Italia

Il Kosovo rinasce anche grazie alle Caritas toscane

DI ANDREA MERLILe buche delle strade sono state coperte da pezze di asfalto, centinaia di mine seminate nei campi sono state disinnescate, la rete dell’energia elettrica è stata in gran parte ripristinata, ma in Kosovo, tre anni dopo la guerra, c’è ancora molto lavoro da fare. Scheletri di case saccheggiate, monasteri ortodossi rasi al suolo, colonne di veicoli militari e animali ieri domestici, oggi selvatici testimoniano la ferocia di un passato ancora dietro l’angolo. Eppure, lentamente, quel passato si sta ritirando per lasciare spazio a un futuro diverso.

Nel luglio del ’99, subito dopo la fine del conflitto armato, la Caritas Toscana si è messa in movimento insieme a quella della regione Umbria e della diocesi di Latina per dare una mano a costruirlo. I primi volontari, che durante la guerra avevano lavorato nel campo di accoglienza costruito alla periferia di Skopje, in Macedonia, entrarono in Kosovo quando ancora saliva il fumo dalle macerie delle case incendiate. Tre anni più tardi, alcuni sono ancora lì, nel campo di Radulac, pronti a lasciare quello spicchio di Kosovo occidentale un po’ migliore di come lo hanno trovato.

Nei giorni scorsi una delegazione guidata dall’arcivescovo di Spoleto Riccardo Fontana, dal presidente delle Misericordie d’Italia Gianfranco Gambelli, dai delegati regionali Caritas per l’Umbria don Lucio Gatti e per la Toscana don Renzo Chesi, e composta anche da alcuni direttori di Caritas diocesane ha raggiunto il Kosovo per inaugurare due strutture costruite dai volontari del campo e tirare le somme del lavoro svolto.

Nella parrocchia di Zllocuçan, che ha rappresentato il punto di riferimento locale per le attività promosse dalla Caritas, è stato tagliato il nastro teso davanti all’ingresso del nuovo centro polifunzionale. Costruito a pochi metri dalla chiesa, l’edificio ospiterà la sede della Misericordia di Klina, un asilo per accudire i bambini, un centro di formazione e offrirà spazio anche al coro della parrocchia. Finanziata dalla Misericordia dell’Antella e in parte dalle delegazioni Caritas di Umbria, Toscana e Latina, con circa 200 milioni di lire, la struttura comprende un salone e quattro stanze al piano terreno e un ampio soppalco in muratura. «È stato un lavoro impegnativo – racconta Massimo Mazzali, responsabile del campo. – Abbiamo operato nel cantiere per cinque mesi insieme ad alcuni capimastro del posto che ci hanno aiutato a superare le difficoltà tecniche e logistiche». Poi, mentre gli altri alzano i bicchieri, lui si defila, che ci sono ancora mille cose da sistemare.

