Italia

Il matrimonio religioso non è possibile per chi ha cambiato sesso

di Andrea Fagioli

A dicembre dell’anno scorso, una coppia fiorentina, già sposata civilmente da molti anni, ha chiesto il matrimonio religioso. La moglie però è divenuta tale solo in seguito ad un’operazione chirurgica. La legge italiana le ha consentito il cambio di sesso all’anagrafe e quindi la possibilità del matrimonio civile. Mentre per quello religioso, la coppia si è rivolta a don Alessandro Santoro, che guida la Comunità di base delle Piagge, alla periferia di Firenze. Nonostante il divieto dell’autorità ecclesiastica, don Santoro, pur non avendo celebrato il matrimonio, ha benedetto pubblicamente la coppia durante la Messa domenicale.

Del caso ne abbiamo parlato con uno dei più autorevoli canonisti italiani, padre Luigi Sabbarese, decano della Facoltà di diritto canonico della Pontificia Università Urbaniana in Roma.

Padre Sabbarese, dal punto di vista della morale cattolica come si colloca una persona che cambia sesso?

«Si parte dalla concezione della persona umana come sessuale e sessuata, perché così voluta da Dio creatore; questo almeno nell’ottica di una sana antropologia cristiana. La differenza sessuale è, dunque, dono di Dio creatore; ogni uomo viene al mondo come essere sessuto (uomo-donna). Se si accetta questo presupposto si capisce che nessuna persona può essere padrona, per così dire, della propria origine, né decidere arbitrariamente circa la propria identità sessuale, in quanto la sessualità è una dimensione originaria, creaturale e non derivata. Nella concezione cristiana della creazione, l’uomo esiste sempre come maschio e come femmina; il rapporto di differenza tra maschile e femminile si caratterizza come rapporto di identità e di differenza. Quest’ultima, poi, non può essere confusa semplicisticamente come problema di ruoli, né investe unicamente una diversità di tipo bio-psicologico, ma esige di essere fondata e compresa a livello metafisico. Su questa base ontologica si può anche comprendere che la differenza sessuale appartiene alla natura dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio».

Quale identità di genere le viene riconosciuta?

«Alle persone che cambiano sesso evidentemente non può essere riconosciuta altra identità se non quella insita nella originaria struttura metafisica: l’uomo è e rimane come è stato creato, maschio e femmina; in caso contrario si ammette la negazione della dimensione trascendente della persona e con questa la negazione della relazione tra dimensione trascendente della sessualità e aspetto fisiologico-genitale della sessualità stessa. Si tratta di un moderno divorzio in cui la persona può scegliere il proprio sesso, può scegliere di cambiarlo. L’identità sessuale trascende la mera genitalità, dove il genere non si pone in opposizione al sesso, ma ne costituisce una specifica dimensione intrinseca e al tempo stesso la trascende. Le posizioni ideologiche che propongono di eliminare i ruoli di genere comportano diverse conseguenze; anzitutto che la persona cessa di essere maschio o femmina e divenga di genere neutro, in modo quasi che il suo sesso sia indipendente da lui o da lei; la differenza di genere si riduce ad una mera costruzione sociale dove il singolo può decidere se, quando, per quanto tempo, quante volte cambiare sesso; in questa visione la diversità sessuale diviene indifferente di fronte al genere e quindi dinanzi all’identità personale e, soprattutto il genere, parte dell’identità sessuale, non necessariamente corrisponde al sesso».

Nel caso specifico della coppia fiorentina sposata civilmente e in cui la moglie è diventata donna in seguito ad un’operazione chirurgica, non è quindi assolutamente possibile chiedere anche il matrimonio religioso?

«Sulla base degli elementi sopra enucleati non è possibile celebrare il matrimonio canonico o religioso. Ci troviamo dinanzi ad una caso di transessualismo e, nel matrimonio canonico, per diritto naturale, si può instaurare una comunione di tutta la vita solo tra un maschio e una femmina. Quando uno dei due opera una trasformazione fisica della propria identità sessuale viene a mancare la struttura ontologica di unione matrimoniale che vuole unite due persone di sesso diverso. In questo caso la persona transessuale è radicalmente incapace al matrimonio se ha subito operazioni chirurgiche atte a mutare il proprio sesso. Nel caso venisse celebrato il matrimonio in tali circostanze, esso sarebbe senz’altro un matrimonio attentato, come si dice con linguaggio tecnico. L’incapacità al matrimonio si basa sostanzialmente su tre motivi; anzitutto per mancanza di equilibrio psichico dovuto a disturbi della personalità; poi, per incapacità di stabilire la comunione di tutta la vita tra uomo e donna con compiti specifici per entrambi i sessi. Nel matrimonio di una persona transessuale manca l’alterità sessuale, atteso che gli interventi chirurgici non mutano l’identità ontologica del sesso; perciò se un uomo apparentemente mutato in donna attenta matrimonio con un uomo in realtà il matrimonio si attenta tra due maschi; lo stesso vale se una donna apparentemente mutata in uomo attenta matrimonio con una donna, il matrimonio in realtà è tra due donne. Questo perché gli interventi chirurgici non mutano la struttura genetica, cromosomica e gonadica dell’individuo. Infine, la persona transessuale dopo l’operazione chirurgica diviene incapace al matrimonio per impotenza (impotentia coeundi). Pertanto, nel matrimonio con una persona transessuale non si può realizzare la eterosessualità propria del patto coniugale».

Dov’è l’errore del sacerdote che insiste per celebrare il matrimonio e che domenica scorsa ha benedetto pubblicamente la coppia in questione durante la Messa parrocchiale?

«Senza voler entrare nel merito del fatto specifico, certamente chi si ostina a voler sostenere che è possibile celebrare il matrimonio canonico in simili casi contravviene non solo le norme canoniche ma anche ciò che è scritto nell’ordine naturale della creazione. Ma prima di questo si tratta di una scelta priva di ragionevolezza e di prudenza. Un sacerdote che agisce in tal modo non fa altro che creare confusione, in una società dove è già messa gravemente in crisi la struttura naturale del matrimonio, e genera scandalo nei fedeli. Utilizzare anche la sola benedizione, che per la Chiesa cattolica è un sacramentale, significa misconoscerne il genuino significato di segno sacro, mezzo pubblico di santificazione, diretto a produrre effetti spirituali, che rientra tra gli atti di culto pubblico della Chiesa».

Perché l’impotenza impedisce il matrimonio?