Italia
Gorgona, un modello di carcere da salvare
Abitata in passato da monaci di vari ordini, la Gorgona, l’isola più verde dell’Arcipelago toscano, è stata trasformata in isola-carcere nel 1879. Adesso ospita poco più di cento detenuti ed altrettanti, o poco meno, tra agenti di Polizia penitenziaria e personale del Ministero della giustizia.
I detenuti vivono (speriamo non si debba dire: vivevano) in regime di «carcere leggero», lavorano la terra, allevano animali, pescano, recuperano le vecchie abitazioni e mantengono la viabilità, escono di cella la mattina e vi rientrano la sera.
Una distesa di orti a terrazza scende dalla sommità, sovrastata dai resti di un antico castello, fino al mare. Gli orti sono pieni di olivi, ma soprattutto di erbe aromatiche per le quali è stato costruito un grande laboratorio. Le viti, piantate di recente, devono ancora crescere. C’è poi la zona dove sono raccolti gli allevamenti e i macelli: mucche, pecore, galline, conigli. Ci sono anche i cavalli da lavoro e l’alveare. Dall’alto dei tornanti delle strade sterrate dell’isola si vedono le boe che delimitano l’allevamento di orate: 45 mila esemplari.
Intorno all’isola non si naviga e senza l’autorizzazione non si sbarca, ammesso che il mare lo consenta. Il traghetto che attraversa le 13 miglia marine che separano Livorno dalla Gorgona si ferma fuori dal porticciolo. Da un portellone laterale si salta direttamente sul barcone della Polizia penitenziaria. Un passaggio semplice con la bonaccia, ma difficile o impossibile con il mare mosso. «Alla Gorgona si sa quando si arriva, ma non si sa quando si riparte», ti dicono una volta sceso.