Italia

La Fisc scende in campo per i cristiani in Iraq

di Simone Pitossi

I settimanali cattolici italiani scendono in campo per i cristiani dell’Iraq. Il progetto? Un centro interreligioso, interrituale per «sfamare la voglia di aggregazione e di incontro» dei giovani iracheni. È quanto intendono realizzare la Fondazione «Giovanni Paolo II» e l’arcivescovado latino di Baghdad, che hanno presentato l’iniziativa a Fiesole (sede della fondazione), in un incontro organizzato dalla Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc). «In Iraq assistiamo ad una emergenza giovani – ha dichiarato l’arcivescovo latino di Baghdad, monsignor Jean Benjamin Sleiman (nella foto con mons. Giovannetti, vescovo di Fiesole) – cui cerchiamo di far fronte anche attraverso l’educazione, l’istruzione e la formazione. Il centro che intendiamo realizzare vuole soddisfare la voglia di incontro dei giovani. Non si può restare indifferenti alla malinconia che mostrano e che li spinge a cercare il loro futuro altrove». Il centro dovrebbe sorgere in alcuni locali annessi alla cattedrale dei latini di Baghdad e, secondo Angiolo Rossi, direttore della Fondazione «Giovanni Paolo II», dovrebbe «ospitare anche un “media center” oltre che strutture idonee ad ospitare attività teatrali, musicali, di danza e artistiche». Il lavoro della Fondazione, ha spiegato Rossi, «vorrebbe stabilizzare la presenza dei cristiani nel Medio Oriente». Questo è quello che la Fondazione già sta facendo da anni in Terra Santa e che di recente ha iniziato a fare in Libano e Siria. Ora l’azione si allarga all’Iraq dove su un milione di cristiani, circa la metà sono emigrati nei paesi vicini. «A fine giugno – ha concluso Rossi – saremo in Iraq con il vescovo di Montepulciano Rodolfo Cetoloni per valutare la situazione e programmare il nostro intervento». Alla realizzazione del Centro contribuirà anche la Fisc, che, ha spiegato il suo presidente, don Giorgio Zucchelli, «si attiverà per una raccolta di fondi attraverso le sue 186 testate». All’incontro ha portato il suo saluto anche il vescovo di Fiesole e presidente della Fondazione mons. Luciano Giovannetti che ha sottolineato il «rapporto di amicizia e di collaborazione della chiesa fiesolana con la Terra Santa».

Mons. Sleiman, originario del Libano, carmelitano scalzo, 63 anni, ha vissuto a lungo in Italia e a Firenze. «L’attuale situazione in Iraq – ha detto – è apparentemente migliorata. La violenza è diminuita, anche se solo la settimana scorsa gli attentati kamikaze hanno fatto più di duecento morti. Ma i problemi politici fondamentali non sono stati ancora risolti. Uso un’espressione forte: l’Iraq oggi è un campo minato. Spero di sbagliarmi, ma vedo le comunità molto divise. E poi ci sono tanti squilibri. La violenza fa ancora parte di questa società e di questa cultura che, alla base, pone il “tribalismo”: ovvero, il gruppo è più importante della persona che, quindi, è sacrificabile. E a questo si aggiunge la tensione tra arabi e curdi: la contesa della città di Kirkuk, nel nord del paese, è un esempio del clima teso e difficile. Se gli americani dovessero ritirarsi la situazione potrebbe precipitare».

In questa situazione si inseriscono i cristiani. «Sotto la dittatura di Saddam – ha continuato mons. Sleiman – i cristiani non vivevano male, non si moriva per la strada. Anche se è bene precisare che in quegli anni veniva sistematicamente uccisa l’anima. Oggi c’è di nuovo un’apertura alla libertà religiosa». Il panorama delle Chiese cristiane in Iraq è complesso. Gli stessi cattolici si distinguono tra caldei, siro-cattolici, armeni cattolici, greci cattolici e latini. Poi ci sono gli ortodossi (a loro volta suddivisi in numerose comunità) e i protestanti. «Ma in questo ultimo periodo – ha sottolineato l’arcivescovo – cristiani di tutte le denominazioni collaborano molto fra loro. C’è un ecumenismo vissuto dalla gente: talvolta c’è più comunità tra i fedeli che tra i pastori».

E così arriviamo ai giovani che, secondo mons. Sleiman, sono «sono la ricchezza dell’Iraq». «Purtroppo – ha sottolineato – non hanno mai vissuto la loro adolescenza, perché si pensava che dovessero passare dalla tenera età all’età adulta senza vivere la loro crescita. Noi crediamo molto invece che sia importante aiutarli a crescere. E poi è necessario aiutare le persone a costruirsi una mentalità aperta. Per questo è importante un centro dove i giovani di tutte le religioni e i riti possano avere una formazione. Penso a un centro dove si possano svolgere attività sportive, ricreative, culturali, artistiche».

E qui entrano in gioco le comunità italiane. «Le vostre chiese – ha spiegato l’arcivescovo – possono incoraggiare le chiese dell’Iraq a riprendere il loro ruolo. Gli scambi, penso in particolare ai giovani, sono molto importanti per noi. E ci adoperiamo perché il Governo agevoli queste visite e questi scambi. Alla Fondazione “Giovanni Paolo II” e alla Fisc vorrei dire grazie per l’aiuto che intende darci nella costruzione di questo centro per i giovani. Il dialogo per noi è fondamentale, se non si dialoga e si resta soli prevale l’integralismo e non si cresce».

Per questo è necessario ripartire dalla cultura. «Oggi è tempo di costruire – ha concluso mons. Sleiman –. Forse la violenza non sarà mai sradicata del tutto ma dobbiamo approfittare dei momenti di pace per fare qualcosa. E bisogna cominciare dai giovani».