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Indulto a Chiatti, oltre lo sconcerto

La concessione dell’indulto a Luigi Chiatti, noto come il Mostro di Foligno, che tra il 1992 e 1993 uccise due bambini di 4 e 13 anni ha provocato forti polemiche. È giusto che a godere dei benefici dell’indulto (tre anni di sconto sulla detenzione, ndr) sia anche chi ha commesso così turpi delitti? Come è noto la legge, approvata alla fine del luglio scorso, ha fatto grandemente diminuire la popolazione carceraria ponendo fine, almeno provvisoriamente, al sovraffollamento delle carceri, offrendo a molti detenuti una possibilità di riscatto.

Ma come rimarcato dal card. Ruini, nella prolusione all’ultimo Consiglio episcopale permanente (18-21 settembre), “per realizzarsi, tale possibilità richiede sia l’effettiva e sincera volontà delle persone ritornate libere sia un impegno solidale e non episodico per favorire il loro reinserimento sociale. Occorre inoltre mettere in atto tutte le misure utili a tutelare per quanto possibile quel bene irrinunciabile che è la sicurezza dei cittadini, prevenendo e contrastando con rigorosa determinazione le varie forme di delinquenza”. Clemenza, giustizia e sicurezza: mai come in questo momento è coniugare queste tre parole. Ne abbiamo parlato con Claudio Messina, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia (Cnvg), organismo che raduna le associazioni che operano nel campo della tutela dei diritti, della giustizia e delle carceri.

Cosa pensa dell’indulto concesso a Chiatti? In televisione il padre di uno dei due bimbi uccisi ha dato prova di altissima dignità, consapevole della necessità di assistere l’assassino che egli, peraltro, aveva perdonato.

“Quanto si legge e si vede sui vari organi di informazione disorienta chi vuole capire cosa è avvenuto realmente. L’opinione pubblica resta indignata e sconcertata anche perché in questo caso tornano alla mente due delitti efferati che hanno avuto come vittime due bambini. Ma con l’indulto Chiatti non ritorna in libertà, ha ottenuto uno sconto di tre anni (Chiatti, recluso nel carcere di Prato, sarebbe dovuto uscire nel 2023, ndr.). Al geometra di Foligno è stata riconosciuta la pericolosità sociale e la seminfermità mentale. Questo vuol dire che deve essere curato in strutture adeguate e sottoposto a misure di sicurezza da parte della magistratura di sorveglianza”.

Questa decisione rischia, però, di rodere ancora di più la fiducia della gente nella giustizia proprio perché mette in discussione la certezza della pena…

“Ci sono delle leggi che vanno applicate. La certezza della pena è regolata dall’ordinamento penitenziario che prevede anche sconti di pena per buona condotta e benefici per tutti, senza distinzioni tra i reati più o meno atroci. Se fossi il padre di una delle vittime reagirei con lo stesso sconcerto. Capisco l’indignazione ma l’indulto è una legge che va applicata a chi ne ha diritto”.

Ma si possono coniugare clemenza e giustizia?

“È dura quando ci troviamo di fronte a questi personaggi. Una volta che conosci il vissuto di queste persone alla rabbia subentra la pietà. Si tratta di uomini e donne che hanno subito drammi familiari, abusi, mancanza di affetti, tragedie che rendono folli”.

Il card. Ruini ha parlato dell’indulto come occasione di riscatto per molti detenuti, ma può diventare anche uno strumento per umanizzare il carcere?

“Certo, ma per ora è servito a svuotare temporaneamente le prigioni. Servono fatti concreti”.

Quali?

“Innanzitutto, promuovere le riforme strutturali del sistema carcerario per migliorarne l’ordinamento. Gli appelli del presidente della Repubblica avevano queste finalità. Sto preparando una lettera al ministro della Giustizia, Mastella, per ribadire la necessità di mettere ai vertici dell’amministrazione penitenziaria persone competenti con la voglia di riformare. Bisognerebbe incentivare le misure alternative alla detenzione. Abbiamo visto che in coloro che sono nell’area penale esterna, semiliberi e affidati, la recidiva è molto bassa. Al contrario quelli che escono dal carcere tornano a delinquere nel 60-70% dei casi. La Magistratura dovrebbe fare più ricorso alle misure alternative, quando ci sono le condizioni. Non dimentichiamo che il detenuto è una persona”.

Che intende dire?

“I detenuti vanno aiutati a crescere e non dimenticati in cella. Sanzionarli, senza pensare alla loro cura e al reinserimento, li fa diventare più cattivi. Con l’indulto, che ha ridotto la popolazione carceraria a 38mila detenuti da circa 62mila che erano, questo lavoro è reso ancor più possibile. Ci sono guardie carcerarie a sufficienza che partecipano al trattamento del detenuto, coordinato dagli educatori (circa 600) dell’area trattamentale, insieme ai volontari, 8.600 in tutta Italia. Quello del volontariato nelle carceri è un lavoro da valorizzare. L’assistenza materiale e morale dei detenuti e delle loro famiglie, l’aiuto a riallacciare contatti con amici e parenti e a trovare un lavoro e una casa all’esterno sono alcuni dei compiti dei volontari, senza dimenticare le attività culturali, ricreative e di promozione sociale, necessarie per rientrare nella società a pieno titolo”. a cura di Daniele Rocchi

Se dopo l’indulto tornano in carcere