Italia

Parco Verde di Caivano, viaggio nella periferia più periferia del Paese dove l’unico «lavoro» è lo spaccio

C’è un posto in Italia dove bisognerebbe mandare in visita guidata tutti i parlamentari italiani, gli aspiranti leader, i giovani iscritti alle scuole di politica. E pure sociologi, economisti e filosofi… Questo posto è Caivano, uno dei 92 Comuni della cintura metropolitana di Napoli, diocesi di Aversa. Come studenti a scuola di Paese reale, dovrebbe essere obbligatoria un’escursione nel quartiere Parco Verde, sotto i riflettori della cronaca per l’omicidio della piccola Fortuna Loffredo, per mano di un pedofilo. E prima di lei ha perso la vita un piccolo di tre anni, Antonio Giglio, anche lui precipitato nel vuoto.

Dovrebbero, i politici in visita di studio, incontrare il parroco don Maurizio Patriciello, e ascoltarlo con attenzione mentre descrive le logiche criminali che governano quel piccolo territorio dell’Italia profonda, 6mila anime appena, confinate in una periferia della periferia del Sud, circoscritta da palazzi di edilizia popolare malmessi e violati (occupare gli spazi comuni e farli propri recintandoli non è un abuso, ma una manifestazione di potere criminale). Qui il lavoro manca e la prospettiva più realistica è vivere di droga, unica azienda fiorente del quartiere.

Chi come noi ha visitato il Parco Verde (dal colore delle prime palazzine di edilizia popolare costruite dopo il sisma dell’89 in Irpinia) ha subito avvertito un salto nel tempo e nello spazio. Basta superare la strada esterna che costeggia il quartiere, per ritrovarsi immersi in un silenzio inquietante. Non un bambino per strada, non una voce che rompa il silenzio, non una macchina dei vigili urbani che attraversi  il quartiere, non un mezzo pubblico perché qui non ne arrivano, non un capannello di persone, non una donna che vada a fare la spesa, non un negozio aperto al pubblico. Solo un bar semideserto dove il caffè è buono come lo sanno fare da queste parti. Poi una specie di edicola tabacchi presidiata da tre giovani che scherzano fra di loro. Se stanno lì è perché il loro «lavoro» lo richiede. Presidiano uno degli spacci di droga del quartiere.

A Parco Verde, un autentico microcosmo criminale, di piazze di spaccio ce ne sono addirittura tredici. Questo è un supermarket fornitissimo: ogni desiderio viene esaudito. Si tratti di eroina, cocaina, pasticche di tutti i generi o hashish, nessuna andrà via scontento. Tanto che Parco Verde è la meta preferita dai drogati della vicina Caserta che ogni sera si mettono in fila per conquistare la propria evasione dal mondo. Che poi ogni tanto qualcuno ci resti stecchito è solo un piccolo incidente di percorso. Fra i tossicodipendenti tanti professionisti della zona e colletti bianchi in libera uscita. Qualche giorno fa uno di loro è morto mentre si iniettava eroina sul posto e solo qualche settimana fa un gruppo di bambini, giocando in un campo, ha trovato il cadavere di un giovane morto per overdose nell’estate scorsa. Il suo corpo era ormai devastato dalle incursioni dei cani e dei topi. Bambini sconvolti, ai quali il parroco prova a restituire il sorriso, in un impeto di speranza che solo da queste parti si può misurare in tutta la sua realistica drammaticità.

La parrocchia di don Maurizio è lì…  nel cuore del quartiere. Giusto alle spalle di questo fabbricato modernista di cemento e acciaio vive il boss della zona a cui nulla sfugge e la cui arroganza è senza limiti. Sino al punto di piazzare le telecamere in chiesa per controllare quel prete così fastidioso che spende la sua vita per il riscatto della Terra dei fuochi e per strappare i ragazzi alla manovalanza criminale. Le telecamere sono state rimosse dalla polizia, ma la sensazione di essere sempre sotto controllo non ci lascia un momento. Se qualcuno venuto da fuori si sofferma a chiacchierare sul sagrato con don Maurizio, ecco comparire un uomo in moto con il casco in testa (circostanza irrituale da queste parti) che, a sorpresa, si avvicina alla statua di padre Pio per deporre un piccolo cero. E mentre lentamente si allontana senza rispondere alle domande del parroco, si volta a squadrare gli intrusi schermato dagli occhiali a  specchio, sfoderando un sorriso che è tutto un programma: io vi ho visti e voi mi avete visto, adesso aspetto che ve ne andiate al più presto.

Uscendo dalla chiesa, a quest’ora del mattino silenziosa, lo sguardo corre a un enorme murales con i volti sorridenti di tre ragazzi sulla spoglia facciata di un palazzo. Sono morti in un incidente stradale e le famiglie hanno voluto ricordarli così. Il ragazzo al centro era rimasto orfano sin da piccolo: suo padre era stato ammazzato, giovanissimo, in un regolamento di conti della malavita. E qui, a dieci passi dal cancello della chiesa, sul selciato che calpestiamo, è stato ucciso in pieno giorno un altro esponente del clan locale. E qui don Maurizio Patriciello continua a raccontare la speranza cristiana. Dove trovi la forza, abbiamo un concreto sospetto…

Questo viaggio di studi andrebbe imposto anche a tanti cattolici che abusano della parola «periferia», forse senza conoscerla o averla mai frequentata. Almeno una volta nella vita, dovrebbero ascoltare quel silenzio che può essere rotto all’improvviso solo dal fragore di uno sparo e dalle urla di dolore e disperazione. Questa è la periferia italiana: Parco Verde, Caivano, provincia di Napoli, Mezzogiorno d’Italia.