La seconda costruzione si trova sul fianco di una collina, a Resnik: è una scuola elementare che risparmierà ai bambini del villaggio i quattordici chilometri di strada che, ogni giorno, erano costretti a coprire a piedi. La scuola, suddivisa in quattro aule e due stanze per il personale, è stata realizzata grazie alla solidarietà dei cittadini di Prato che hanno messo insieme circa 200 milioni, gestiti dal Comitato Pro-Emergenze del Comune e dalla Caritas diocesana. Alla costruzione dell’edificio hanno collaborato anche i militari della K–For che, una volta scelto il terreno, lo hanno livellato coi loro mezzi. «In questo momento in Kosovo sono impegnati 5200 militari italiani – spiega il generale della brigata Folgore Pierluigi Torelli, comandante del contingente inviato nella provincia balcanica. – Esistono ancora diverse aree dove la convivenza tra etnie diverse è messa a dura prova, per questo credo che la presenza delle forze di pace sarà necessaria per almeno altri quattro anni».Non resteranno tanto a lungo i volontari del campo di Radulac, anzi, ora che gli obiettivi stabiliti sono stati raggiunti, si avvicina il momento di concludere l’esperienza kosovara per indirizzare gli aiuti altrove. «In tre anni di lavoro – commenta don Piero Sabatini – abbiamo partecipato concretamente alla ricostruzione di questa terra martoriata e avviato un discorso pastorale importante con la parrocchia di Zllocuçan, che rappresenta una comunità minoritaria ma vivace». Nel complesso, le diocesi toscane coinvolte nel progetto (Firenze, Prato, S. Miniato, Montepulciano, Lucca, Massa Marittima, Grosseto, Pescia, Siena, Volterra, Massa Carrara-Pontremoli e Pitigliano) hanno investito più di due miliardi e mezzo di lire sotto forma di generi alimentari, medicine, materiali da costruzione, capi di vestiario e pezzi d’arredamento essenziali per le abitazioni.Accanto a Massimo Mazzali, Cristina Giovannelli, Giovanni Segantin e Maria Chiara Volpi, i quattro volontari che hanno partecipato all’iniziativa di cooperazione fin dall’inizio: dal ’99 al 2002 hanno preso parte alle attività del campo circa 600 persone, giovani e meno giovani, tutte animate dalla stessa voglia di contribuire a rimettere in piedi un pezzetto di Kosovo. Alcuni volontari avevano già maturato esperienze importanti nei campi Caritas di Nocera Umbra e Valona. Il loro lavoro ha permesso di ricostruire 254 case danneggiate dalla guerra e di fornire un’abitazione a 22 famiglie povere non direttamente coinvolte dal conflitto. Oltre ad impegnarsi nella ricostruzione delle case, emergenza prioritaria in una terra prostrata dalla guerra e dagli inverni balcanici, i volontari della Caritas hanno assistito centinaia di feriti: ottanta di loro, impossibili da curare sul posto, sono stati trasferiti in Toscana. L’ospedale Meyer di Firenze ha accolto i bambini più gravi.

E poi, la distribuzione degli aiuti. In tre anni sono arrivati nel magazzino di Zllocuçan un centinaio di Tir che hanno scaricato tonnellate di letti, armadi e alimenti raccolti in Italia dalle diocesi. La macchina della solidarietà non si è mai fermata, instancabile, lungo le strade sterrate, in mezzo al fango dei sentieri, di fronte alla stanchezza che invita a rinunciare. A fine anno si spegneranno le luci del campo di Radulac, ma non i legami stretti con mille volti al di là dell’Adriatico. Quelli, promettono da una parte e dall’altra, resteranno sempre accesi.

LA SCHEDADue ambulanze, una Panda, un ambulatorio e tanta voglia di fare. Sono gli strumenti a disposizione della Misericordia di Klina, il primo distaccamento della Confederazione operativo nei Balcani. L’apertura di una sede in Kosovo è stata fortemente voluta dalla Misericordia dell’Antella che, fin dall’aprile del 2000, si è impegnata nella formazione dei futuri volontari. Poco più di due anni dopo, il 10 giugno scorso, la Misericordia di Klina si è insediata ufficialmente al pianterreno del centro polifunzionale costruito dalla Caritas a Zllocuçan. «Il consiglio direttivo è composto da nove membri – spiega il presidente della Confederazione Gianfranco Gambelli. – Non tutti sono cattolici: due di loro sono musulmani e uno rom. Una simile configurazione non è prevista nello statuto, ma abbiamo deciso di accoglierla per andare incontro alla realtà locale e gestire meglio il soccorso sanitario, che naturalmente sarà prestato senza discriminazioni». Del consiglio fanno parte cinque medici specialistici che garantiranno due ore settimanali di consultazione ambulatoriale, due infermiere e due collaboratori. La sede della Misericordia lavorerà in sinergia con il poliambulatorio di Klina: la struttura sanitaria locale sarà sempre collegata via radio con la sede della Misericordia per rispondere nella maniera più efficace alle chiamate. Il compito dei volontari sarà quello di coprire le emergenze sanitarie dei 23 villaggi che rientrano nella parrocchia di Zllocuçan, ma quando sarà necessario le ambulanze potranno spingersi anche oltre. Tra la realizzazione della sede e la fornitura di veicoli e strumentazioni, la Misericordia dell’Antella ha destinato al Kosovo circa 350 milioni di lire. «Quello che manca totalmente è l’organizzazione dei soccorsi – commenta Paolo Poidomani, che ha seguito in prima persona la nascita della sezione kosovara. – Su questo fronte c’è ancora molto da lavorare, per questo continueremo ad essere presenti sul posto inviando periodicamente alcuni nostri operatori che possano assistere i volontari locali, almeno fino al termine del 2003».