Italia

In Toscana… non si fanno scorie

DI ANDREA FAGIOLII rifiuti radioattivi provengono essenzialmente dalle centrali elettronucleari dell’Enel, dai laboratori di ricerca e dalle apparecchiature sanitarie.

Le centrali dell’Enel hanno funzionato per alcuni anni: per l’esattezza dal 1980, quando a Caorso in Emilia Romagna entrò in funzione la prima, fino al 1987, quando un referendum popolare disse basta al nucleare come fonte di energia alternativa e a più basso costo.

In quei pochi anni, però, sembra siano stati prodotti 53 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, pari ad un grattacielo di 60 piani.

I laboratori di ricerca, gli ambulatori e gli ospedali in cui si praticano particolari terapie mediche o si fanno radiografie sono considerati «produttori di minore importanza», sia dal punto di vista della quantità che della pericolosità.

In termini quantitativi (metri cubi o tonnellate), oltre il 95% dei rifiuti prodotti dall’insieme delle attività nucleari (produzione elettrica, ricerca, ecc.) è costituito da rifiuti radioattivi a bassa attività. In ogni caso, sempre di rifiuti radioattivi si tratta, cioè di sottoprodotti o materiali non più utilizzabili nei quali sono ancora presenti isotopi (elementi chimici) che emettono radiazioni di vario tipo.

Una «carcassa» a San Piero a GradoAi rifiuti radioattivi elencanti vanno aggiunti quelli prodotti in ambito militare per esperimenti bellici. Un caso che, a differenza delle centrali Enel, riguarda anche la Toscana per la presenza a San Piero a Grado, in provincia di Pisa, di un reattore nucleare di ricerca, denominato «Galilei», spento e parcheggiato 23 anni fa presso il Cisam (Centro interforze sviluppo applicazioni militari). Le scorie furono raccolte («stoccate», come si dice) in un centinaio di bidoni tuttora conservati, con qualche segno di deterioramento, all’interno della base militare.

«I residui radioattivi non sono in questo caso in sicurezza definitiva – ammette l’assessore regionale all’ambiente e alla tutela del territorio, Tommaso Franci –, anche se non si tratta – precisa – di un impianto particolarmente pericoloso. Ho comunque chiesto di poterlo visitare e sto aspettando una risposta dal comando militare».

Anche l’Enea (l’apposito Ente statale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) considera l’impianto del Cisam tra quelli da mettere in sicurezza per la pericolosità del combustibile (il plutonio) usato prima dello spegnimento, ma anche per i rifiuti radioattivi prodotti.Per di più, il Cisam, tra gli altri compiti, ha quello delle analisi della radioattività sui campioni d’acqua del porto di La Spezia e dei porti e delle basi in Italia che offrono ricovero ai sottomarini nucleari della Nato.

L’Enea, nel 1997, con la sigla arricchita da un Tfs (Task force per il Sito nazionale di deposito dei materiali radioattivi), ha proceduto al primo inventario nazionale dei rifiuti presenti in Italia al fine di realizzare un deposito definitivo unico a partire dal 2010.

A fianco dell’Enea, ha lavorato la Sogin (Società gestione impianti nucleari) con in testa il suo presidente, l’ex generale Carlo Jean, nominato il 7 marzo scorso anche commissario per l’emergenza nucleare. A lui si deve l’individuazione del luogo «sicuro» per il cimitero delle scorie: una vecchia miniera di salgemma nel Comune di Scanzano Jonico, in Basilicata. Da qui la recente protesta della gente del posto a pochi mesi dall’insurrezione della Sardegna, nel giugno scorso, quando l’ipotesi riguardò una località dell’isola.

Lunga vita al «radioisotopo»Ma perché tanta paura delle scorie radioattive? Il problema principale è la loro lunga vita vita. L’Enea stesso spiega che «l’intensità della radiazione emessa decresce con il tempo, e si dimezza in un periodo che va da pochi secondi fino a migliaia di anni, a seconda del tipo di radioisotopo contenuto». In linea generale i rifiuti radioattivi, che vengono prodotti in forma liquida e solida, «possono essere distinti, ai fini del loro smaltimento definitivo, in due grandi categorie: quelli a bassa attività, o a vita breve, e quelli ad alta attività, o a vita lunga. I primi sono caratterizzati dal fatto che in un tempo relativamente breve», ma pur sempre dell’ordine di qualche secolo, «perdono quasi completamente la loro radioattività. In quelli ad alta attività invece la concentrazione e il tipo di radionuclidi contenuti sono tali per cui sono richiesti periodi molto più lunghi per il loro spegnimento». Insomma, tradotto in soldoni, sono pericolosi ora e sempre. Ma da qualche parte devono essere pure «stoccati».«Una soluzione dovrà essere trovata e credo – dice l’assessore Franci – che non sia percorribile quella di portarli all’estero come qualcuno ha ipotizzato anche di recente. Sarebbe troppo comodo e significherebbe non volersi confrontare con i problemi».

