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La difficile successione ad Arafat

di Asem KhalilUn alto funzionario francese, che seguiva da vicino le notizie contraddittorie che giungevano dall’ospedale militare di Percy de Clamart sullo stato di salute del raïs, mi ha confidato che in Francia, «le roi ne meurt jamais» (il re non muore mai). Arafat non è un re, ma la sua successione suscita una «curiosità» mediatica notevole; egli, infatti, non ha mai voluto un «numero due» durante i suoi 47 anni a capo di Fatah, 33 anni a capo dell’esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e 10 anni a capo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). Di sicuro Arafat non parlava francese, ma la sua maniera di governare ci spinge a mettere sulle sue labbra le parole che il re francese Luigi XV avrebbe detto: «après moi, le déluge!» (dopo di me, il diluvio).

Al vecchio combattente dell’Olp, premio Nobel per la pace, è stato concesso di lasciare Ramallah per ricoverarsi nell’ospedale parigino specializzato nelle malattie del sangue. Dopo il trasferimento di Arafat, il comitato esecutivo dell’Olp e il comitato centrale di Fatah si sono riuniti affidando a Ahmad Qurei (Abu ‘Ala), primo ministro dell’Anp e a Mahmoud Abbas (Abu Mazen), segretario generale dell’Olp, la direzione delle due grandi istituzioni che rappresentano i palestinesi dei territori e della diaspora. Giuridicamente, queste due funzioni, non dovrebbero necessariamente coincidere nella stessa persona; l’idea, dunque, di una leadership collegiale non sarebbe del tutto priva di senso; un collegio di due persone (o più) con diritto esclusivo di decisione, secondo la competenza di ciascuno, con un dovere di consultazione dell’altro (sistema di contreseing francese?). Questo collegio guiderebbe i territori palestinesi fino a raggiungere un accordo finale con Israele e la costruzione di uno stato palestinese.

La «Legge fondamentale» prevede che, in caso di morte del presidente, il presidente del Consiglio Legislativo Palestinese (Clp) diriga l’Anp per 60 giorni, il tempo necessario per preparare le elezioni di un nuovo presidente. Questo non sarà fattibile, per varie ragioni: primo, Rouhi Fattouh, eletto presidente del Clp dopo che Ahmad Qurei è stato nominato primo ministro, ha – per utilizzare le stesse parole di alcuni dirigenti palestinesi – «poco peso politico». Secondo, non sarà possibile organizzare le elezioni entro 60 giorni. Terzo, non c’è bisogno di un presidente dell’Anp (questa è un’opinione personale), perché dal 2003, c’è un primo ministro (Abu ‘Ala che è stato designato dopo le dimissioni di Abu Mazen Per quanto riguarda l’Olp, il comitato esecutivo deve riunirsi per eleggere (o meglio confermare) Abu Mazen come terzo chairman dell’Olp. Qaddumi potrà essere teoricamente un’alternativa a Abu MazenSalim Zanoun, presidente del Consiglio Nazionale Palestinese (Cnp), non sembra in concorrenza con Abu Mazen a capo dell’esecutivo dell’Olp. Un ruolo importante sarà giocato da chi prende in mano le forze di sicurezza palestinesi; attualmente questo compito è affidato al primo ministro. Si deve pensare a dare un ruolo al ex-ministro dell’interno, Muhammad Dahlan (un altro candidato possibile alla successione di Arafat). Infine, non si deve dimenticare un altro possibile successore di Arafat, Mawran Barghouthi, prigioniero in Israele dopo la condanna per incitamento a compiere atti terroristici in Israele (Barghouthi ha sempre rifiutato la competenza del tribunale dell’occupante israeliano). I palestinesi potranno eleggere Barghouthi pur essendo in prigione; questo gesto avrà un peso politico e un effetto mediatico immenso che potrà sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulla situazione dei prigionieri palestinesi in Israele e sulle legittime aspirazioni del popolo palestinese. E adesso sono forse le elezioni nei territori palestinesiQualche settimana prima dell’aggravarsi dello stato di salute di Arafat, si era chiuso il processo di registrazione come prima tappa verso le elezioni municipali e parlamentari-presidenziali. Il 4 settembre 2004, Arafat aveva inaugurato il processo di registrazione per le elezioni, presentando il suo passaporto ad uno dei 2.300 osservatori palestinesi e internazionali che controllano l’andamento del processo di registrazione in 1.000 centri di registrazione. Sulla sua scheda, si legge: Al-Irsal Street, al-Muqata’a, Ramallah: suo unico indirizzo da dicembre 2001.

