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Lavoro: nel 2018 sostanziale tenuta del mercato del lavoro in Italia. Positivo effetto Job act

«In Italia, il mercato del lavoro mostra una sostanziale tenuta, a fronte di segnali di flessione dei livelli di attività economica. Dopo il rilevante incremento nel 2017, l’occupazione ha continuato a crescere raggiungendo nel secondo trimestre 2018 il massimo storico di 23,3 milioni di unità. Dopo una lieve diminuzione nel terzo trimestre 2018, in base alle stime preliminari, aumenta lievemente nel quarto (+0,1% rispetto al precedente trimestre)». Lo si legge nel rapporto «Il mercato del lavoro 2018. Verso una lettura integrata» diffuso oggi da ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal.

Stando ai dati diffusi, nella media del 2018 il numero di occupati supera il livello del 2008 di circa 125mila unità e il tasso di occupazione sfiora il record di 58,5%. Il tasso di disoccupazione si attesta al 10,6% (-0,6 punti in un anno e +3,9 punti rispetto al 2008). Nel rapporto si evidenzia come ci sia stata una crescita occupazionale «a bassa intensità lavorativa»: «se il numero di persone occupate recupera il livello del 2008, la quantità di lavoro utilizzato – viene spiegato – è ancora inferiore». Nella media dei primi tre trimestri del 2018 rispetto ai corrispondenti del 2008, il Pil è del 3,8% al di sotto del livello pre-crisi e le ore lavorate del 5,1%. Per colmare il gap mancano ancora poco meno di 1,8 milioni di ore e oltre un milione di Unità di lavoro a tempo pieno (Ula).

I lavoratori dipendenti raggiungono il massimo storico, sfiorando i 18 milioni, nel secondo trimestre 2018 e gli indipendenti il minimo nel primo trimestre 2018 con meno di 5,3 milioni di occupati; il tempo determinato (+0,1%) tocca il valore massimo di oltre 3,1 milioni di occupati. Nell’ultimo decennio si è registrata una crescita dei rapporti a tempo determinato (+735mila) e una notevole espansione degli impieghi a tempo parziale (spesso involontari). Questi trend sono connessi allo sviluppo di molte attività nel terziario e di professioni a bassa qualifica. Nei dieci anni è aumentata la presenza femminile, dei lavoratori «anziani», di quelli più istruiti, e degli stranieri. Si è inoltre accentuato il dualismo territoriale a sfavore del Mezzogiorno (-262mila occupati a fronte di +376mila nel Centro-Nord). Nonostante la crescita dell’occupazione negli ultimi anni, rimane ampia la distanza dell’Italia dall’Ue15: per raggiungere il tasso di occupazione della media Ue15 (nel 2017 pari a 67,9%, contro il 58% di quello italiano) il nostro Paese dovrebbe avere circa 3,8 milioni di occupati in più. «Il gap occupazionale – si legge nel rapporto – italiano riguarda soprattutto i lavori qualificati e i settori sanità, istruzione e pubblica amministrazione».

«Nel periodo tra il terzo trimestre 2016 e il terzo trimestre 2018 le imprese sempre presenti (oltre un milione di unità con un’occupazione pari a 10,1 milioni di posizioni lavorative) hanno creato oltre 1,4 milioni di posti di lavoro e ne hanno persi quasi 775 mila, con un saldo positivo di circa 690 mila unità. La tendenza all’aumento – si legge nel Rapporto – ha coinvolto il 37,3% delle imprese a fronte del 26,3% che hanno ridotto le posizioni lavorative. La crescita è diffusa soprattutto tra le imprese di dimensione media e grande». 

Nel triennio 2014-2016 il disallineamento tra il titolo di studio conseguito dagli assunti e quello più richiesto dalle imprese per la medesima professione ha interessato più della metà (53,5%) delle assunzioni nelle imprese italiane: la diffusione della sovraistruzione (31,6%) è maggiore di quella della sottoistruzione (21,8%), soprattutto per gli under 29; per gli over 49 prevalgono invece i sottoistruiti.

Nei settori manifatturiero, delle costruzioni e dei servizi alla persona vi è un’alta concentrazione di sovraistruzione e una bassa incidenza della sottoistruzione, laddove nel settore dei servizi di mercato la diffusione della sovraistruzione è sotto la media. «La maggior diffusione del fenomeno della sovraistruzione nei settori a più alta intensità di conoscenza (31,4%) e tecnologia (42%) – prosegue il rapporto – si può leggere come il sovrapporsi di due fenomeni: la capacità strategica delle imprese in tali settori di investire e attrarre professionalità qualificate e l’eccesso di offerta di capitale umano».

Per quanto riguarda il tasso di attività della popolazione tra 15 e 74 anni in Italia nel 2017 è risultato pari al 57,1%, con un gap di 7,5 punti rispetto alla media Ue. Con un tasso di disoccupazione all’11,7% nel 2017, l’Italia si colloca al terz’ultimo posto nella graduatoria Ue28 (7,6% la media europea). «Se si considera il tasso di mancata partecipazione, che oltre ai disoccupati tiene conto delle forze lavoro potenziali disponibili a lavorare, il divario dalla media europea sfiora i dieci punti», si legge nel rapporto. Nel complesso, nel 2017 la forza lavoro non utilizzata potenzialmente impiegabile nel sistema produttivo ammonta a circa sei milioni di individui (2,9 milioni disoccupati e 3,1 milioni forze di lavoro potenziali).

