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Libia: Conte, «parola chiave è dialogo tra tutti gli attori cruciali per la stabilizzazione»

Ogni evento internazionale ha il suo protagonista e alla conferenza di Palermo sulla Libia non si può dire che il generale Khalifa Haftar non abbia cercato di strappare questo ruolo. Dall’incertezza circa la sua partecipazione, che ha costretto alla «rincorsa» la diplomazia italiana e i quotidiani di tutto il mondo fino alle 20 di ieri sera, alle dichiarazioni che hanno accompagnato il suo arrivo nel capoluogo siciliano.

«Io con la conferenza di Palermo non ho nulla a che fare» ha detto Haftar ieri sera, appena arrivato, ad «Address Libya», quotidiano di Bengasi, l’unico a cui abbia accordato un’intervista. Il generale ha riferito di aver già inviato una propria delegazione «quattro giorni prima», incaricata dei colloqui. «Io incontrerò i capi di Stato dei Paesi che circondano la Libia» ha scandito. «Parleremo del modo in cui possono sostenere la Libia e di tutti quei temi che vanno a beneficio dei nostri Paesi». Quindi si è detto pronto a incontrare «il primo ministro italiano e gli altri ministri europei», ma non gli esponenti delle altre delegazioni, con cui «non ho nulla a che fare».

Si tratterebbe dei delegati delle Nazioni Unite, principali sostenitrici del Governo di accordo nazionale di Tripoli, guidato dal premier Fayez Al-Serraj. Poi, degli altri attori che in Libia detengono il potere: Serraj appunto e poi Aghila Saleh, il presidente della Camera dei rappresentanti con sede a Tobruk, con cui Haftar sarebbe ai ferri corti.

Come ricorda il portale «Libya Studies», fonti vicine ad Haftar confermano che il generale è particolarmente deluso dalla condotta di questo organismo, che non ha voluto promulgare una legge elettorale, «che potrebbe aprirgli la strada per diventare il prossimo presidente della Libia».

Haftar, però, con Serraj si è incontrato. E gli ha detto, come hanno confermato fonti diplomatiche prima di lasciasse l’Italia, che «non si cambia cavallo mentre si attraversa il fiume». Una metafora che potrebbe rimandare alla scelta del prossimo candidato presidente ma anche a possibili cambiamenti di alleanze.

Perché nonostante gli appelli alla pace, al disarmo delle milizie e alle riforme economiche per favorire la riunificazione della Libia, lanciati dai leader a Palermo, Haftar è ancora certo di un fatto: «La Libia è ancora in guerra». Per questa ragione ad «Address Libya» il generale si è detto convinto dell’urgenza di «garantire la sicurezza ai confini, e sappiamo bene tutti cosa accade nel sud, e in Paesi come Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Sudan ed Egitto a proposito dell’immigrazione illegale».

Haftar ha lanciato un messaggio anche ai partner africani, evidenziando l’urgenza di ottenere «il loro punto di vista» sulla questione, nonché «aiuto, almeno per monitorare bene i confini in modo da non permettere ai migranti di passare». Secondo Haftar, «l’immigrazione clandestina ci porta vari problemi tra cui quello delle milizie, tra cui al-Qaeda e Isis». Un messaggio che rimbalza direttamente sui tavoli delle diplomazie europee.