Secondo il Comitato Centrale delle Elezioni, presiduto dal Hanna Nasser, la registrazione avrebbe coperto i palestinesi della Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est. I palestinesi interessati (sopra i 17 anni) sono 1,8 milioni (47% della popolazione). Secondo Palestine Media Center, le elezioni municipali si terranno in quattro tappe, il primo round comincerà il 9 dicembre prossimo in 36 città e villagi su 128 (la data potrebbe essere ancora una volta rimandata, in caso di un anticipo dell’elezione del presidente dell’ANP).

Le ultime elezioni municipali in cisgiordania furono fatte nel 1976, sotto l’occupazione israeliana: era la risposta israeliana al crescente ruolo dell’OLP, cercando di creare una leadership locale, facile a manipulare e a controllare. Il contesto oggi è diverso ma il pericolo è lo stesso. Tuttavia, le elezioni municpali (anche a Gaza) sono necessarie per creare autorità locali che riflettono il tessuto sociale e politico della populazione interessata.

Sami Abu Zuhri, portavoce del Movimento di Resistenza Islamica, Hamas, ha invitato i palestinesi a registrarsi perché “le elezioni sono un diritto legittimo di tutti i cittadini, in condizione che si effettuino in una atmosfera democratica lontana dalla corruzione”. Una attitudine non del tutto estranea per due ragioni: primo, Hamas è stata sempre favorevele a elezioni municipali che darebbe una vera rapresentanza a quel movimento che è sempre più popolare; secondo, Hamas è tra i pochi partiti che non sono rappresentati nelle due grandi istituzioni palestinesi, l’Olp e l’Anp; essi si trovano dunque fuori da qualsiasi processo di decisione. Se le elezioni municipali sono trasparenti, c’è una grande possibilità che i simpatizzanti di Hamas possano controllare i consigli municipali di tante città e villaggi palestinesi. La partecipazione di Hamas alle elezioni municipali non significherebbe necessariamente che questo gruppo parteciperà come partito politico alle elezioni del CLP e del presidente dell’Anp. Infatti, Hamas aveva boicottato le elezioni del 1996 perché rifiuta gli accordi di Oslo, che sono alla base della nascita dell’Anp. Lo stesso vale per la Jihad Islamica, e per il fronte populare per la liberazione della Palestina e altri. Il mandato del Clp e del presidente – nel quadro degli accordi di Oslo – era limitato al periodo transitorio, cioè fino al 1999. di consequenza, le elezioni parlamentari e presidenziali potrebbero servire come una nuova base di legittimità per le istituzioni dell’Anp, fino a raggiungere un accordo finale con Israele. Come nelle elezioni del 1996, la scelta del sistema di elezione è decisiva per il risultato. Infatti, il sistema maggioritario (chi vince prende tutto) ha favorito il partito di Arafat, Fatah, nelle elezioni di 1996. Lo stesso sistema sarà adottato per le elezioni di 2005, favorendo l’elezione di quelli che accettano la road map rendendo le istituzioni palestinesi inefficaci vista la mancata rappresentatività della popolazione civile e dei partiti politici presenti nei territori palestinesi. La partecipazione di questi gruppi, invece, nel governo dei territori di autonomia palestinese (o almeno, la loro consultazione nelle decisioni di grande importanza) è indispensabile per evitare episodi di violenza fra le fazioni palestinesi. Una cosa è certa, però: un partito politico deve accettare le regole del gioco: primo, accettare una soluzione pacifica con Israele sulla base di due stati per due popoli; secondo, accettare il negoziato come metodo per giungere alla fine del conflitto; terzo, rinunciare al terrorismo (inteso come violenza contro dei civili per fare pressione sul nemico) come metodo di resistenza per raggiungere dei diritti nazionali, pur legittimi, incluso il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Il contrario significa ritornare al ground zero in quel processo, lento e faticoso, di riconoscenza reciproca tra due popoli che hanno sofferto abbastanza e che meritano un futuro migliore. asemkhalil@yahoo.com

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Arafat, la scheda

Mostra il grafico delle istituzioni palestinesi (autore Asem Khalil)