Italia

Lotta alla povertà, rapporto Caritas su sperimentazione Sia

«Caritas ritiene, sapendo di non essere la sola, che non possa esserci vero sviluppo senza inclusione e coesione sociale, dunque, senza giustizia e solidarietà». Lo scrive don Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana, nella premessa che apre il Rapporto 2017 sulle politiche contro la povertà in Italia, che la stessa Caritas ha significativamente intitolato «Per uscire tutti dalla crisi. Reddito di inclusione: la sfida dell’attuazione».

«Qualunque crescita – scrive ancora don Soddu – va accompagnata e sostenuta con politiche sociali reali, efficaci, lungimiranti, che attivino la comunità, rifiutino l’assistenzialismo, contrastino la povertà, governino gli squilibri del mercato del lavoro e del rapporto tra domanda e offerta di servizi». In vista del prossimo avvio del Reddito d’inclusione, che don Soddu definisce «tappa fondamentale per il nostro Paese nella lotta alla povertà», diventa fondamentale che «l’incremento progressivo delle risorse, il carattere universalistico dell’intervento e lo sviluppo dei servizi alla persona sul territorio procedano ora di pari passo».

La riflessione del direttore della Caritas parte dal messaggio del Papa per la prima Giornata mondiale dei poveri, in programma il 19 novembre. I poveri, sottolinea ricollegandosi al magistero di Francesco, sono «persone da incontrare, accogliere, amare». E infatti «la povertà non è un entità astratta, ma ‘ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro’. Davanti a questi scenari – ricorda don Soddu – il Papa ci chiede di non restare inerti e rassegnati, ma di ‘rispondere con una nuova visione della vita e della società’».

«Oggi la sfida – afferma Francesco Marsico, responsabile dell’Area nazionale della Caritas italiana, nelle conclusioni del Rapporto 2017 –  non è quella di segnalatori delle disfunzioni o di sperimentatori di risposte esemplari, ma soprattutto di attivatori e di manutentori di processi di cambiamento, che vanno nella direzione della costruzione di sistemi territoriali sempre più capaci di contrastare la povertà in maniera strutturale e multidimensionale. Costruire sistemi territoriali integrati è la sfida in cui inserirsi, allargando i margini dell’accesso alle condizioni più marginali ed escluse». Tra il bilancio dell’attuazione del Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) e la prospettiva del Rei, il nuovo Reddito d’inclusione, Marsico scrive che «una riforma non cambia magicamente un Paese segnato da enormi differenziali regionali e da una crisi economica che ha lasciato cicatrici profonde nei territori». Per questo «si dovranno analizzare le difficoltà attuative tenendo sempre presente non il punto di arrivo della riforma, che è la sua piena attuazione operativa, ma il ragionevole e verificabile sviluppo incrementale delle prassi».

Gli obiettivi indicati da Marsico si collocano su tre livelli: «La garanzia di risorse incrementali, che assicurino l’adeguatezza degli importi e l’allargamento della platea»; «la costruzione, nello spazio residuo di questa legislatura, di un adeguato piano nazionale per la lotta alla povertà»; «una capacità di monitoraggio e valutazione che evidenzi i punti di forza e di difficoltà».

Nell’estate del 2016 è partita la sperimentazione del Sia (Sostegno all’inclusione attiva) che rappresenta il precedente diretto del nuovo Reddito d’inclusione (Rei) che prenderà il via l’anno prossimo. Dal settembre dello scorso anno la Caritas italiana ha avviato in cinque regioni (Liguria, Toscana, Abruzzo, Molise e Sicilia) un percorso autonomo di valutazione del Sia, dal punto di vista degli stessi operatori Caritas, dei cittadini beneficiari della misura e degli assistenti sociali sul territorio. Questi ultimi hanno fornito risposte interlocutorie sull’efficacia del Sia, in quanto al momento della realizzazione dei «focus group» la fase progettuale dei Sia non era partita in nessuno dei territori considerati. Per questo motivo, si legge nel Rapporto 2017 sulle politiche contro la povertà in Italia, diffuso oggi dalla Caritas italiana, «il giudizio sull’impatto del Sia è stato dato relativamente alla sola componente economica, giudicata e definita nei termini di una ‘boccata d’ossigeno’ che ha consentito alle famiglie di ‘riprendere fiato’, ma che certamente non è in grado, per la sua esiguità quantitativa, di svolgere un ruolo risolutivo nel superamento delle situazioni di deprivazione sociale e materiale».

