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Kosovo, «Dialogo e riconciliazione», i cattolici guardano avanti

Fuochi d’artificio, balli e feste in piazza hanno accolto il 17 febbraio nella capitale Pristina la dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia. Blu con sei stelle e la forma dello Stato è la nuova bandiera kosovara sotto la quale si ritrova la maggioranza albanese (oltre il 95%) ma non la minoranza serba, circa 120 mila persone che abitano il nord del Paese.

In Kosovo vivono anche 70 mila cattolici guidati dall’Amministratore apostolico, mons. Dode Gjergji che ricorda «tutta la popolazione albanese vanta almeno sedici secoli di fede cristiana, prima di quella musulmana, e non manca di riavvicinarsi alle proprie origini. I rapporti con i musulmani sono buoni. I primi a riconoscere le radici cristiane della popolazione sono proprio loro». Nessun commento ufficiale da parte della Conferenza episcopale dei santi Cirillo e Metodio, che copre Serbia, Montenegro e Macedonia, alla notizia dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, proclamata dal premier Hashim Thaci. Interpellato dal Sir il presidente della Conferenza episcopale e arcivescovo metropolita di Belgrado. mons. Stanislav Hocevar, ha chiesto «a tutti di promuovere un dialogo integrale ed una preghiera. Serve studiare il problema dei rapporti tra Oriente ed Occidente. L’Europa deve cercare in modo profondo la propria identità e solo con una chiara identità potrà trovare i criteri per dare soluzione ai suoi problemi».

L’indipendenza del Kosovo viene seguita con attenzione dalla Santa Sede. Il direttore generale della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi, dalle colonne dell’Osservatore Romano, scrive: «in questo momento la Santa Sede sente anzitutto la responsabilità della sua missione morale e spirituale, che riguarda anche la pace e il buon ordine nei rapporti fra le nazioni, e quindi invita tutti, in particolare i responsabili politici della Serbia e del Kosovo, alla prudenza e alla moderazione, e chiede un impegno deciso e fattivo per scongiurare reazioni estremiste e derive violente, in modo che si creino fin d’ora le premesse per un futuro di rispetto, di riconciliazione e di collaborazione». Un appello condiviso da mons. Gjergji cui il Sir ha posto alcune domande.

Con che spirito accoglie la dichiarazione di indipendenza?

«Abbiamo condiviso con il popolo kosovaro i momenti difficili, adesso condividiamo questo momento di gioia».

Il Kosovo comincia una nuova fase della sua storia. Su cosa deve costruire il proprio futuro?

«Come Chiesa cattolica abbiamo sempre esortato alla pace, al perdono, alla tolleranza e alla riconciliazione tra i popoli. Serve dimenticare il passato, che è stato brutale, e andare avanti con la forza dell’amore e del perdono. Questo è il messaggio che mandiamo a tutti coloro che vivono in Kosovo. Non bisogna avere paura».

Difficile che i serbi del Kosovo capiscano…

«Alla maggioranza chiediamo un grande sforzo verso tutta la popolazione. Non bisogna lesinare tentativi a vantaggio del bene comune, della giustizia, della pace. Ogni energia deve essere impiegata per garantire diritti e pace anche ai nostri concittadini serbi. Crediamo che l’unica via per costruire un futuro al Kosovo è il dialogo politico, culturale, ecumenico ed interreligioso. Solo il dialogo può garantire il futuro».

A proposito di dialogo ecumenico. La Russia, patria del primate ortodosso Alessio II, ha già detto di non accettare l’indipendenza del Kosovo. Questo, a suo parere, può pregiudicare il dialogo tra la minoranza cattolica kosovara e quella ortodossa?

«Non possiamo dirlo con certezza. Da parte nostra siamo pronti a dare il nostro contributo al dialogo con gli ortodossi ed anche con i nostri fratelli musulmani. La nostra mano resta tesa verso gli altri, per la riconciliazione e il perdono. È questo l’impegno della comunità cattolica kosovara per il Kosovo che verrà».

Con la Russia ci saranno anche altri Paesi europei a non riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Quanto potrà influire sulla vita politica della nazione?

«La storia insegna che quando nasce uno Stato questo non viene riconosciuto subito all’unanimità dalla comunità internazionale. Molti Paesi magari lo riconosceranno in seguito. Vedremo».

Di cosa ha materialmente bisogno oggi il Kosovo per cominciare il suo cammino nel consesso degli Stati?

«Il Kosovo oggi è come una casa nuova, che ha bisogno di essere riempita perché la famiglia che vi abita possa viverci bene. Ha bisogno prima di tutto della Comunità europea, di partecipare agli incontri politici, ha poi necessità di essere sostenuto sul piano economico».

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