L’assessore si riferisce all’ipotesi venuta fuori in un riunione del G8 in cui la Russia si disse disponibile a ospitare in Siberia un deposito nucleare internazionale in cambio di aiuti per la messa in sicurezza delle proprie centrali nucleari.

Tra le soluzioni riaffiora anche quella del ministro Carlo Giovanardi di un deposito per ogni regione. «È una proposta paradossale – commenta Franci –, ma almeno ha una sua dignità. Al momento c’è l’urgenza di sistemare alcuni depositi in cui il rischio di contaminazione è reale. Se quindi non c’è modo di trovare un sito unico, che sarebbe più razionale e più economico, si trovi il sistema di mettere in sicurezza quelli provvisori nelle diverse regioni. Sarebbe comunque una risposta, anche se non la migliore».

La nostra «produzione»Ma la Toscana quanti rifiuti radioattivi produce? «Abbiamo una produzione limitata alle strutture sanitarie – risponde Franci –, legata essenzialmente alla diagnostica radiologica».

L’ipotesi Maremma venuta fuori qualche tempo fa? «Tutte chiacchiere – taglia corto l’assessore –. Non c’è mai stata un’ipotesi reale in questo senso, anzi: per la Toscana non c’è proprio un’ipotesi di discarica nucleare».

La vicenda finì comunque anche in Consiglio regionale che a maggioranza votò una mozione che impegnava il Consiglio e la Giunta regionale «ad adottare tutte le iniziative in tutte le sedi istituzionali per evitare che tale sciagurata ipotesi possa essere confermata dall’Enea e presa in considerazione dal Governo Berlusconi». Nella circostanza, il consigliere di Forza Italia Maurizio Dinelli parlò di «molto rumore per nulla, di allarmismo gratuito provocato dal centrosinistra, sulla base di dichiarazioni, che non sono mai avvenute da parte di questo governo».

Oggi Franci, dal fronte opposto, conferma in qualche modo la valutazione di Dinelli. Ma è la Margherita a rilanciare l’allarme: «Il Governo sta lavorando su un elenco di 20 siti e tra questi c’è anche l’ipotesi – avverte Erasmo D’Angelis, consigliere regionale e portavoce della Margherita – di un cimitero radioattivo nelle miniere dell’Amiata a 300 metri sotto terra, già individuato da precedenti studi Enea e altri soggetti tecnici». Per D’Angelis i siti possibili in Toscana erano tre: il primo in un territorio confinante con il Lazio, tra Tarquinia e Montalto di Castro; il secondo nell’entroterra della Maremma attorno a Roccalbegna, Saturnia e Pitigliano; sarebbe rimasto in piedi il terzo, quello della «miniera dell’Amiata da trasformare in un bunker a triplo guscio e sotto sorveglianza continua».Per contrastare l’ipotesi, la Margherita toscana annuncia la proposta di una legge regionale per assegnare il vincolo paesaggistico alle miniere dell’Amiata.

Intanto la questione del sito unico nazionale è arrivata al Parlamento europeo dove un gruppo di europarlamentari italiani di diversa estrazione politica ha firmato una petizione per chiedere di verificare se la decisione di stabilire un sito per le scorie nucleari possa essere preso dalle autorità nazionali, senza consultare le comunità locali.

«Qualche cosa non ha funzionato dal punto di vista dell’informazione e di questo mi assumo la responsabilità», ha detto il ministro dell’ambiente, Altero Matteoli, a proposito della reazione delle gente di Scanzano. «Ma c’è sempre tempo – ha proseguito Matteoli – per fare meglio e risolvere i problemi. Le scorie devono trovare una collocazione definitiva e la messa in sicurezza dei siti rappresenta un punto di riferimento importante. Dobbiamo lavorare però per individuare un sito dove fra 5 o 6 anni si possano ricoverare le scorie perché vi restino per altri mille anni».

Un dilemma da premio NobelAlla ricerca di un’alternativa alla discarica nucleare, sta lavorando anche il premio Nobel Carlo Rubbia nella sua veste di commissario dell’Enea. «L’alternativa oggi allo studio – spiega Rubbia – è quella di bruciare quegli elementi che hanno vita troppo lunga per garantire la sicurezza ambientale futura». Ma sulla quantità di radioisotopi a vita media, lunga o lunghissima è guerra di cifra: il Governo parla di 55 mila metri cubi, qualcuno ne ipotizza 80, lo stesso Enea si spingerebbe verso 114, ma alcuni studiosi parlano addirittura di 200 mila metri cubi se nel conto si mettono le scorie che verranno prodotte dallo smantellamento delle vecchie centrali nucleari.

IL GOVERNO ISTITUISCE UNA COMMISSIONE PER INDIVIDUARE IL SITO PIU’ IDONEO

Scorie nucleari a Scanzano Jonico: due settimane di polemiche

Per approfondire

Enea – Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente

Apat – Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici

Il sito della Regione Basilicata

Iaea – Agenzia internazionale per l’energia nucleare

Il sito di Policoro

Scorie radioattive, sopralluogo a San Piero a Grado

«Ma le scorie nucleari non sono così pericolose»