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MOSCHEA DI PONTE FELCINO: BROMURI:  «LA COMUNITÀ LOCALE È FRASTORNATA E AMAREGGIATA»

“La comunità locale, cittadina e regionale, è frastornata e amareggiata, perché un gruppo, sia pure ristretto di stranieri provenienti dal Marocco e, soprattutto, un personaggio presente da 15/20 anni in Italia, abitante a Ponte Felcino, frazione del Comune di Perugia, avrebbe approfittato dell’ospitalità e accoglienza, sempre generosa della nostra gente e delle istituzioni, per organizzare una cellula predisposta a compiere azioni terroristiche. I fatti sono ancora al vaglio delle autorità della magistratura inquirente e non sappiamo ora valutare adeguatamente la loro gravità e pericolosità”. È quanto dice al Sir mons. Elio Bromuri, direttore del settimanale cattolico d’informazione dell’Umbria (“La Voce”), a commento dei primi sviluppi dell’operazione antiterrorismo “Hammam” che sabato ha portato, tra l’altro, all’arresto di 3 persone, tra cui l’imam della moschea di Ponte Felcino. Per Bromuri, “ciò che è certo, come ha affermato mons. Riccardo Fontana, arcivescovo di Spoleto-Norcia e vicepresidente della Conferenza episcopale umbra, è che non si deve colpevolizzare tutta la comunità musulmana presente in gran numero in Umbria, che si ritiene non rappresentata dai personaggi arrestati. Lo stesso imam di Perugia Abdel Qader ha dichiarato la sua contrarietà all’ipotesi che qualche musulmano si sia servito di una moschea per preparare azioni terroristiche”. “La vicenda – secondo Bromuri – rappresenta, comunque, un campanello d’allarme e richiede una sempre maggiore prudenza nelle relazioni con un mondo che trattiene zone d’ombra e ogni tanto presenta alcuni aspetti sconosciuti ed enigmatici. Una nota di spiegazione sarebbe inoltre necessaria per coloro che devono scrivere e fare discernimento sulla realtà delle comunità musulmane che vengono giudicate secondo parametri non adeguati”. Ad esempio, sottolinea Bromuri, che è anche esperto di ecumenismo e dialogo interreligioso, “si fa confusione considerando l’imam come un sacerdote, la moschea come fosse una chiesa e la preghiera islamica come fosse la celebrazione di una messa. Una confusione e un equivoco che non aiutano a decifrare gli intricati percorsi di comportamento di singoli e comunità. L’imam, che è la guida della preghiera, non ha una particolare investitura religiosa e preparazione teologica. Normalmente non si sa chi lo abbia nominato e chi gli dia uno stipendio. La moschea non è una chiesa. Nell’Islam non c’è nulla di sacro o di santo fuorché Dio, non c’è sacerdozio. La preghiera è la ripetizione di formule e di gesti che possono essere fatti anche da soli, perché non è presente alcuna forma di mediazione sacerdotale. Anche se pregano insieme, come a mezzogiorno del venerdì nella moschea, i musulmani sono sempre ognuno solo davanti a Dio”.

“La moschea – ricorda Bromuri – rappresenta il luogo per eccellenza della comunità civile e religiosa che sono la stessa cosa, è un rifugio, una scuola, un tribunale, un luogo di assistenza, di convegno e dove la distinzione tra religioso e civile non ha una netta definizione. Non è un caso che proprio dalle moschee e dai centri culturali siano partite iniziative politiche anche di grande impatto storico come la rivoluzione komeinista”. A questo punto, conclude Bromuri, “per evitare brutte sorprese, si deve conoscere meglio il molteplice e variegato mondo musulmano nella sua lingua, nelle dottrine e nelle prassi che sono ritenute conformi alla cultura diffusa fondata sui testi sacri e sulla lunga tradizione dei vari popoli, favorendo l’affermazione di quelle energie vitali, oggi più numerose tra gli immigrati, che spingano tutti a un moto di pacificazione e riconciliazione prima di tutto tra le varie anime dell’Islam e poi con il nostro mondo occidentale e cristiano”.

Sir