Italia

Gli inquilini del Quirinale dalla cronaca alla storia

Questa volta l’elezione del presidente della Repubblica presenta un’incognita in più, all’eletto spetterà dare l’incarico per la formazione del governo uscito dalle urne della recente consultazione elettorale o, nella peggiore delle ipotesi, sciogliere le Camere. Cose che il presidente uscente Giorgio Napolitano non ha potuto fare perché negli ultimi sei mesi del mandato il presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere, da qui il termine di «semestre bianco». Una limitazione introdotta dai costituenti per evitare colpi di mano da parte del presidente della Repubblica, che sciogliendo le Camere potrebbe dilazionare l’elezione del proprio successore o addirittura sbarazzarsi di un parlamento sfavorevole alla sua rielezione.

Impossibile predire l’esito della elezione di oggi. Dal 1946 in poi essa ha sempre riservato grosse sorprese. L’unica cosa probabile è che anche quest’anno, come del resto è successo in passato, assisteremo a una battaglia senza esclusione di colpi. La conquista del Quirinale, ha suscitato in passato molte ambizioni, alimentato aspre rivalità e provocato forti contrasti politici.

Le prime tornate elettorali riserbano poche sorprese, a parte qualche scaramuccia. Enrico De Nicola è il primo presidente della Repubblica italiana, eletto dall’Assemblea costituente capo provvisorio dello Stato il 22 giugno 1946, «provvisorio» perché ancora manca la Costituzione che definirà l’assetto istituzionale. Due anni dopo è eletto al quarto scrutinio Luigi Einaudi con 518 voti.

Le cose si complicano il 29 aprile 1955. Giovanni Gronchi prevale al quarto scrutinio con una maggioranza eterogenea composta da Dc, Pci, Psi, Msi e una parte dei monarchici. Gli succederà Antonio Segni, eletto il 6 maggio 1962 con 443 voti in cui sono decisivi Msi e i monarchici del Pdium. Lascerà l’incarico il 7 agosto 1964 a seguito di una grave malattia.

Ci vogliono 21 scrutini per eleggere, il 28 dicembre 1964, il socialdemocratico Giuseppe Saragat che ottiene i 646 voti di Dc, Pci, Psi, Psdi e Pri. Nel tormentato percorso sono «bruciate» le candidature dei democristiani Giovanni Leone e Amintore Fanfani.

I partiti fanno muro contro muro per l’elezione di Giovanni Leone il 24 dicembre 1971 che al ventitreesimo scrutinio ottiene 518 voti (Dc, Pli, Psdi e Pri); al candidato delle sinistre Pietro Nenni vanno 408 suffragi. A causa dei franchi tiratori sono determinanti i voti del Msi. Lascerà il 15 giugno 1978 a seguito di un’agguerrita campagna stampa. È stato il primo a sciogliere anticipatamente le Camere nel 1972.

L’8 luglio 1978 Sandro Pertini riceve 832 voti al sedicesimo scrutinio, con il gradimento di Dc, Pci, Psi e Pri. Le schede bianche sono 127, 6 le nulle. Pertini in un momento di grave crisi per le istituzioni, resta un punto fermo di riferimento e conquista l’affetto degli italiani, al di là delle sue singole scelte.

Francesco Cossiga è eletto il 24 giugno 1985 al primo scrutinio. Sul suo nome convergono Dc, che lo ha candidato, Pci, Psi, Pri,  Psdi, Pli e Sinistra indipendente. Schede bianche 141, nulle 7. Passerà alla storia come il presidente «picconatore».

Dalle elezioni del 1992 esce un Parlamento assai frammentato: è l’effetto di Tangentopoli. In un clima da fine della prima Repubblica, il 25 maggio Oscar Luigi Scalfaro è eletto dopo 16 scrutini con 672 voti espressi da Dc, Pds, Psi, Psdi, Pli, Rete, Verdi e Lista Pannella su 1002 votanti. Mentre si svolgono le votazioni, senza che si intraveda una soluzione gradita ai «grandi elettori», la notizia della strage di Capaci con l’uccisione di Falcone e della moglie e degli agenti di scorta sblocca il risultato.

Il 13 maggio 1999 Carlo Azeglio Ciampi è eletto alla prima votazione, con una larga maggioranza (707 voti su 1010). Con un alto indice di gradimento popolare, riscosso la fiducia degli italiani, rafforzando con la sua figura istituzionale il ruolo del presidente della Repubblica.

Giorgio Napolitano è eletto al quarto scrutinio il 15 maggio 2006; il primo Capo dello Stato a essere stato uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista Italiano. Ottiene 543 voti (a parte la Lega Nord che vota Bossi, con 43 voti, la Cdl, con poche eccezioni, opta per la scheda bianca, che saranno 347). Terminerà il suo mandato il prossimo 15 maggio.

In questi giorni un interrogativo è d’obbligo: il prossimo presidente della Repubblica sarà eletto sul filo del rasoio o troverà un’insperata convergenza? Al centrosinistra manca una manciata di seggi – appena 9 – per poter far tutto da solo fin dalla quarta votazione. È possibile con l’aiuto di qualche defezione importante o degli eventuali franchi tiratori. Solo che dopo comincia la parte più importante, il governo, e allora il gioco si fa veramente duro.