Italia

Gorgona, un modello di carcere da salvare

di Andrea FagioliGorgona, il carcere a cielo aperto, il caso unico in Italia, messo a rischio da due omicidi tra detenuti nel giro di un paio di mesi.

Abitata in passato da monaci di vari ordini, la Gorgona, l’isola più verde dell’Arcipelago toscano, è stata trasformata in isola-carcere nel 1879. Adesso ospita poco più di cento detenuti ed altrettanti, o poco meno, tra agenti di Polizia penitenziaria e personale del Ministero della giustizia.

I detenuti vivono (speriamo non si debba dire: vivevano) in regime di «carcere leggero», lavorano la terra, allevano animali, pescano, recuperano le vecchie abitazioni e mantengono la viabilità, escono di cella la mattina e vi rientrano la sera.

Una distesa di orti a terrazza scende dalla sommità, sovrastata dai resti di un antico castello, fino al mare. Gli orti sono pieni di olivi, ma soprattutto di erbe aromatiche per le quali è stato costruito un grande laboratorio. Le viti, piantate di recente, devono ancora crescere. C’è poi la zona dove sono raccolti gli allevamenti e i macelli: mucche, pecore, galline, conigli. Ci sono anche i cavalli da lavoro e l’alveare. Dall’alto dei tornanti delle strade sterrate dell’isola si vedono le boe che delimitano l’allevamento di orate: 45 mila esemplari.

Intorno all’isola non si naviga e senza l’autorizzazione non si sbarca, ammesso che il mare lo consenta. Il traghetto che attraversa le 13 miglia marine che separano Livorno dalla Gorgona si ferma fuori dal porticciolo. Da un portellone laterale si salta direttamente sul barcone della Polizia penitenziaria. Un passaggio semplice con la bonaccia, ma difficile o impossibile con il mare mosso. «Alla Gorgona si sa quando si arriva, ma non si sa quando si riparte», ti dicono una volta sceso.

L’isola non è mai stata un «paradiso» né per i detenuti né, soprattutto, per gli agenti. Ma l’idea, per i primi, di poter lavorare, guadagnare qualcosa e stare di giorno fuori dalle sbarre è senz’altro da preferire a qualunque altra forma di segregazione. Non a caso alla Gorgona si arriva (o forse si arrivava) su richiesta di assegnazione, con meno di sette anni alla fine della pena e senza avere legami con la criminalità organizzata. Almeno così ci spiegava il rimosso direttore Carlo Mazzerbo, che su quello scoglio (nella foto grande il torrione del suo ex ufficio) ci ha vissuto 15 anni e nel carcere a cielo aperto ci ha creduto fino in fondo. E con lui ci ha creduto e ci crede ancora il cappellano padre Davide Colella (nella foto piccola), domenicano, che parla ora di presenze inopportune per quel tipo di carcere.C’è dunque da capire se il «modello Gorgona» sia stato minato dall’esterno o dall’interno. Anche i politici in questi giorni si stanno interrogando sul futuro dell’isola. Ne discuteranno, tra gli altri, il Consiglio regionale e quello comunale di Livorno. L’importante è che il «modello Gorgona» sopravviva. Diceva qualche anno fa il vescovo Alberto Ablondi: «L’esperienza di Gorgona dimostra, nei fatti, quanto sia colpevole la determinazione dello Stato di impedire ai detenuti di esprimersi attraverso un lavoro: la privazione della libertà non sarebbe così grave se non fosse accompagnata dalla privazione della possibilità di lavorare».Poi, il vescovo emerito di Livorno riferiva le parole di un detenuto di un altro istituto di pena: «È tanta la sofferenza di non poter fare niente che a volte mi tengo la testa tra le mani per evitare che vada in pezzi». La schedaCARCERI TOSCANE SOVRAFFOLLATEIn Toscana su una capienza carceraria di 2.900 posti i detenuti sono poco meno di 4 mila di cui soltanto 185 donne. I detenuti stranieri sono circa il 30 per cento, spesso ignorano la lingua italiana e ciò comporta difficoltà non indifferenti per comunicare non solo con il personale penitenziario, ma anche tra loro stessi. Un sovraffolamento che incide negativamente anche sui processi di rieducazione. Attualmente i detenuti con pena definitiva sono circa 2.300, il 60 per cento dell’intera popolazione carceraria. Ma di questi solo il 20/25 per cento (500 – 600 detenuti) partecipano a programmi di reinserimento lavorativo. Il provveditore regionale degli istituti di pena garantisce: «l’isola-carcere vivrà»I dati della scheda sono stati forniti dal Provveditore regionaledegli istituti di pena per la Toscana, Massimo De Pascalis, che ha partecipato alla presentazione del Progetto Socrates/Grundtvig 2 Eplla (Educazione alla sostenibilità e comunità penitenziaria) un progetto finanziato dalla Comunità europea e promosso da Ministero della giustizia, Regione Toscana e Arpat, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana. All’iniziativa partecipano, oltre all’Italia, l’Irlanda del Nord, Malta, Portogallo e Repubblica Ceca. Nell’occasione il Provveditore ha assicurato che l’esperimento di «carcere aperto» della Gorgona, nonostante i recenti fatti delittuosi proseguirà. «Anzi – ha aggiunto – l’obiettivo è quello di superare la colonia agricola ed aprire l’isola al turismo, coinvolgendo in questa oparazione i detenuti».