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Europa, ecco da dove ripartire

di Gianni Borsa La conclusione del vertice di Bruxelles? “Una delusione”. Alberto Quadrio Curzio , docente di economia politica e preside della facoltà di scienze politiche all’Università Cattolica di Milano, è categorico nel suo giudizio circa il mancato accordo sul Trattato costituzionale, obiettivo principale del fallito summit. “Dopo tanto lavoro svolto e malgrado l’esigenza di migliorare in varie parti la proposta emersa dalla Convenzione, c’era da sperare che la Costituzione fosse varata: quel testo metteva ordine nei precedenti trattati e inoltre individuava la personalità giuridica dell’Unione. Non si può inoltre dimenticare che faceva passi avanti significativi in politica estera, con l’istituzione della figura del ministro ad hoc, che sarebbe stato anche vicepresidente della Commissione”. Secondo il docente della Cattolica la bozza firmata da Giscard d’Estaing, “mediante l’istituzione del presidente del Consiglio europeo in carica per due anni e mezzo e incompatibile con altre cariche, conferiva anche un carattere più comunitario che intergovernativo allo stesso Consiglio”.

Rimaneva però aperta la questione del riferimento alle radici cristiane…

“Sì, questo è vero. E io confermo che resta importante considerare questo tema quando riprenderanno le trattative. Il richiamo all’eredità giudaico-cristiana, su cui hanno insistito e convenuto cattolici e non, è una esigenza che dà ragione di una parte essenziale della storia e della cultura dell’Europa e non sarebbe affatto in contrasto con la laicità delle istituzioni comunitarie”.

Torniamo alle trattative. Professore, secondo lei perché sono fallite? E quando pensa che potranno riprendere?

“Ci vorrà anzitutto del tempo per capire le cause del fallimento del summit e da quelle occorrerà ripartire. Ci possono essere varie interpretazioni sui problemi emersi nella capitale belga. La prima, persino banale, punta il dito su Spagna e Polonia, che non hanno voluto cedere sulla questione del voto ponderato. C’è il rischio di una loro marginalizzazione, anche perché qualcuno potrebbe essere indotto a far presente (benché non sia un atteggiamento condivisibile) che, per esempio, la Polonia ha un Pil inferiore a quello della Lombardia e pari a un decimo di quello tedesco. La seconda riguarda la possibilità che dentro la comunità esista un circolo di Stati che afferiscono, di fatto, a due unioni: all’Ue e agli Usa. Penso a Inghilterra, Spagna, Italia e Polonia… Il che non significa che gli altri Paesi europei non siano atlantisti, ma lo sono mantenendo una giusta distinzione di ruoli tra Europa e America. Naturalmente questa è una posizione che crea difficoltà ulteriori nell’Ue”.

E la terza interpretazione qual è?

“Essa indica in Francia e Germania l’intenzione, predefinita anche rispetto a Bruxelles, di procedere sulla strada delle cooperazioni rafforzate, con un nucleo forte di Stati che marcia verso una unità più compiuta, trascinando con sé parecchi Paesi, vecchi e nuovi aderenti”.

Quale alternativa preferisce lei?

“Nessuna delle tre rappresenta l’ideale. Però al punto in cui siamo, spero che si proceda mediante le cooperazioni rafforzate, anche se temo che in tal caso l’Italia, con la linea attualmente adottata, ne resterebbe esclusa, in controtendenza rispetto a cinquant’anni di storia e di tradizione europeista”.

Arriveremo all’allargamento dell’Ue a 25 Paesi e alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo senza la Carta costituzionale. I cittadini cosa dovrebbero pensare?

“I cittadini saranno un po’ sbalestrati, se così si può dire. Sono stati commessi degli errori. Tra l’altro comincio a credere che forse sarebbe stato meglio stendere una Carta con una Unione a 15 Stati, da estendere poi a nuovi ‘soci’, che avrebbero conosciuto da subito le condizioni per entrare nell’Ue, la sua identità, i suoi obiettivi”.

Il premier inglese ha affermato, lasciando la sede del vertice brussellese, che ogni prospettiva federalista sull’Unione è ormai fuori tempo massimo. Lei cosa ne pensa?

“Io sono convinto che l’eurodemocrazia rappresenti una tipologia istituzionale diversa da tutte le altre, tanto è vero che il triangolo Consiglio-Commissione-Parlamento non si riscontra altrove. Una delle migliori definizioni sulla natura politica dell’Ue è stata più volte ripetuta dal Presidente Ciampi: è una unione di Popoli e di Stati. Ecco, occorre mantenere questa originalità, rafforzando le tre istituzioni comuni e accentuando l’europeismo, che è un altro ingrediente essenziale nell’Unione, espressione di una cultura e di modelli socio-economici condivisi. E’ da qui che dobbiamo ripartire”.

L’Europa dei passetti inciampa nella Carta (Pier Antonio Graziani