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PISTOIA; ABORTO: DECIDE INTERVENTO E LE METTONO SPIRALE, MA FETO E’ VIVO; ASL, INSUCCESSO E’ IN CASISTICA

E’ entrata in sala operatoria per sottoporsi all’intervento di interruzione della gravidanza, in anestesia totale. I medici le hanno poi applicato la spirale per evitare di rimanere ancora incinta. Ma un mese dopo, in seguito a fortissimi dolori addominali, i sanitari si sono accorti che la donna, 30 anni, sposata e con due figli piccoli, aveva ancora in grembo il bambino, un feto di 4 mesi, vivo e vitale. La storia di questo aborto fallito – raccontata dalla stessa protagonista e riferita oggi da alcuni giornali – è avvenuta a Pistoia. Il 7 febbraio scorso la giovane signora si recò all’ospedale del Ceppo di Pistoia per abortire. I medici le consigliarono di applicare la spirale e lei acconsentì. Un mese dopo, accusando forti dolori addominali, tornò al pronto soccorso dove dall’ecografia emerse che la donna aveva in grembo il feto, un maschietto. La donna, sposata con un operaio edile, aveva deciso di interrompere la terza gravidanza per ragioni economiche. Ma di fronte alla rivelazione dei medici ha scelto di tenere il bambino che i fratellini hanno già deciso di chiamare Andrea. La spirale inserita nell’utero potrebbe rappresentare un pericolo per il piccolo, ma i medici non escludono che malgrado la sua presenza si possa arrivare a un parto naturale. La Asl, intanto, fa sapere di non avere ancora ricevuto alcuna richiesta di risarcimento. Per un caso analogo risalente al ’99 l’Asl pistoiese fu condannata a un risarcimento di 100mila euro.

Andremo fino in fondo, con tutta la determinazione che un caso come questo richiede”. Così l’avvocato Elena Baldi che tutela gli interessi della giovane signora pistoiese. La donna, che si sottoporrà a una ecografia e a un duo-test venerdì prossimo a Firenze, da un medico ginecologo di fiducia, attende i risultati dell’analisi strumentale che chiarisca le condizioni del bambino. Bambino, dice l’avvocato “che la signora a questo punto vorrebbe tenere, se potrà essere portato a termine”. Certo è che, una volta avuto il responso delle analisi, potrebbero partire un esposto e una denuncia – querela, “azioni legali – specifica l’avvocato – che verranno esercitate sia in sede penale che in sede civile”.

Dalla prima fase dell’inchiesta sul caso della donna sottoposta all’intervento di interruzione della gravidanza che ha in seguito scoperto di essere ancora incinta, “non si può certo dichiarare di trovarsi di fronte alla cosiddetta malasanità, ma solo in presenza di uno degli eventi possibili”. Lo afferma la direzione aziendale della Asl 3 di Pistoia che ha avviato stamane una prima indagine conoscitiva pur sottolineando, in una nota, che “al momento la vicenda ha ancora carattere presuntivo, tenuto conto che non c’é stata nessuna relazione diretta con la paziente e il suo legale”. La Asl ricorda, infatti, che “come è noto, le IVG chirurgiche eseguite entro 90 giorni di amenorrea comportano un rischio di insuccesso del 2,3 per mille, che è ancora più elevato se l’interruzione viene praticata in epoca precoce, quando invece sono minori i rischi di complicanze per la donna”.

La Asl sottolinea anche che “se si applica il valore indicato nella letteratura alla casistica aziendale di IVG (4151 interventi negli ultimi 7 anni) risulta che il numero di insuccessi attesi sarebbe stato pari a 9, ben superiore a quanto in realtà si è verificato”. Pur in assenza delle generalità della donna, alla Asl 3 risulta “una IVG con contemporaneo impianto di IUD (spirale), alla 7° settimana di gravidanza, effettuata lo scorso 8 febbraio, successiva ad una prima visita del 2 febbraio 2007”. “Nel consenso informato – afferma la direzione aziendale -, sottoposto alle donne in gravidanza, prima dell’effettuazione dell’IVG, è indicata la possibilità di un eventuale insuccesso della procedura, e nelle informazioni, che sostengono la donna in tutto il percorso per poter scegliere in piena consapevolezza, è anche indicata con evidenza la necessità di eseguire un controllo della avvenuta interruzione della gravidanza con test da svolgere a distanza di 25 giorni dall’intervento. Viene inoltre specificato che la donna è invitata ad avere un nuovo contatto con la struttura sanitaria in caso di positività”. A questo proposito – si legge nella nota della Asl – il professor Luciano Savino, primario dell’Unità operativa di ostetricia e ginecologia, ha spiegato “che tutti i metodi di aborto, nel primo trimestre di gravidanza, implicano un rischio di fallimento nell’ interrompere la gravidanza stessa e per questo a volte si rendono necessarie ulteriori procedure”. (ANSA).