Italia

I referendum non convincono

di Pier Antonio GrazianiReferendum, un altro fallimento. E neppure per un’incollatura fra votanti e quorum, ma per un distacco che rasenta l’indifferenza verso la corsa. Che qualcosa di grosso non funzioni, è persino banale rilevarlo, una volta che il fenomeno si ripete di fronte ai più disparati quesiti, dalla legge elettorale ai due, quasi orfanelli, di domenica scorsa. Gli stessi promotori, i genitori legali, l’hanno difesi infatti solo fino ad un certo punto.È la prima constatazione: il ricorso ai referendum sembra deciso sulla scorta di interessi, ancorché legittimi ma pur sempre tali da non coinvolgere le maggioranze.

C’è chi li ha addirittura battezzati, sulla scia del lungo sessantotto, come gli strumenti della democrazia diretta che possono sostituire in larga misura gli istituti di legittimità delegata, primo fra tutti il Parlamento. Cosicché referendum ne sono stati presentati anche a decine. Tante notizie, nessuna notizia, tanti referendum, nessun referendum.

Cattivo uso del referendum, dunque, tale da minare la credibilità di un istituto di cui la democrazia non può fare a meno, specie quando le stesse norme costituzionali appaiono legate agli umori delle maggioranze nelle istituzioni delegate.

Che fare allora? Si sono fatti subito scendere in campo gli ingegneri costituzionali ed istituzionali che, spesso, purtroppo, sembra ragionino come i medici al capezzale del povero Pinocchio (se il burattino…) I quorum non si raggiungono? Come l’uovo di Colombo: si prende il quorum del cinquanta più uno per cento e lo si porta al livello presumibile di coloro che hanno intenzione di votare. Trionfo delle minoranze! Qualcuno ha addirittura pensato di mediare fra il massimo del quorum da abbattere e il minimo della decenza democratica: i referendum, in base a questa teoria balzacchiana, sarebbero validi se vota la metà degli elettori delle elezioni politiche precedenti. Di bene in meglio, per aspera ad astra. Così gli elettori di una consultazione politica, senza rendersene conto, determinerebbero la validità o meno di una diversa consultazione. Resta comunque il problema della disaffezione per un istituto di cui nessuno dovrebbe sentirsela di considerare superfluo in una democrazia seria e funzionante.

La responsabilità dei promotori è in primo piano. Quesiti su tutto, più quesiti incomprensibili sull’universo legislativo non solo impediscono le necessarie mediazioni al livello di Parlamento ma rendono indifferente un elettore che non avendo ben chiare le ragioni del sì e quelle del no, rifiuta semplicemente l’ostacolo. La buona volontà come l’intelligenza non si compra al mercato. Va allora favorita. I referendari per vocazione, in vero, mostrano relativa facilità nel racimolare, si fa per dire, le necessarie cinquecentomila firma. Un tempo, quando le firme venivano raccolte da notai, segretari comunali, gente cioè del mestiere, il filtro delle cinquecentomila funzionava a frenare gli abusi. Da quando le firme possono raccoglierle persino i consiglieri comunali, la fabbrica referendaria ha aumentato notevolmente il suo prodotto.

Restituire l’autenticazione delle firme a chi è deputato per professione a farlo, forse non risolverebbe un problema più complesso, ma una mano alla serietà la darebbe di sicuro.

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