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Giornata vittime mafie: mons. Oliva (Locri), «non vogliamo più morti e sangue innocente»

«Come Chiese di Calabria abbiamo accolto l’invito di papa Francesco ad essere fermento di una società animata dal Vangelo che s’impegna quotidianamente nella lotta alla ‘ndrangheta e nella formazione ai valori della legalità, della solidarietà e della partecipazione civile». Lo ha detto monsignor Francesco Oliva, vescovo di Locri-Gerace, nel corso della cerimonia tenutasi ieri allo stadio locrese in onore delle vittime della mafie, alla quale ha partecipato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Durante la cerimonia sono stati letti i nomi di 950 vittime.

«Le Chiese di Calabria – ha detto mons. Oliva – sono vicine a Lei, signor Presidente, e alla sua personale sofferenza per la perdita di suo fratello Piersanti, vittima anch’egli dell’arroganza criminale». Dal vescovo locrese anche una richiesta: «Questa terra, presidente, guarda a Lei con fiducia. Vede in Lei la presenza dello Stato e delle istituzioni, dalle quali si attende sempre maggiore attenzione. Con Lei oggi diciamo no alle mafie e a tutte le forme di associazione criminale». Il monito di mons. Oliva è chiaro: «Diciamo no alla ‘ndrangheta, che, insieme alla corruzione, rappresenta una delle cause più gravi della crisi sociale del nostro tempo. Siamo certi che le mafie possono essere sconfitte. Dipende dall’impegno di tutti e di ciascuno». Il presule evidenzia come «questa terra guarda avanti e vuole lasciare alle spalle un passato triste d’ingiustizie, macchiato dal sangue versato da faide che hanno seminato morte e disperazione. Non vogliamo più morti e sangue innocente! La nostra terra nutre il sogno di divenire ‘terra di speranza e luogo di bellezza’ e sa di doversi impegnare nel purificare se stessa da ogni deriva mafiosa».

Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, rivolgendosi a familiari delle vittime innocenti di mafie ha sottolineato come «La lotta alle mafie riguarda tutti. Nessuno può dire: non mi interessa. Nessuno può pensare di chiamarsene fuori». «Lottare contro la mafia – ha proseguito Mattarella – non è soltanto una stringente e, certo, doverosa esigenza morale e civile. È anche, quindi, una necessità per tutti: lo è, prima ancora che per la propria sicurezza, per la propria dignità e per la propria effettiva libertà. Si tratta di una necessità fondamentale per chi tiene, insieme alla libertà, alla serenità personale e familiare; per chi vuole misurarsi con le proprie forze e le proprie capacità, senza padroni né padrini. Una necessità per la società, che vuole essere libera, democratica, ordinata, solidale. Una necessità per lo Stato, che deve tutelare i diritti dei suoi cittadini e deve veder rispettata ovunque, senza zone franche, legalità e giustizia. Le mafie sono la negazione dei diritti». Il presidente ha ricordato i «passi avanti» compiuti «nella lotta alle mafie» e ha invitato a «non fermarsi» perché «la mafia è ancora forte, è ancora presente». Da qui l’invito a tutti a impegnarsi nella lotta alle mafie. Poi un pensiero ai familiari delle vittime. «Voi – ha detto Mattarella, a sua volta familiare di vittima di mafia – portate il carico maggiore della violenza mafiosa». E ancora: «Tutta l’Italia vi deve solidarietà per il vostro dolore, rispetto per la vostra dignità, riconoscenza per la vostra compostezza, sostegno per la vostra richiesta di verità e giustizia. Partecipando, oggi qui a Locri o altrove, in altre manifestazioni per la legalità e contro la mafia, date una testimonianza morale e civile di come la violenza, la sofferenza, la morte e la paura non possono piegare il desiderio di giustizia e di riscatto». Per questo «desidero dirvi che le vostre ferite sono ferite inferte al corpo di tutta la nostra società, di tutta l’Italia. E che il ricordo dei vostri morti, martiri della mafia, rappresenta la base sulla quale costruiamo, giorno dopo giorno, una società più giusta, solidale, integra, pacifica. Vi ringrazio per esser qui, vi ringrazio per il vostro coraggio».

«Ma che vita è la vostra?!». Così don Luigi Ciotti, presidente di Libera, si è rivolto «agli uomini e alle donne della ‘ndrangheta, delle mafie», durante l’incontro ieri a Locri. «Papa Francesco – ha ricordato Ciotti -, incontrando i famigliari delle vittime, vi ha chiesto in ginocchio di convertirvi, di abbandonare il male. Non oso mettermi alla sua altezza, ma una cosa sento di potervela chiedere. Tanti famigliari hanno perso i loro cari e non hanno avuto nemmeno la possibilità di avere il loro corpo, di piangere sulla loro tomba. Uomini e donne della ‘ndrangheta, delle mafie: diteci almeno dove li avete sepolti! Vi chiedo – e vi auguro – di avere questo scrupolo, questo sussulto di coscienza. Può essere l’inizio di qualcosa di diverso, di un percorso di vita e non più di morte».

«Mettiamo da parte le divisioni, i protagonismi, mettiamoci di più in gioco per il bene comune, per la libertà e la dignità di questo Paese. Lo dico con convinzione». Questo l’appello lanciato ieri a Locri da don Luigi Ciotti. «Ci sono stati progressi – ha detto don Ciotti – da riconoscere e valorizzare – ma anche ritardi, omissioni, promesse non mantenute. Misure urgenti sono state rinviate, o approvate solo dopo compromessi al ribasso. Insieme alle mafie, il male principale del nostro Paese resta la corruzione. E corruzione significa questo: che tra criminalità organizzata, criminalità politica e criminalità economica è sempre più difficile distinguere. Ce lo dicono anche quelle inchieste dove i magistrati faticano a individuare la fattispecie del reato. Hanno in mano strumenti giuridici istituiti prima che quest’intreccio criminale emergesse con forza. Dobbiamo rompere questo intreccio!». Ciotti ha ricordato che «le mafie non uccidono solo con la violenza: vittime sono i morti, ma vittime sono anche i morti vivi, le persone a cui le mafie tolgono la speranza e la dignità. Il lavoro, la scuola, la cultura, i percorsi educativi, i servizi sociali restano il primo antidoto alla peste mafiosa. La nostra Costituzione è il primo dei testi antimafia!». Ecco allora, ha detto don Ciotti rivolgendosi ai familiari delle vittime, che «la memoria non può essere un esercizio retorico. I vostri cari non sono morti per una targa, una corona di fiori, un discorso celebrativo. Sono morti per la nostra libertà, per un ideale di giustizia e democrazia che abbiamo il compito di realizzare».