Riguardo alle agevolazioni contributive a sostegno dell’occupazione da parte delle imprese «in assoluto l’esonero triennale varato per il 2015 risulta il programma che ha avuto l’impatto più rilevante. In questo anno si è avuto un forte aumento sia delle assunzioni che delle trasformazioni di contratti di lavoro a tempo indeterminato». Stando ai dati diffusi, si constata un’incidenza dovuta alle agevolazioni dall’andamento variabile: dal 16% del 2014 si è attestata al 61% nel 2015 per poi scendere al minimo del 10% del 2017. Nei primi nove mesi del 2018 si registra infine una risalita (al 15% circa). Generalmente l’incidenza delle agevolazioni è più elevata per le trasformazioni, con il massimo raggiunto nel 2015 (agevolate il 76% del totale).

«Se l’esonero triennale del 2015 e quello biennale del 2016 – spiega il Rapporto – hanno mobilitato risorse misurabili in miliardi di euro a favore delle imprese, il Bonus ‘Giovannini’ si è attestato a consuntivo al di sotto dei 100 milioni di euro e ‘Garanzia Giovani’, fino alla metà del 2018, a circa 300 milioni». A livello territoriale emerge la sovra-concentrazione delle agevolazioni nel Mezzogiorno, che pesa per il 25% sul totale dell’importo delle agevolazioni, per il 19% sull’occupazione dipendente totale. Tra i settori di attività economica, una specializzazione relativa nel ricorso alle agevolazioni è riscontrabile soprattutto per le costruzioni e per il commercio. La quota di aziende incentivate è più elevata tra le aziende maggiori (nel 2016 l’85% beneficiava di almeno un lavoratore incentivato) mentre il ricorso alle agevolazioni è complessivamente più significativo nelle piccole imprese. Quelle sotto i dieci dipendenti assorbono il 40% delle agevolazioni complessive mentre l’incidenza sull’occupazione totale è del 28%; per le imprese con oltre 250 dipendenti questi valori sono rispettivamente il 14% e il 31%.

«Nel 2017 l’età media al primo ingresso è di circa 22 anni, nel 55% dei casi si tratta di uomini. Su 100 primi ingressi, oltre 50 si registrano nel Nord, 20 al Centro e 30 nel Mezzogiorno; 80 sono riferiti a cittadini italiani e 20 a stranieri. Il contratto a tempo determinato è il più utilizzato al primo ingresso (50%), seguito da apprendistato (14%) e lavoro intermittente (12%). Solo il 9% avviene con contratto a tempo indeterminato o in somministrazione e il 4% nella forma di collaborazione». Stando ai dati diffusi, nel 2017 vi sono stati 773mila primi ingressi di giovani di 15-29 anni nel lavoro dipendente, parasubordinato e in somministrazione. Essi rappresentano il 35% del totale degli oltre 2 milioni di individui che, nella stessa fascia di età, sono stati interessati dall’avvio di almeno un rapporto di lavoro nell’anno. Il dato risulta in crescita rispetto al 2016 (+28,4%) e in confronto a due anni prima (+34,4%, 198 mila in più). Le professioni più frequenti sono camerieri e assimilati (12%), commessi delle vendite al minuto (8,5%), braccianti agricoli (7,4%), lavori esecutivi di ufficio (2,8%). Nella media 2015-2016, il 54,9% dei giovani entrati per la prima volta nell’occupazione ha un rapporto di lavoro ancora attivo a un anno di distanza. Il tasso di permanenza oscilla tra il massimo del Nord-ovest (60,5%) e il minimo del Mezzogiorno (48,7%).

In termini di competenze, se analizziamo soltanto il 2016, la probabilità di avere ancora un rapporto attivo è minore per le professioni non qualificate (45,6%) e più elevata per quelle che richiedono un livello di competenza medio-alto (66,6%). In generale, nel 2017 i lavoratori interessati dall’attivazione di almeno un rapporto di lavoro dipendente, parasubordinato o in somministrazione sono 6,7 milioni, in aumento dell’11,2% dopo la diminuzione del 2016 (-8,3%) e la crescita del 2015 (+8,8%).

Rispetto agli anni precedenti, aumenta la quota di contratti a tempo determinato (66,9%, +13,8% rispetto al 2016) e dell’apprendistato (4,8%, +13,1%) mentre diminuisce quella dei contratti a tempo indeterminato (18,6%, -7,0%). Il 64,4% di quanti hanno avuto un’attivazione nel 2014 ha un rapporto di lavoro attivo (tasso di permanenza) a tre anni di distanza rispetto al 57,3% del gruppo osservato dal 2010. La quota di coloro che, entrati con un contratto temporaneo, sono passati a uno permanente risulta superiore per le classi di età più giovani e per la componente maschile, con un divario di genere che tende a diminuire all’aumentare del periodo di osservazione. Permangono forti le differenze territoriali: tra gli entrati con un contratto temporaneo nel 2014, nel Mezzogiorno solo il 18,2% risulta transitato a un lavoro permanente dopo tre anni, contro una quota circa doppia nel Nord-ovest (36%).