In generale, gli assistenti sociali esprimono una «valutazione positiva dell’idea culturale alla base del Sia». Allo stesso tempo, però, sottolineano uno scarto «tra contenuti legislativi e prassi operativa».

Nel Rapporto 2017 la valutazione sul Sia degli operatori Caritas è stata rilevata attraverso 6 «focus group» che hanno coinvolto 43 soggetti attivi presso 29 diocesi di Liguria, Toscana, Abruzzo, Molise e Sicilia. «Quasi mai la misura è stata occasione per sviluppare nuovi rapporti con le amministrazioni locali – si legge nel Rapporto – ma ha invece costituito l’occasione per rafforzare legami già esistenti, orientandoli a volte verso modelli di intervento diversi da quelli tradizionali». Infatti, la difficoltà dei servizi sociali di «lavorare in rete con altri attori» non è imputabile al Sia, dipende piuttosto «dalla tradizione di lavoro sociale tipica di un dato territorio». L’impatto del Sia si è invece fatto sentire nel rapporto con gli utenti, perché la Caritas ha modulato i suoi interventi in relazione alla presenza o meno della nuova forma di sostegno. Uno dei problemi segnalati è che quando l’erogazione del Sia è stata interrotta, «determinando situazioni di improvvisa emergenza», la Caritas «è stata costretta a riprendere il vecchio regime di aiuti». Per alcuni mesi, poi, «un numero rilevante di beneficiari del Sia ha riscosso l’aiuto economico senza aver ricevuto dai servizi nessuna proposta di impegno» e ciò ha indotto la convinzione che si trattasse di una delle tante forme di pubblica assistenza. Gli stessi beneficiari hanno invece manifestato un prevalente interesse per «forme di aiuto che possono garantire il superamento definitivo o di lungo periodo» della condizione di difficoltà: «La ricerca di un lavoro, l’alleggerimento per almeno un anno dal pagamento di utenze e spese abitative fisse, l’esenzione dal pagamento di tasse e tributi locali, ecc.».

Il Rapporto 2017 raccoglie anche le risposte fornite al questionario inviato nei primi mesi dell’anno a tutti i direttori delle Caritas diocesane per una prima valutazione della fase di avvio del Sia, in particolare nel periodo settembre 2016-giugno 2017. Ecco alcuni risultati. Il 74,1% delle persone che si rivolgono alla Caritas soddisfano i requisiti per accedere al Sia, le domande sono state accettate nel 73,2% dei casi, ma ben il 43,5% dei richiedenti non aveva ricevuto il contributo al momento in cui sono stati compilati i questionari.

Il Rapporto rileva che «le aree di intersezione tra beneficiari Caritas e Sia sono ampie» e «questo significa che le Caritas possono svolgere un’azione fondamentale nei confronti di una misura come il Sia» o come il futuro Reddito d’inclusione. Peraltro il quadro dei rapporti delle Caritas con i Comuni presenta luci e ombre. Con il Sia, le collaborazioni già esistenti nel 65,6% dei casi sono state per lo più confermate (86,8%) o ampliate (13,2%). Il Sia avrebbe potuto contribuire ad allargare la collaborazione attraverso i progetti relativi ai cosiddetti Ambiti territoriali di riferimento e le équipe multidisciplinari previste per alcuni aspetti specifici, ma nel primo caso il 67,7% delle Caritas non è stato coinvolto, addirittura l’86,4% nel secondo.

Ai potenziali beneficiari del Sia le Caritas hanno fornito informazioni attraverso contatti diretti nel 77,8% dei casi. Per quanto riguarda la comunicazione istituzionale, il 78% delle Caritas dichiara che i Comuni hanno informato pubblicamente i cittadini, in modo abbastanza efficace nel 48,3% dei casi.