Italia

Mugnai: governo “balbettante” e Regione ha lasciato le Rsa a se stesse

Lo raggiungiamo mentre è a casa. Poco prima di una riunione in videoconferenza. E, lui di Montevarchi e per una legislatura anche in Consiglio regionale, non nasconde dubbi anche sulla gestione toscana. «La malattia era sconosciuta – aggiunge –. Ma si sapeva che le persone più esposte al Covid-19 erano gli anziani con più patologie. Esattamente il profilo degli ospiti delle Rsa che, nelle prime settimane dell’emergenza, sono state lasciate a se stesse, anche in Toscana».

Cosa è successo nelle Rsa, in Italia e anche nella nostra regione?

«Negli anni che sono stato in Consiglio regionale ho avuto la carica di vicepresidente della commissione sanità. Ho mantenuto contatti e rapporti con il mondo del sociosanitario. Ho ricevuto tantissime telefonate con grida di dolore e di paura da parte di operatori e gestori delle Rsa. Mancavano soprattutto i dispositivi di protezione individuale e, poi, i tamponi di controllo. Fortunatamente i casi di contagio stanno diminuendo, ma ancora oggi si contano i morti di quei giorni di totale caos. Si sono adeguati e messi in sicurezza gli ospedali per timore del picco che poteva far collassare le terapie intensive. Ma non si sono presidiate le residenze per anziani. Nel momento che quella era la frontiera più pericolosa. Nella Rsa della mia città, Montevarchi, siamo a 19 morti. Stessa situazione in quella di Bucine. Sono numeri enormi in comune a tante altre Rsa della Toscana e dell’Italia».

Il governo è andato avanti a Dpcm…

«È stata una fase non rispettosa del dettato costituzionale. Nel momento in cui si vanno a limitare le libertà tutelate dalla Costituzione lo si è fatto non con la legge ma con atti amministrativi. Il presidente del Consiglio ha avuto dei poteri che la Costituzione non gli riconosce».

E dopo la crisi sanitaria sta arrivando quella economica e del lavoro. Come ne usciamo?

«Il governo è stato balbettante. Non è sufficiente essere tempestivi nell’adottare i provvedimenti. Chi governa deve verificare che si ottengano i risultati. Non basta chiamare un decreto “liquidità”, bisogna fare in modo che i soldi arrivino nei conti correnti delle famiglie in difficoltà e delle imprese, dei negozi, dei servizi che stanno per chiudere. Non è avvenuto. Ancora oggi, a più di un mese dalle prime misure adottate, sono tante le aziende che non avuto accesso ad alcun tipo di aiuto. Poi ci sono i provvedimenti sbagliati: molte aziende lavorano con lo scoperto e alcune banche hanno trattenuta la parte di credito che vantavano. Quindi se il contributo dato era 25 mila euro e un’azienda aveva un debito con la banca di 20 mila, alla fine sono arrivati nelle tasche dell’impresa solo 5 mila. Non è così che si mette in sicurezza l’economia».

Sul cronoprogramma delle riaperture cosa pensa?

«Molto spesso le conferenza stampa di Conte hanno rincorso i provvedimenti, giusti o sbagliati, già adottati dai governatori delle regioni. Non si vede una strategia d’insieme. Oggi siamo ancora in attesa di far ripartire intere filiere. L’errore è concettuale: non si può gestire la situazione con i codici “ateco” perché il contagio non è stato e non è omogeneo in tutto il paese. Bisognava prevedere la riapertura in funzione dei territori».

La scuola è un altro capitolo sul quale il governo non è sembrato preparato e si è scaricato sulle famiglie il fardello della ripartenza…

«Si è fatta confusione. Il primo problema da porsi dopo l’uscita dal lockdown è quello dei trasporti e poi quello della scuola. Nel nostro paese lo strumento più potente del welfare è la famiglia. In molti casi sono i nonni che salvano le famiglie sia dal punto di vista economico sia da quello della gestione del quotidiano. I bambini sono spesso affidati ai nonni quando i genitori sono al lavoro. Questo è uno scenario non praticabile, in questo momento sarebbe da irresponsabili mettere a rischio la vita degli anziani. Il bonus baby sitter non sta arrivando. C’è difficoltà ad accedere al congedo parentale. Non c’è una visione organica».

