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PISA, PILLOLA NORLEVO NEGATA, MEDICI DIFENDONO LIBERTA’ DI COSCIENZA

«Né il ministro Livia Turco, né l’assessore regionale Enrico Rossi e nemmeno il presidente dell’ordine dei medici di Pisa Giuseppe Figlini potranno mai imporre ad un medico di assecondare la volontà della paziente, dando a lei la responsabilità di una scelta che quello stesso medico non ha compiuto in autonomia, e quindi in scienza e coscienza»: il dottor Giovanni Belcari, medico chirurgo, torna sulla vicenda delle due giovani pisane che avrebbero faticato per trovare un camice bianco disponibile a prescriver – o a somministrar loro – la pillola del giorno dopo, in seguito ad un rapporto a rischio. E chiede un confronto pubblico col presidente dell’ordine dei medici Figlini al quale «contesto l’inadempienza nei confronti del codice deontologico e in particolare degli articoli 3,5,12,19 e 57 di cui egli stesso è garante. E una delibera chiara, univoca, definitiva, del Consiglio regionale che sia espressione reale di tutte le parti in causa». Belcari si è fatto promotore di un documento che – indirizzato al direttore sanitario della Usl 5 di Pisa Damone e al presidente dell’ordine dei medici Figlini – è già stato firmato da decine di medici. «Sappia (l’assessore Rossi, ndr) – si legge ancora nel documento – che una deontologia che si rispetti mai può obbligare un medico alla prescrizione di un farmaco non salvavita. O forse lo stesso assessore, o il mio presidente dell’ordine, o entrambi, ignorano che il Comitato nazionale di bioetica ha riconosciuto all’unanimità al medico la possibilità di rifiutare la prescrizione della pillola appellandosi alla clausola di coscienza? È così sicuro il dottor Figlini e il direttore sanitario Damone di potersi confrontare con me sul carattere d’esclusiva connotazione contraccettiva del Norlevo, che tanto ha sbandierato? Ha dimenticato che per lo stesso Codice il medico che tanto si sforza di ricordare il codice di deontologia (all’art. 12), nelle recenti dichiarazioni a mezzo stampa, che lo stesso Codice prevede che “La prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia impegna la responsabilità professionale ed etica del medico” ed ancora che “Su tale presupposto al medico è riconosciuta autonomia nella programmazione, nella scelta e nella applicazione di ogni presidio diagnostico e terapeutico? (art 12). E’ in malafede o ha dimenticato che per lo stesso Codice, il medico deve “ispirarsi ai valori etici fondamentali, assumendo come principio il rispetto della vita” (art 5)? Non ricorda che “Dovere del medico è la tutela della vita (art 3). Non ricorda che per questo siamo fatti dottori in medicina e chirurgia, per questo noi tutti giuriamo alla laurea? Rilegga, e legga con attenzione il dottor Damone, l’articolo 19 del Codice di Deontologia Medica per cui “Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita”, nonchè l’art 70, che direttamente lo riguarda, per il quale “Il medico che svolge funzioni di direzione o di dirigenza sanitaria ,deve garantire il rispetto delle norme del Codice di Deontologia Medica e la difesa dell’autonomia e della dignità professionale. Quale interruzione di pubblico servizio si configura dunque? Il medico deve dunque assurgere al ruolo esclusivo di burocrate? Dov’è il rischio di vita della paziente? Dove la patologia? Dov’è la tutela dei propri iscritti da parte del presidente di un Ordine che non si preoccupa minimamente di fornire solidarietà a colleghi che peraltro non risultano esser sotto giudizio alcuno? Dove il rispetto per l’attività professionale dei colleghi ? (art 57)».