiglio nominato) che solo in questo momento esce definitivamente di scena. Il nuovo presidente del Consiglio e i nuovi ministri prima di assumere le rispettive funzioni devono prestare giuramento.

Pre-incarico. La formula indica una soluzione affine al mandato esplorativo (vedi), ma con una differenza sostanziale: chi riceve il pre-incarico è anche colui che sembra in prima battuta nelle migliori condizioni per costruire una maggioranza. Soltanto se la sua esplorazione avrà esito positivo, però, riceverà l’incarico pieno (vedi) per formare il nuovo governo.