Molte scuole paritarie rischiano di chiudere con questa grave crisi, anche in Toscana.

«Viviamo in una regione strana. Quando eravamo in piena emergenza e mancavano i dispositivi di protezione individuale il presidente Rossi ha addossato la responsabile dei problemi di contagio nelle Rsa alle strutture private. In realtà i contagi ci sono stati in tutte le residenze, anche in quelle pubbliche. Lo stesso vale per l’educazione. Dobbiamo liberarci del fardello delle ideologie e usare il buon senso. Le scuole paritarie danno una risposta pubblica alla richiesta di educazione di molti territori dove sono l’unico presidio scolastico, in piena attuazione del principio di sussidiarietà. In queste zone le strutture pubbliche non riuscirebbero ad arrivare. E poi c’è la questione della libertà educativa. C’è un grido di allarme che arriva dalle scuole paritarie: vanno tutelate e dobbiamo aiutarle a superare questo momento».

Il mondo del volontariato ha avuto un ruolo fondamentale in questo periodo di emergenza.

«Il volontariato lo abbiamo inventato in Toscana, con le Misericordie nel 1200. E dobbiamo aiutare questo mondo. Una postazione del 118 in Toscana costa alla Regione un terzo rispetto a quanto costa in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna. Grazie al contributo che il volontariato offre ogni giorno al sistema sociosanitario regionale. Queste realtà devono essere sostenute. Nei nostri Comuni sono state distribuite le mascherine grazie all’opera delle associazioni dei volontari».

Un altro tema è stato quello della libertà di culto. Come ha visto l’atteggiamento del governo?

«Il governo sulla questione delle Messe con il popolo si è trincerato dietro i pareri dei tecnici e delle taskforce. Ma la politica ha il compito di ascoltare i pareri e poi prendere le decisioni. Se tutti i provvedimenti adottati da Conte con i dpcm fossero stati basati su una “verità” scientifica, il presidente del Consiglio non si sarebbe rimangiato tutto pochi giorni dopo. La verità è che la reazione decisa e puntuale dei vescovi ma anche della società e della politica ha portato il governo a rivedere le sua posizione. È giusto tornare in chiesa tenendo conto delle precauzioni per evitare il contagio».

Sul contributo dell’Europa e sul Mes vi siete distinti rispetto alla posizione anche della Lega e di Fratelli d’Italia. Perché?

«Io credo nell’Europa, davvero. In un’Europa che non assecondi l’egoismo della Germania. In un’Europa della solidarietà. È una battaglia che portiamo avanti da sempre nel Parlamento europeo. In Italia ci siamo distinti non solo sui provvedimenti ma anche sull’atteggiamento da tenere. Quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo è un inedito assoluto nella storia del nostro paese. Il Mes sembra una “parolaccia” perché ricorda la Grecia con la trojka. Ma l’attuale Mes, per cui sono state date garanzie che non ci saranno né condizioni feroci né si rischierà una sovranità limitata, ci assicura 37 miliardi di euro con un tasso di interesse nettamente più basso della migliore asta di titoli di Stato che si possa sperare. Non possiamo rinunciarci. Poi sarà compito del governo fare in modo che le risorse arrivino nelle tasche dei cittadini».

La Toscana avrebbe dovuto votare per rinnovare il Consiglio regionale ed eleggere il nuovo presidente. Il centrosinistra ha schierato Giani. Voi non avete un candidato. Cosa succederà?

«È paradossale che in questo momento ci sia qualcuno che voglia votare a luglio, per mero calcolo politico. Se si votasse in estate probabilmente avremmo un’affluenza del 20%. Una follia. Mi sembra più ragionevole pensare a un voto nel prossimo autunno. In Toscana il centrodestra non ha il candidato perché ancora non c’è un accordo che comprenda le sei regioni che vanno al voto. La candidatura di Susanna Ceccardi era della Lega, non del centrodestra unito. In poche settimane la pandemia ha cambiato la società, adesso devono cambiare anche gli scenari politici».