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PARABOLE MEDIATICHE: RICERCA CENSIS, GIOVANI E MEDIA

Hanno “voglia di anima”, non credono troppo negli intellettuali, ma hanno un “grande bisogno di cultura e di testimonianza”. Sono i giovani di oggi, secondo una ricerca della Fondazione Censis su “I giovani e la cultura nell’era della comunicazione”, presentata oggi a Roma, nel corso del Convegno Cei “Parabole mediatiche”, che si concluderà domani con l’udienza dal Papa.

“I giovani di oggi – ha detto Elisa Manna, del Censis, presentando l’indagine che ha interessato un campione rappresentativo della popolazione giovanile italiana dai 18 ai 30 anni – pensano che il futuro del mondo sarà dominato dalle tecnologie, ma questo per loro non significa che l’umanità diventerà culturalmente più forte”. In quella che è ormai definita la “generazione tecnologica”, dunque, contrariamente alle apparenze “emerge un grande bisogno di approfondimento e di testimonianza”.

Stando ai dati della ricerca, infatti, quasi il 40% dei giovani attribuisce “un ruolo centrale alla cultura”, il cui compito è “dare senso, orientamento, offrire una guida”: il 24,5% di essi, inoltre, ritiene che la cultura “deve denunciare le cose che non vanno”, e la considera “la dimensione più evoluta del pensiero umano, una forza, un patrimonio esistenziale”. Critico, invece, l’atteggiamento dei giovani verso gli intellettuali, “accusati – ha detto la relatrice – di non riuscire a trasmettere idee forti, che diano serenità e speranza all’umanità”.

L’importanza attribuita dai giovani alla cultura come “percorso individuale di crescita e di costruzione della propria identità” contrasta, però, ha detto la ricercatrice del Censis, con “i bassissimi dati sui consumi culturali dei giovani”, peraltro “coincidenti con quelli degli adulti italiani, agli ultimi posti in classifica” in tale ambito: quasi un terzo dei giovani non legge neanche un libro all’anno, dicono i dati della ricerca, ma tra i libri preferiti – Siddharta, Cuore e la Bibbia – riaffiora la “voglia di anima”. “Questa è una gioventù ad alto tasso di psicologia emozionale. Si esprime con le emozioni e con le passioni: l’amore e l’amicizia”, questo il commento di Giuseppe De Rita, segretario nazionale del Censis. Per i nostri giovani, ha proseguito il sociologo, “la vita è il viaggio e l’avventura, il resto è solo un insieme di sofferenze. Ma con che cosa partono per questo viaggio? Con l’emozione. Disprezzano gli intellettuali e gli opinionisti. Mentre i padri non partecipano alla ricerca individuale dei figli”.

Questo atteggiamento comporta la perdita della memoria: “L’emozione resta ferma nel presente. La nostra gioventù pensa al tempo anzitutto come tempo da godere. Le domande sulla memoria e sul futuro restano perennemente inevase”. La responsabilità di questa situazione, secondo De Rita, è anzitutto degli adulti: “I nostri sono giovani senza padre, perennemente afflitti dal bisogno di Enea”, che portava sulle spalle Anchise e Astianatte, il padre e il figlio, simbolo della memoria e del futuro. A molti giovani “mancano le guide e il senso del futuro: solo il 29% è convinto che c’è la vita dopo la morte. Mentre Enzo Biagi e Rita Levi Montalcini, come guide spirituali e punti di riferimento, hanno preso più voti di Gesù”.

La responsabilità, ha proseguito il segretario del Censis, “non è dei giovani ma di chi ha prospettato loro modelli mediatici di questo tipo. Su noi adulti grava la responsabilità di Enea: recuperare il senso che qualcuno deve trasmettere la dimensione identitaria della storia. Fuori delle banalità culturali che vengono propinate dal flusso dei media”. Perciò i nostri giovani “hanno bisogno di una collettiva presa di coscienza del bisogno di Enea. A noi adulti la responsabilità di assumerci la fatica di tornare ad insegnare”.

Per il il sociologo Francesco Casetti “La Chiesa deve ricominciare a fare missione, tenendo conto che i giovani sono fatti come emerge dalla ricerca: giovani poveri di riferimenti ideali, immersi nella frammentazione culturale, per lo più privi di senso storico, che si presentano come ‘surfisti’ della vita secondo il modello televisivo del passaggio da un programma a un altro, senza differenze di valori e significati”.

Secondo Casetti, i giovani appaiono quindi “come compratori di proposte di valori intesi più come stati mentali che come progetti di azione”. “Il flusso televisivo è il loro modello – ha aggiunto –e la loro vita appare priva di ‘riti di passaggio’, senza una prospettiva di progetto personale”. Il sociologo ha posto in luce che le “parrocchie vengono identificate più come luogo sociale che come centro spirituale” e ciò pone domande anche alla pastorale ordinaria, specie a quella giovanile. “La Chiesa è chiamata a ricominciare a fare missione – ha sottolineato – tenendo conto della realtà giovanile che appare priva di guide significative. L’unica strada è accettare questa realtà di ‘confusione’ sul piano esistenziale, da cui partire per proposte che mettano ordine nella frammentazione dei riferimenti”. Il sociologo ha poi sottolineato che, a suo avviso, “si tratta di ritrovare delle guide valide che sappiano essere tali per i giovani a partire dal territorio, esprimendo un preciso carisma di educatori. Il rischio è di avere mille guide, ma è un rischio da correre per legare in rete le esperienze del territorio e quelle più globali in cui i giovani stessi sono immersi”.

Sir