Italia

IMMIGRATI: CARITAS, IL 48% VUOLE LA CITTADINANZA. E TRA 10 ANNI SARANNO QUANTI OGGI IN GERMANIA

Il 47,7% degli immigrati romani pensa di chiedere la cittadinanza italiana, mentre per il 71% la concessione del voto amministrativo è un traguardo molto importante: è quanto emerge da una indagine del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes sulla percezione dell’integrazione a Roma da parte di 64 testimoni privilegiati (leader di associazioni, consiglieri aggiunti, mediatori culturali, ecc.). Alcune anticipazioni dell’indagine sono state presentate oggi a Roma durante la conferenza sull’integrazione degli immigrati promossa dall’Ambasciata della Repubblica federale di Germania e dal Goethe institut di Roma. Un confronto importante, ha sottolineato mons. Francesco Montenegro, vescovo di Messina-Lipari-S.Lucia del Mela e presidente di Caritas italiana, perché “unisce l’esperienza della Germania, lo Stato membro che conta la più numerosa collettività di immigrati e vanta l’esperienza di più di mezzo secolo di convivenza con la diversità”, con quella dell’Italia, che “vede la collettività immigrata crescere al ritmo di 300.000 unità l’anno”. “Questo attesta, già ora – ha rilevato mons. Montenegro – un impatto dell’immigrazione superiore a quello riscontrabile negli Stati Uniti e farà tra pochi decenni dell’Italia uno dei Paesi a più alta incidenza di immigrati”.

Il presidente della Caritas ha contestato però una “vera e propria rigidità ideologica-partitica” che in Italia ostacola una “mediazione di alto livello” sui temi dell’immigrazione: “Bisogna avere il senso della misura – ha affermato – e saper comporre l’appartenenza politica con i valori superiori, quelli del Paese, dell’integrazione armoniosa degli immigrati, del rispetto dei diritti umani e religiosi”. La sfida è dunque di “elaborare una via italiana all’integrazione come sperimentazione di un processo di coesione e partecipazione sociale”. “Tutto lascia prevedere che tra 10 anni in Italia gli immigrati saranno 7 milioni, tanti quanti se ne contano oggi in Germania”: ha detto poi Franco Pittau, coordinatore del Dossier statistico Caritas/Migrantes, che ha messo a confronto l’esperienza italiana con quella tedesca. E “non è escluso – ha aggiunto – che avvicinandoci alla metà del secolo l’Italia diventi il Paese dell’Unione con il maggior numero di immigrati”. L’Italia, a differenza della Germania dove prevalgono numericamente i turchi (1.764.000 persone su un totale di 6.751.000 immigrati), ha osservato Pittau, “ha una composizione più policentrica dei suoi immigrati”, ossia per arrivare ad un terzo del totale (3.500.000) bisogna “mettere insieme le prime tre nazionalità: romeni, albanesi e marocchini”.

Inoltre, l’Italia, “ha preso coscienza più velocemente di essere un Paese di insediamento stabile” anche se la difficoltà maggiore per la politica italiana consiste “nel dover rispondere contemporaneamente alle esigenze degli immigrati già insediati stabilmente e a quelle differenziate degli immigrati arrivati da poco”. “Il tallone di Achille tipicamente italiano – ha denunciato Pittau – consiste poi nelle prassi amministrative insoddisfacenti, nelle coperture finanziarie insufficienti e nella eccessiva contrapposizione dei partiti sul tema dell’immigrazione, che ha diviso la popolazione tra favorevole e contrari agli immigrati”. Pittau ha indicato alcuni “punti fermi” nelle politiche di integrazione: “non sono assolutamente ammissibili deroghe alle norme fondamentali che regolano la vita del Paese di accoglienza”; le acquisizioni di cittadinanza sono importanti ma non bastano se “in precedenza non si è lavorato per costruire una società pienamente inclusiva e aperta al pluralismo”; serve “una mentalità di reciproco adattamento”. In sintesi, “siamo chiamati a costruire un nuovo modello di convivenza, più europeo e comunitario che calibrato sulle esigenze del singolo Stato membro”.

Sir