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Palestina, Hamas alla prova

DI DANIELE ROCCHIUn terremoto. L’elezione del nuovo Parlamento palestinese segna il trionfo del movimento islamico integralista Hamas che ottiene la maggioranza assoluta con 76 seggi, più 4 di candidati indipendenti a lei vicini, contro i 43 della lista Al-Fatah, finora maggioritaria. I seggi restanti sono andati alla lista di sinistra Martire Abu Ali Mustafa (3), alla lista Alternativa (2), a Palestina indipendente (2), ai laici di Terza Via (2). Un successo che non manca di suscitare le preoccupazioni del mondo occidentale. Il Quartetto – Usa, Onu, Russia e Unione europea – ha subito chiesto ad Hamas di abbandonare la lotta armata, condizione imprescindibile per avviare contatti e negoziati futuri. Con l’uscita di scena di Arafat, prima, ed ora di Sharon e della controparte palestinese, Abu Mazen e Abu Ala, con i quali erano stati fatti passi avanti nei negoziati di pace, sembra mutare profondamente il futuro della Regione. Ne abbiamo parlato con Antonella Caruso, esperta di questioni mediorientali e consigliere scientifico della rivista “Limes”.

È sorpresa dal risultato del voto palestinese?

“Hamas diventa la forza più grande della Palestina, quasi doppiando Fatah. Lo stesso presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) ne aveva previsto, in qualche modo, l’affermazione. Nessuna sorpresa, quindi. Avremo una forza islamista che per la prima volta farà parte del Parlamento palestinese che, ricordiamolo, rappresenta una Palestina al 60% sotto occupazione israeliana e con delle istituzioni statali ancora in embrione e da sviluppare”.

Cosa ha premiato Hamas?

“Un forte peso lo ha avuto la sua attività sociale, culturale, sanitaria tutta dedita ad alleviare le condizioni dei palestinesi. Gli elettori hanno voluto premiare la sua azione sul territorio e l’integrità morale dei suoi esponenti. E poi Hamas è riuscita a far passare il ritiro unilaterale di Israele da Gaza come una sua vittoria”.

Al-Fatah ha ammesso la sconfitta e ha fatto sapere che non intende entrare in un governo di unità nazionale con Hamas. Quale sarà il destino di Al-Fatah?

“Fatah, ovvero il partito del presidente Abbas e del premier dimissionario Abu Ala ha fatto un bagno di voti con soli 43 seggi raccolti, pagando, forse, uno scarso rinnovamento politico all’interno delle sue fila. Per esempio, sarà utile vedere i voti riportati dal leader dell’intifada, Marwan Barghouti, uno dei pochi in grado di rivitalizzare Fatah. Barghouti, però, è detenuto in Israele. Fatah avrà molto da riflettere ora che si trova all’opposizione”.

Con Hamas al governo cambieranno le relazioni con le altre fazioni armate come Jihad islamico e Brigate Al Aqsa?

“Qualcosa è destinato a cambiare. Hamas ha mantenuto la sua tregua con Israele da un anno ed ha deciso di presentarsi alle elezioni. Il Jihad islamico, invece, ha firmato gli ultimi attentati. Hamas vuole partecipare alla costruzione politica dello Stato di Palestina…”.

Ma non rinuncia alla lotta armata contro Israele. Non è un controsenso?

“La rinuncia, adesso, alla lotta armata contro Israele suonerebbe come un tradimento di Hamas nei confronti dei suoi elettori. Certo non mancano i timori, ma pensiamo a quanto è accaduto in Libano, dove Hezbollah, definito dalle autorità occidentali movimento terroristico come Hamas e quindi messo al bando, ha portato tredici suoi rappresentanti in Parlamento e ha due ministri nel Governo. Si tratta di civili e non di militari. Questo potrebbe accadere anche nell’Anp. Hamas è chiamato a far coesistere leader politici e militari. Sarà un grande banco di prova. Vedremo, poi, se saprà smilitarizzare”.

C’è anche un processo di pace da portare avanti…

“Certamente. La pace con Israele è un percorso obbligato. Resta da vedere come Hamas reagirà a questa affermazione elettorale. Le aspettative dopo questo voto sono altissime e Hamas non vuole bruciarsi. I suoi rappresentanti, che non hanno la minima esperienza di governo, sanno che dovranno misurarsi con la volontà dei palestinesi di vivere in pace. Hamas è un movimento al bando che non ha mai fatto politica estera, se non di tipo panislamico e panarabo. Ci vorrà più pragmatismo e meno slogan. Le voci da mettere insieme saranno molte”.

L’esito del voto palestinese potrà incidere sulle elezioni israeliane di marzo?

“Questi risultati non aiutano il partito di centro (Kadima) di Sharon e di Olmert. La paura e le preoccupazioni di un Governo palestinese guidato o partecipato da Hamas potrebbero radicalizzare il voto israeliano. E questo metterebbe a rischio il futuro di pace nella regione”.

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